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Common Law: qualcuno ne parlerà a Di Maio?

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Luigi Di Maio vuole un contratto, prima di ogni cosa. Scritto, ovviamente. Qualcuno dovrà far conoscere al neo statista di Avellino l’esistenza, nelle nazioni civili, del diritto consuetudinario, conosciuto come common law: sono paesi nei quali una stretta di mano è la migliore garanzia, dove il termine “gentiluomo” non è riservato agli antenati, e la rigidità non è ammessa. L’esigenza principale è far progredire una nazione, promuovere business senza avere l’incubo di entrare in processi cosiddetti civili e non uscirne più, evitando di finanziare con le imposte una macchina burocratica capace di stritolare chiunque. Puntare sempre su una forma contrattuale “nero su bianco” indica una chiara sfiducia verso qualsiasi controparte: senza sapere che in politica i patti sono sempre variabili, visto che i partiti, continuamente, devono adeguarsi a cosa succede nel mondo, oltre che tra le mura di casa. Il pianeta è in continua evoluzione: e chi traffica con internet dovrebbe saperlo.

Quello che Di Maio propone continuamente poi è il classico contratto di adesione, notoriamente presente nelle aule di tribunale a causa delle classiche clausole vessatorie che mettono in ginocchio il povero consumatore che non ha alcuna possibilità di modificare il testo, della serie “o mangi questa minestra o ti butti dalla finestra”. Ed è il tipico contratto che fanno firmare le banche, le assicurazioni, le varie società di fornitura di servizi elettrici e telefonici. “Metta una firma qua”: sembra di vederla, la scena dove il leader M5S indica al malcapitato politico di turno il rettangolino nel quale apporre il proprio nome e cognome. Firmare poi è assolutamente inutile, visto che ogni contraente dovrà far vagliare al rispettivo movimento o partito il valore dell’accordo, con l’evidente rischio di far affondare miseramente il patto. Confondere l’Italia con la Germania è un sintomo di provincialismo che pare difficile fare scomparire, nemmeno con un tratto di penna. Di Merkel, in giro, non se ne vedono.

Di Maio avrebbe fatto meglio, ma servono buoni – o almeno decenti – consiglieri, a proporre un bando di gara a procedura aperta, da sottoporre al vaglio dell’Anac, o almeno a Raffaele Cantone, lo stimatissimo (anche dai grillini) magistrato che si trova al vertice dell’Autorità nazionale anticorruzione. Una gara con offerta al ribasso, non certo al rialzo come ogni volta indica Di Maio (semmai migliorativa può essere la variante per la parte tecnica): e dove prima dello schema di contratto occorre scrivere un capitolato tecnico, il dettaglio delle (prestazioni) richieste e un disciplinare di gara. Ma ci vuole uno bravo per fare certe cose. Forse è meglio aspettare un altro turno. Intanto gli italiani hanno altro da fare, per esempio votare in Friuli Venezia Giulia.

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