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Condannati a sparire: piccoli centri vittime del lockdown. Disegno perverso o pericolosa stupidità?

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Qualche sera fa c’era a Quarta Repubblica la Debora Serracchiani che, essendo comunista o postcomunista, di economia e crisi economica capisce poco. Cosa diceva Debora tutta ispirata? Diceva che “questa situazione di lockdown penalizza soprattutto le grandi città”. È esattamente il contrario: le metropoli, afflitte, devastate fin che si vuole, hanno la forza della massa che consente in qualche modo di tirare avanti, centri di due, tre milioni di persone non possono bloccarsi completamente, brulicano comunque di umanità che ha i suoi impegni, le sue emergenze, i suoi incontri, le sue sacche di resistenza per quanto stentate. Sono polmoni in apnea, ma non smettono di respirare. La devastazione vera si ha nei piccoli centri e qui chi scrive parla per esperienza personale avendo vissuto sia a Milano che in una minuscola località balneare. Sono i borghi, i villaggi quelli che da questa pena senza fine e senza colpa non si riprenderanno più. Piccole e piccolissime comunità dove pochi negozi chiusi, e per sempre chiusi, fanno la differenza. Dove le poche strade echeggiano di deserti senza speranza. Dove la gente, abitudinaria, sedentaria, si abitua ancor più a non avventurarsi fuori e resta in questo incantesimo. E se ci prova, trova subito il vigile zelante che le chiede l’autocertificazione, anche se conosce benissimo chi ha davanti.

Non sono, si vuol dire, le poche grandi città a sparire del tutto quanto gli ottomila campanili che dalle Alpi a Capo Passero innervano questo Paese. Centri di villeggiatura, minuscoli Comuni, località montane: tutto sparito, andato per sempre. Prendiamo le Marche, una regione che di fatto non esiste più. Prima il terremoto, le devastazioni, la ricostruzione mai partita, le allettanti promesse dei commissari quasi sempre di matrice piddina; poi il virus, le chiusure, i coprifuoco, le zone rosse e sempre più rosse, i ristori che non arrivano, la farsa delle riaperture parziali, a zona, a tempo che finiscono di ammazzare le comunità locali fatte di commercio spicciolo, di negozi, di gestori e clienti che si conoscono, si danno del tu, si frequentano. Tutto seppellito.

Le Marche vengono da cinque anni terribili, che hanno messo in ginocchio e poi atterrato ogni comparto nell’indifferenza che si riserva alle regioni piccole, con poca voce, senza politici in grado di convogliare risorse. Abbandonata a se stessa, questa macchia al centro dell’Italia “non trova cane che le abbai” e non sa neppure protestare; è sfiancata, rassegnata. I centri montani distrutti dal sisma languono, i luoghi marinari si spengono. Nessuna aspettativa di turismo.

Serracchiani non lo sa o forse non le interessa, il Pd di lotta per il governo si distingue per priorità comiche al limite dell’offensivo in questo tempo senza tempo, lo ius soli, il voto ai ragazzini che non possono studiare, la battaglia un po’ isterica sulle poltrone. Tra le cose che al Pd estetizzante sfuggono o non interessano, la inquietante sostituzione economica che vira sull’etnico: qui come nelle grandi città, ma qui in modo più palese, vanno aprendo una miriade di esercizi senza futuro, senza presupposti. Chi sono questi pazzi che buttano soldi in attività morenti a nascere? Ma non sono pazzi, sono le mafie, italiane o straniere, è la ndrangheta come la criminalità balcanica o cinese, che aprono e chiudono, disseminano il territorio di paraventi in funzione di lavanderie di soldi sporchi.

Il lockdown fa bene al crimine, c’è un recentissimo rapporto della Dia in cui si dice che gli affari dell’economia sporca sono cresciuti nell’ultimo anno del 25 per cento. Intere regioni di gente laboriosa, mediamente onesta, sostituite da reti di malaffare che ridefiniscono, in peggio e molto peggio, non solo le economie locali ma, di conseguenza, il tessuto sociale. Come sa benissimo la Guardia di Finanza che da queste parti è allertata ma perdente. Ragione di più per riaprire, subito, con le dovute cautele ma subito e alla luce del sole.

Ma che fa? Se c’è una cosa che la pandemia ha rivelato, ha confermato, è l’attitudine della sinistra al dirigismo di stampo autoritario nella totale sconoscenza o indifferenza delle conseguenze. Un altro comunista o postcomunista miope, l’ex segretario Zingaretti, ha dichiarato a un programma mattutino che la soluzione per le attività in crisi non è certo riaprire, meglio i ristori, il sostegno pubblico. Quanto a dire la sciagurata ma inevitabile logica del sovvenzionalismo di stato che origina disuguaglianze, lottizzazioni, corruzioni. Poi dicono di non essere complottisti, ma se uno non vuol credere al disegno perverso di una ridefinizione occidentale, di un piccolo o grande Reset, di una rivincita del comunismo sconfitto dalla realtà, allora non resta che concludere per una sconcertante ma non meno pericolosa stupidità.