Condannati senza appello a restare insieme, il Pd trascinato a fondo dai 5 Stelle

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Si racconta che venisse praticata presso gli Etruschi una pena atrocissima, quella di legare strettamente un vivo ad un morto, sì da condannarlo ad essere ucciso dalla lenta putrefazione del cadavere. L’immagine mi è ritornata in questi giorni, mentre assistevo all’agonia del Governo, considerando ancor vivo il Pd e, se non morti, moribondi i 5 Stelle; ma così prevedendo che il primo fosse inevitabilmente condannato a decomporsi, lentamente ma inevitabilmente, dallo stretto contatto coi secondi.

Si è via via rarefatto, fin quasi a sparire, il giudizio, ricorrente da quel dì d’agosto, di un Salvini che, staccando la spina, avrebbe compiuto un suicidio perfetto; tant’è che, ora, lo si è al contrario accusato di averlo fatto per non caricarsi di una finanziaria impari rispetto alla sua pubblicizzata tabella di marcia. Strano a dirsi, perché lui voleva andare a votare, ma si sa la coerenza non è la virtù forte della politica, che dà per scontato esser la gente priva di memoria, così da poter cambiare le carte in tavola senza che quest’ultima se ne accorga.

Nessuno dei due, Pd e 5 Stelle, può far saltare il Governo, perché è ormai chiaro che, anche a volerlo, non ci sarebbe il salvagente di uno nuovo, col mero cambio del presidente del Consiglio e di qualche ministro, ma solo il ricorso al corpo elettorale, che ieri appariva grigio, oggi appare del nero più profondo, stando alla sequenza traumatica dei sondaggi. Quindi una condanna senza appello a restare insieme, che penalizza assai più proprio il Pd, a fronte di un 5 Stelle soggetto ad una evaporazione costante, tipica di un movimento anti-sistema, che cresce alla opposizione e deperisce al governo, perdendo strada facendo elettori a destra e manca. I 5 Stelle sono ormai chiusi in un circuito infernale, per cui per sopravvivere continuano a coltivare temi identitari nefasti per la salute del Paese; ma così destabilizzano l’esecutivo di cui dovrebbero assicurare la continuità.

Quanto al Pd anch’esso non può chiamarsi fuori, anche se di tanto in tanto il suo segretario o qualche altro autorevole dirigente si lascia uscir di bocca che ogni pazienza ha un limite. Ma sono solo parole sfuggite a chi a tutt’oggi ha dovuto far di necessità virtù, ingoiando a fatica tutto quel che gli veniva imposto dall’alleato, dalla perpetuazione di Conte (con a sua dote le criticatissime riforme del reddito di cittadinanza e di quota cento) alla riduzione dei parlamentari, portata avanti in chiara polemica contro la democrazia rappresentativa, senza peraltro alcuna contestuale revisione del sistema. Ultima vera e propria ciliegia sulla torta, l’eliminazione dello scudo penale a favore dell’ex Ilva, che era stato previsto per i commissari straordinari e confermato per l’acquirente proprio da un personaggio allora del Pd, quel Calenda ora fortemente contrario rispetto ad un vero e proprio volta-faccia del suo ex partito.

Il Pd non ha scelta, continua a difendersi adducendo sia la manovra attuale che ha stoppato l’Iva, cosa, peraltro, che almeno parzialmente sarebbe stata alla portata di qualsiasi governo; sia la prospettiva futura, tutt’affatto eventuale, di eleggere un presidente della Repubblica non sovranista. Poca roba al momento, se non si aggiungesse il credito guadagnato in Europa dal nostro ritorno come figliol prodigo, con in premio un po’ di flessibilità rispetto al deficit e al debito; ma, soprattutto, il miglioramento dello spread, se pur in coda alla stessa Grecia.

Il fatto è che proprio il Pd appare quello maggiormente esposto, perché se è riuscito a congelare le elezioni nazionali, deve scontare una lunga serie di chiamate alle urne per la presidenza delle Regioni, facendo conto su stesso e poco d’altro, per aver perso per strada i 5 Stelle. E ciò a ricominciare proprio dalla sua classica roccaforte, l’Emilia Romagna, dove il presidente uscente, Bonaccini, cerca di caratterizzare la contesa in chiave tutta amministrativa, sì da oscurare la cattiva fama di cui gode l’alleanza giallo-rossa con la buona opinione creata dalla sua gestione. Ma è una fatica grandissima, perché la regione non è un comune del cui governo si abbia una percezione diretta ed immediata attraverso i servizi che fornisce; bensì una istanza relativamente lontana, sia fisicamente, a parte nel capoluogo, sia operativamente. Come dimostra una lunga esperienza, qui la dinamica nazionale gioca una parte importantissima, tanto da conoscere delle tipiche ondate orientate a destra o a sinistra, che si susseguono e consolidano regione dopo regione, con una evidente sintonia con la temperie dominante. E quale sia quella in atto nel bel Paese, lo testimonia in maniera lampante la serie elettorale a tutt’oggi conclusa a tutto vantaggio della coalizione di centrodestra.

Tant’è che dal “partitone” ci si affanna a precisare che nessuna sconfitta territoriale metterà in discussione la tenuta dell’esecutivo, pur riconoscendo che la perdita della regione del buon governo rosso costituirebbe un colpo gravissimo. Certo, ripeto, il Pd non ha scelta, qualunque insuccesso non gli permetterebbe comunque di andare alla conta nazionale, perché il risultato lo indebolirebbe ulteriormente, sì da costringerlo a trascinarsi di male in peggio, sperando in qualche miracoloso evento salvifico, come una forte ripresa mondiale, peraltro tutt’altro che all’orizzonte.

Tutto questo, però, a prescindere dai contraccolpi interni, che potrebbero mettere in discussione la tenuta degli attuali gruppi dirigenti, con riguardo tanto a Di Maio quanto a Zingaretti. Se i due dovessero uscire di scena la situazione diventerebbe ancor più ingarbugliata, ma gli eventuali successori sarebbero costretti a non darla persa, cercando di far galleggiare alla meno peggio il Governo fino al termine della legislatura, peraltro accentuando ulteriormente le rispettive misure identitarie in vista dell’inevitabile Armageddon finale.

Per semplicità di discorso si è lasciato fuori il neo-protagonista, Italia Viva, che però appare non meno vincolata alla sopravvivenza del Governo, avendo bisogno di crescere, per ora cercando di rimpolpare i suoi gruppi parlamentari coi fuoriusciti di Forza Italia, sì da conquistare una golden share sui destini della legislatura, ma volendola giocare tutta a favore della sua identità programmatica. Come Renzi ribadisce ad ogni occasione, nessuna intenzione a tirare la corda fino a spezzarla, visto che le percentuali che i sondaggi gli restituiscono settimana per settimana sono estremamente avare, oscillanti intorno al 5 per cento.

Naturalmente questa condanna ad una resistenza ad oltranza si alimenta ad una sottovalutazione della “destra”, bersagliata giorno e notte dall’evocazione dei fantasmi del fascismo, razzismo, antisemitismo, ormai resi consunti da una pluridecennale utilizzazione di parte. Se l’intellighenzia di sinistra invita a studiare la storia, dovrebbe sapere che quella vera non è assolutamente la stessa da lei coltivata: l’Italia è stata liberata dalle truppe alleate, non dalle sparute forze partigiane; la democrazia è stata garantita dall’appartenenza alla zona di influenza atlantica e dalla vittoria democristiana del 18 giugno 1948, non dalla presenza del fronte popolare; il piano Marshall, la Nato, la Cee sono state conquiste dei Governi centristi, non di un Pci totalmente adagiato sullo stalinismo.

A che cosa si riduce l’alternativa a fronte di una destra che, mettendo tutto insieme alla rinfusa, si aggira sulla maggioranza del corpo elettorale, come riconosciuto dalle forze di Governo, tanto da vagheggiare un muro anti-Salvini? Bene: o la gente italica è segnata da una eredità genetica, fascista, razzista, antisemita, tale da non poter essere sradicata, ma allora recuperarla è tutta fatica sprecata; o la gente italica è caratterizzata da una natura leggera, superficiale, abbindolabile, tale da poter essere incantata da un ottimo pifferaio come Salvini, ma allora distoglierla è partita riservata ad un suonatore migliore.

E se, per continuare con la nostra favoletta, il pifferaio fosse stato magico, non per sé, ma per il suo motivo? Beh, allora, bisognerebbe studiarlo un po’ meglio questo motivo, che per godere di tanto consenso deve aver dalla sua la capacità di risultare famigliare ad una larga platea.

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