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Connection Cina-Italia-Iran dietro l’inchiesta sulla Alpi Aviation? L’ultimo di una serie di casi irrisolti

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Droni militari sarebbero stati ceduti a Teheran, violando le sanzioni, da una società friulana controllata da un gruppo cinese

È di ieri la notizia dell’apertura di un’inchiesta contro una società di Pordenone, la Alpi Aviation, accusata di violare le sanzioni contro l’Iran esportando senza permesso materiale dual use verso la Repubblica Islamica. Si tratta di materiale molto sensibile, visto che l’azienda friulana produce componenti per aerei, droni ed elicotteri. E proprio la vendita di droni militari a Teheran, in violazione dell’embargo internazionale, è l’ipotesi su cui stanno lavorando gli investigatori dopo la perquisizione nell’azienda a San Quirino.

L’azienda, da parte sua, ha immediatamente reagito, negando ogni addebito. Eppure, i sospetti restano. Non solo perché si tratta di una società che, pur essendo stata fondata da imprenditori friulani, oggi è in buona parte controllata da un gruppo cinese con sede ad Hong Kong, ma anche perché la Alpi Aviation non è nuova ad accuse del genere.

Già nel 2011, in un articolo pubblicato su l’Espresso da Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi, il nome della Alpi Aviation compariva perché – citiamo – “costruisce piccoli aeri ad elica, usati per turismo e scuola di volo, venduti anche a Teheran. Ma progetta pure modernissimi velivoli teleguidati da ricognizione: robot-spia avanzati, con visori prodotti da Selex del gruppo Finmeccanica…”. Secondo l’articolo, addirittura, l’Agenzia delle Dogane era state allertate dall’ambasciata americana a Roma e per questo teneva sotto controllo da mesi l’azienda.

A quanto pare, però, questi controlli non sembrano aver sgombrato i dubbi in questi anni e il caso Alpi Aviation si è ripresentato. Lo ribadiamo: la società nega con decisione le accuse e starà ai magistrati ora provarle. Ma, ricordando il titolo dell’articolo dell’Espresso del 2011, il “patto segreto Italia – Iran” resta aperto e a quanto pare continua a creare ansia nel mondo occidentale.

Anche perché, nel frattempo, altri casi estremamente preoccupanti, di cui abbiamo parlato su Atlantico Quotidiano, sono rimasti irrisolti, senza risposte. Nessuno ha chiarito come un piccolo sommergibile usato dal Comsubin, unità speciale della Marina militare italiana, sia arrivato in Venezuela, regime legato a quattro mani con la Repubblica Islamica iraniana. Un mini sottomarino modello VAS 525, costruito dalla GSE di Trieste, porto friulano da tempo sotto attenzione internazionale per i suoi rapporti soprattutto con la Cina.

Altro mistero ancora da chiarire, quello della nuova nave militare presentata qualche mese addietro dal regime iraniano, denominata Shahid Rudaki. Una ex nave cargo italiana, costruita dalla Giovanni Visentini Trasporti Fluviomarittimi, riconvertita dagli iraniani, come gli esperti hanno scoperto, in nave militare. Una notizia che Atlantico Quotidiano ha dato tra i primi in Italia e su cui, qualche settimana dopo, il deputato Antonio Zennaro – ex cinque stelle, oggi passato alla Lega – ha presentato un’interrogazione parlamentare rimasta senza risposta.

Infine, ricordiamo che i rapporti tra Iran e Friuli-Venezia Giulia vennero sostenuti fortemente da Deborah Serracchiani, quando l’esponente del Pd era presidente della Regione. Non solo si recò in Iran velatissima, suscitando polemiche anche all’interno del Pd, ma nel 2018 si spese con un post pubblico su Facebook per far sbloccare una commessa del Gruppo Danieli destinata a Teheran. Per la cronaca, si trattava di un carico bloccato perché nessuna banca intendeva assicurare il business di Danieli con Teheran, per il rischio concreto di finire nella lista delle società sanzionate dagli Stati Uniti. Non certo un bel modo di tutelare gli imprenditori (e gli interessi) italiani…

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