Con l’edizione delle 20:00 dei telegiornali di ieri sera gli italiani hanno appreso che oggi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si recherà al Quirinale per rassegnare le dimissioni nel mani del Capo dello Stato Sergio Mattarella.
La notizia non ha suscitato alcuna meraviglia in coloro che negli ultimi giorni hanno seguito i tentativi del capo del Governo di rimpiazzare il sostegno di Matteo Renzi e di Italia Viva con i voti di quelli che sarebbero dovuti essere i cosiddetti “costruttori”.
Fallito il manifesto tentativo di rimettere in piedi al Senato una maggioranza politica degna di questo nome, una compagine cioè non raccogliticcia che condividesse un indirizzo politico definito, al professor Conte non è rimasto altro che prendere atto della definitiva rottura del rapporto di fiducia fra le Camere e l’Esecutivo da lui rappresentato.
Del resto, la settimana trascorsa dal crollo della maggioranza al Senato doveva essere impiegata, nelle intenzioni del presidente del Consiglio dei Ministri (e ragionevolmente in quelle del Colle), proprio per sperimentare un modo per rimanere a Palazzo Chigi nonostante la defaillance del gruppo capitanato dal senatore di Rignano. Le dimissioni del professor Conte sarebbero risultate in caso contrario inevitabili immediatamente dopo l’esito del voto a Palazzo Madama la sera stessa di martedì 19 gennaio.
Il breviario costituzionale dovrebbe prevedere per oggi, pertanto, l’invito del capo dello Stato al presidente Conte a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti e l’inizio delle consultazioni per verificare la possibilità dell’esistenza di una nuova maggioranza prima della eventuale insindacabile valutazione di Mattarella di sciogliere le Camere.
Sennonché gli stessi telegiornali che ieri sera hanno dato notizia delle imminenti dimissioni del professor Conte, all’unisono hanno preannunciato il reincarico al presidente dimissionario come un fatto del tutto plausibile e naturale.
Non è il caso di mettere le mani avanti rispetto alle valutazioni che competono al presidente della Repubblica, ma sarebbe davvero difficile comprendere come possa essere reincaricato un capo del Governo dimissionario che ha impiegato con esiti fallimentari gli ultimi sette giorni unicamente per convincere senatori riottosi a trovare un modo come tirare a campare.
All’obiezione che farebbe delle dimissioni di Conte un gesto formale necessario e propedeutico a un mutamento dell’assetto politico della nuova maggioranza e della squadra di governo, si può agevolmente replicare che una diversa e meno farsesca rappresentazione del teatrino della politica avrebbe potuto comunque prevedere un rimpasto dell’Esecutivo seguito da un passaggio parlamentare trasparente.
Igiene costituzionale imporrebbe, pertanto, di escludere un reincarico da parte del presidente della Repubblica a un capo del Governo al quale, in rapida successione, è mancata la maggioranza politica in una delle due Camere ed è stata negata esplicitamente la possibilità di ricostruirla seppur in maniera, diciamo così, non proprio ortodossa.
Se poi il nome di Giuseppe Conte dovesse essere ancora una volta invocato a gran voce dalla maggioranza assoluta di Camera e Senato, vorrà dire che l’igiene diventerebbe necessaria là dove la sovranità popolare ha deciso (provvisoriamente) di specchiarsi. E di questa necessità il presidente Mattarella non porterebbe oggettivamente alcuna responsabilità.