Speranza come Nerone. La differenza tra privilegio, invidia sociale e spirito di patria
Qualche giorno fa si è accesa la polemica sulle riaperture, c’è chi le vede come sacrosante – per il diritto di lavorare, quello di guadagnare e sopravvivere, per dirne solo uno – e chi invece le utilizza come grimaldello per entrare nelle teste delle persone, già esposte rispetto a un certo tipo di propaganda novo-comunista e rese ancor più fragili da un anno di sequestro di persona e di impresa, più o meno legalizzato.
La parte del leone l’ha fatta Stefano Bonaccini, il presidente della regione Emilia Romagna, che di fronte alla ventilata ipotesi di isole Covid-free per provare gradualmente a far tornare alla normalità interi territori che vivono praticamente di turismo ha espresso il suo niet, “niente privilegi”.
Ecco, vedete, oltre ad aver azzerato le capacità critiche di chi per natura cavalca l’invidia sociale e non il benessere comune, questo concetto di casta e di privilegiati contrapposti alla gente comune ha creato nel sentire comune un orgoglio dell’invidia che neanche Freud avrebbe saputo come definire.
Questo – e purtroppo molto altro – è il lascito subliminale, subdolo dell’era grillina rivoluzionaria, nella sua parabola finalmente discendente. Se non fosse che stiamo assistendo ad un rapimento neurale di massa che va oltre la sindrome di Stoccolma anche a destra.
Facevamo tanto spirito sulla crisi di identità della sinistra, peraltro ora ritrovata nel mondo immigrato, ma anche a destra non stanno messi meglio: ci fosse stato uno che avesse detto qualcosa di destra… Ma dov’è il privilegio? Ma non siamo tutti italiani? Con un Pil bombardato al -9 per cento da questa catastrofe e dalla sua catastrofica gestione, non dovremmo essere contenti se almeno una parte della nazione, fatta di nostri concittadini e non di alieni con tre proboscidi, può ricominciare a vivere e, per di più, in sicurezza?
Dov’è quello spirito di unità e di giubilo per il bene comune? È morto. Dobbiamo morire tutti insieme e tutti male. Se sto male io devi stare male pure tu, tiè, eccola l’unità d’Italia, il senso di Patria, il godimento per la delazione alla Gassman. Questo è il riflesso mentale della politica italiana quasi al gran completo, salvo qualche Battista nel deserto come Matteo Salvini, che ha sussurrato un fievole “si apra dove si può aprire”, praticamente non ripreso da alcun organo di stampa.
Reset: la battaglia contro la pandemia non è solo sanitaria, è anche economica, sociale, psicologica. Gli italiani, anche e soprattutto quelli al potere, hanno questo brutto vizio di non fermarsi a ragionare. Appena si aprono i cancelli, le vacche escono al galoppo, si ammassano, si calpestano l’una con l’altra, perché nemmeno ci pensano che possano esserci altre vie d’uscita dove magari basta qualcuno che abbia una visione leggermente più circolare e arrivi a capire che potrebbe bastare spostare un’altra transenna.
Anche sul vaccino in effetti si dovrebbe ragionare: se veramente ci sono delle cure efficaci, la vaccinazione di massa anche dei soggetti meno a rischio ha davvero tutto questo senso? O è solo frutto della strategia del terrore perpetrata ad arte da un anno intero?
E perché, allora, se proprio si vuol per forza puntare tutto sui vaccini e farci vaccinare tutti, perché “colpa” dell’Europa non possiamo avere lo Sputnik che già funziona in altri 160 Paesi del mondo?
Perché chi ha gestito l’emergenza deve sempre finire in indagini giudiziarie per aver combinato qualche papocchio? Perché scegliamo sempre i peggiori? E la domanda ora è: Draghi è il migliore? Per ora ha commissariato Speranza, il ministro tenuto lì, quello che fa comodo tenere lì anche sotto profili di responsabilità varie, quello che dopo l’aberrante worst seller (nel senso che, per fortuna nemmeno è uscito il suo pamphlet autocelebrativo) declama, come Nerone sulle rovine fumanti di Roma, “ci sarà un’estate migliore” ma siamo lontani dal “liberi tutti”.
Per una volta ha ragione, siamo lontani dal liberi tutti se prima di tutto non liberiamo i cervelli da questa robaccia.