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Corea del Nord: un caso unico e misterioso di “dinastia comunista”

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Ancora una volta Kim Jong-un è riuscito a beffare tutti. Scomparso dalla scena dall’11 aprile e considerato deceduto da siti sudcoreani, americani e di Hong Kong (ma non da Donald Trump, che ha subito espresso dubbi in proposito), il giovane dittatore è ricomparso dopo venti giorni inaugurando una fabbrica di fertilizzanti. Non è la prima volta e certamente non sarà l’ultima, visto che notoriamente non è in buone condizioni di salute anche se ha solo 36 anni.

Vale allora la pena di riflettere sull’espressione “dinastia comunista”, che rappresenta già di per sé un ossimoro. In teoria non dovrebbe esistere alcunché di simile, pena la contraddizione immediata. Eppure, non si tratta affatto di un’espressione vuota e priva di referente, giacché la Repubblica Popolare Democratica di Corea ne rappresenta un esempio sin dalla sua fondazione (1948) ai giorni nostri. Paese in pratica impenetrabile agli osservatori esterni, la RPDC rappresenta l’ultima esemplificazione del cosiddetto “socialismo reale” in vigore nell’URSS e nelle nazioni a essa collegate durante il periodo staliniano e fino alla caduta del Muro di Berlino.

Ciò rende la Corea del Nord indubbiamente interessante agli occhi degli analisti, costituendo un case study unico nel genere. Nel suo territorio il tempo sembra essersi fermato all’immediato Dopoguerra, con i piani quinquennali, la coreografia tipica dei regimi comunisti quando Stalin era in vita e un culto della personalità molto forte e interamente centrato sul leader di turno.

L’unicità, tuttavia, è fornita soprattutto da un altro elemento. Nel Paese il potere è detenuto, per l’appunto sin dalla fondazione, da una sola famiglia e viene trasmesso, di fatto, di padre in figlio senza soluzione alcuna di continuità. La famiglia è ovviamente quella dei Kim che, dopo aver ottenuto il controllo completo del partito e delle forze armate, continua a governare con mano ferrea senza che qualcuno – almeno in apparenza – osi opporsi.

La saga inizia con il fondatore Kim Il-sung che approfittò abilmente della Guerra Fredda e dell’appoggio staliniano per proclamare la Repubblica socialista nella parte settentrionale della penisola coreana. Giunse poi anche il sostegno della Cina di Mao, il cui massiccio intervento nella guerra del 1950-53 impedì la sconfitta del Nord e sancì la divisione permanente della nazione in due parti, legate l’una al blocco occidentale e l’altra a quello sovietico.

Kim Il-sung, o Kim I, si sbarazza ben presto di ogni oppositore e promuove nel Paese il culto della propria persona. A poco a poco assume connotati quasi divini anche grazie alla dottrina del Juche, la versione coreana del marxismo-leninismo che insiste in particolare sull’indipendenza e sull’autosufficienza nazionali. Si esalta la sovranità delle masse popolari le cui aspirazioni, tuttavia, vengono interpretate da una Guida Suprema che concentra nelle sue mani tutto il potere.

Quando il fondatore si spegne, nel 1994, Guida Suprema diventa suo figlio Kim Jong-il (Kim II), che segue la strada paterna. Si noti però che, secondo la storia ufficiale del Paese, Kim Il-sung è morto solo dal punto di vista fisico. In realtà egli è in qualche modo assurto al cielo da dove continua a guidare la nazione. E, infatti, detiene tuttora il titolo di Presidente. Il culto della personalità si è col tempo trasformato in un culto religioso a tutti gli effetti. Nel mausoleo di Pyongyang la salma imbalsamata del fondatore è meno importante del suo spirito, che dall’alto continua a governare e a proteggere la nazione.

E siamo giunti ai giorni nostri. Alla scomparsa di Kim Jong-il nel 2011 gli succede Kim Jong-un (Kim III), l’attuale leader. Da lui si attendevano riforme che non sono venute, anche perché la rigida struttura del regime non lo permette. Eppure, persino la Cina, in pratica l’unico alleato rimasto alla Corea del Nord, spinge in tale direzione, preoccupata dal fatto che Pyongyang si sia nel frattempo dotata di un arsenale nucleare in grado di minacciare quanto meno i Paesi vicini.

Kim Jong-un continua a contare sulla fedeltà del partito e dell’esercito anche perché la sua presenza viene vista come il migliore strumento per garantire la continuità di uno dei regimi comunisti più longevi della storia, superiore per durata persino alla dittatura dei fratelli Castro che ebbe inizio nel 1959.

Ma non è ancora finita, perché il fatto che più colpisce è un altro. Nelle notizie diffuse in occidente dai siti nordcoreani appare costantemente, e in posizione dominante, la sorella del leader, Kim Yo-jong. Anche lei giovanissima – 32 anni – vanta già una notevole carriera alle spalle. Ha infatti accompagnato il fratello in tutti i recenti, e numerosi, incontri internazionali con leader stranieri, inclusi quelli con Donald Trump. Ha inoltre rappresentato la Repubblica Democratica Popolare di Corea all’inaugurazione dei XXIII Giochi olimpici invernali che si sono tenuti, nel 2018, a PyeongChang nella Corea del Sud.

Pur così giovane, nel 2017 è diventata membro supplente del Politburo. Ma, fatto ancora più importante, dal 2014 ha assunto un ruolo di assoluto rilievo nel Dipartimento per l’agitazione e la propaganda del locale Partito comunista (Partito del Lavoro). Gli analisti le attribuiscono una funzione essenziale nell’elaborazione della politica estera di Pyongyang, e avrebbe anche contribuito in modo determinante a rafforzare il culto della personalità del fratello. Una fedeltà a prova di bomba, dunque, che la porrebbe in prima fila nell’eventuale successione (avremmo così Kim IV).

Permane, al fondo, un senso di mistero. Com’è possibile che una sola famiglia riesca a imporsi per un periodo così lungo, trasmettendo il potere assoluto per vie dinastiche senza causare una ribellione di massa, che sarebbe del resto giustificata dalle condizioni in cui vive la popolazione?

Settantadue anni possono sembrare pochi, ma sono moltissimi se si rammenta che il regime è rimasto tale e quale mentre nel resto del mondo si sono avuti mutamenti epocali. I media nordcoreani sostengono che il “Presidente Eterno”, Kim Il-sung, dall’al di là protegge la Corea del Nord con la sua immensa bontà e infinita saggezza. Ma la storia non si è mai fermata, ed è evidente che, anche là, troverà il modo di rimettersi in moto.

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