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Coronavirus: Xi Jinping si aggrappa anche alla religione per arginare la crescente sfiducia nel Partito

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Ha destato molta impressione il fatto che Xi Jinping, parlando del coronavirus che sta mettendo in ginocchio la Cina, abbia definito il virus “un demone” contro il quale il Partito Comunista, che poi s’identifica in toto con lo Stato, combatte con tutte le sue forze.

Si tratta di semplice linguaggio figurato? Forse è così. Tuttavia qualche commento appare necessario, dal momento che i dirigenti comunisti cinesi usano invece un linguaggio asettico e privo di elementi emotivi e, almeno in apparenza, rendono un costante omaggio alle categorie del marxismo-leninismo, tuttora la dottrina ufficiale – nonché l’unica ammessa – della Repubblica Popolare.

Nelle università cinesi le “Scuole di marxismo” svolgono un grande ruolo, nel senso che tutti gli studenti sono obbligati per l’appunto a frequentare i corsi di marxismo, del resto imposti anche ai giornalisti della carta stampata e dei media.

I docenti degli atenei stranieri – ivi inclusi quelli italiani – che ricevono i numerosissimi studenti cinesi che si recano all’estero, apprendono che i fondamenti della dottrina marxista vengono studiati in pratica controvoglia, per necessità più che per convinzione.

La Cina contemporanea, con il suo strano mix di capitalismo di Stato e di verità imposta dal Partito unico, è lontana anni luce dal quadro delineato dai classici del marxismo. Vi è insomma un forte iato tra la realtà concreta, quella che i cinesi sperimentano nella vita quotidiana, e le formulazioni teoriche rimaste immutate dal 1949, anno di fondazione della Repubblica Popolare.

A percepire tale iato sono soprattutto i giovani, tanto quelli che restano in patria quanto coloro che vanno per l’appunto in America, Europa e Australia entrando in contatto con società e sistemi universitari aperti, che non impongono l’adesione ad alcun credo rigido e prefissato.

È ovvio che tutto questo causi preoccupazioni alla dirigenza cinese, testimoniate anche dal tentativo di bloccare la protesta democratica di Hong Kong e di arginare l’anomalia di Taiwan, l’isola desiderosa di conservare la propria indipendenza da Pechino.

Su Weibo, il social network ufficiale del governo (quelli occidentali sono rigidamente banditi), i cittadini hanno approfittato dell’attuale epidemia di coronavirus per porre sotto accusa i dirigenti comunisti. Scrivono di aver appaltato al Partito i loro diritti civili in cambio di protezione, notando però che tale protezione non è affatto garantita.

Resta quindi sospeso un grande interrogativo sul futuro. Che senso ha concedere al Partito un simile potere assoluto se poi esso non è in grado di garantire sicurezza e protezione? E, naturalmente, le autorità hanno reagito stringendo ancor più le maglie di una censura già rigidissima. Ma sarà sempre possibile procedere in questo modo?

In realtà, la Repubblica Popolare resta l’unico esempio significativo in cui ha ancora corso il mito marxista dell’Uomo Nuovo in grado di costruire il proprio futuro senza alcun ricorso a fattori religiosi. In Cina la religione è stata sradicata, e i dirigenti del Partito ne traggono vanto.

Eppure l’accenno di Xi Jinping al “demone” dell’epidemia da combattere è in fondo una concessione alla religione ancestrale e animistica della Cina, che è tuttora popolare soprattutto nelle campagne. E viene, tale concessione, dopo la grande rivalutazione del Confucianesimo, dottrina che sotto alcuni aspetti è meno incompatibile di altre con la visione marxista del mondo.

La dirigenza comunista è finora riuscita a contenere le tensioni sociali da un lato con la repressione e, dall’altro, con la promozione dello sviluppo economico che, occorre riconoscerlo, ha avuto un notevole successo. Si percepisce però il timore che tutto questo non basti più quando accadono eventi imprevisti come l’epidemia scoppiata a Wuhan.

Può darsi, dunque, che in futuro anche la Cina sia destinata ad avviarsi su strade diverse, mitigando il dogma del Partito unico e concedendo alle masse qualche forma di libertà religiosa. Altrimenti i “demoni” evocati da Xi Jinping potrebbero prendere il sopravvento e condurre il Paese verso una fase di grande instabilità.