Spiace per i macronisti italici, gli ammiratori della prima e della seconda ora del presidente francese, che hanno scelto in parte un imbarazzato silenzio e in parte di difendere l’indifendibile, ma Emmanuel Macron è incappato in un clamoroso passo falso diplomatico con il nuovo governo italiano, riparato da una telefonata “cordiale” con il premier Conte nella tarda serata di ieri, dopo una giornata ad alta tensione. Prima le accuse sul caso Aquarius, dettate probabilmente da ragioni di politica interna: ha pensato forse di placare il disagio della corrente più a gauche di En Marche per la linea dura del suo governo sui migranti dandole in pasto le dichiarazioni contro l’Italia e di colpire la populista francese Marine Le Pen attaccando il suo “gemello” italiano Salvini, sottovalutando però le conseguenze sui rapporti con Roma. Accuse ingiuste, perché nei confronti di un Paese i cui porti, nel 2017, hanno visto l’86 per cento degli sbarchi e che dal 2016 ad oggi ha accolto oltre 300 mila immigrati. E ipocrite, perché mosse proprio da chi molto prima di Salvini ha ordinato la chiusura di porti e frontiere. Basti ricordare il caso di una donna incinta respinta a Bardonecchia dalle autorità francesi nel marzo scorso e poi morta all’ospedale di Torino.
Il governo italiano ha reagito con estrema fermezza e compattezza. “Parole inaccettabili” e “toni ingiustificabili”, ha protestato il sempre posato ed equilibrato Moavero Milanesi, ministro degli esteri, chiedendo passi per “sanare” la situazione. Cancellato e rinviato l’incontro del ministro dell’economia e delle finanze Tria con il suo omologo francese Le Maire. Il presidente del Consiglio Conte intenzionato ad annullare la sua visita a Parigi (“non sussistono le condizioni”) se prima non arriveranno scuse ufficiali dall’Eliseo. Altro che scuse, Macron nel pomeriggio di ieri ha addirittura rincarato al dose: “Non posso dare ragione a chi provoca” chiudendo i porti, ha detto riferendosi a Salvini. E tra le righe, lo spettro Le Pen: “Anche noi abbiamo a che fare con gli stessi”. L’unica gentilezza (“da un anno lavoriamo con l’Italia in modo esemplare”) è riferita al precedente governo: insomma, la toppa peggiore del buco. Fino, appunto, a una tardiva telefonata riparatoria, in cui ha negato di aver pronunciato le frasi riportate dai suoi portavoce. Il nervosismo di Macron è evidente: da una parte, correnti del suo movimento criticano la sua linea e i suoi silenzi su Aquarius, dall’altra, se l’Italia conferma la sua svolta di chiusura dei porti alle navi delle Ong, dovranno essere altri porti nel Mediterraneo ad aprirsi.
Nel frattempo, lo stop alla proposta di riforma del regolamento di Dublino e la decisione di chiudere i porti alle navi delle Ong non hanno affatto isolato il nostro Paese in Europa, da cui tranne l’ipocrita e scomposta reazione macroniana non sono arrivate condanne, né da un punto di vista giuridico né politico. Al contrario, comprensione e attenzione da Bruxelles e Berlino. Come avevamo anticipato la scorsa settimana qui su Atlantico, la svolta di Roma ha fornito la massa critica per un rimescolamento di equilibri e alleanze in Europa sul tema immigrazione e si profila ora un’intesa tra Austria, Germania e Italia (e non solo).
Ma cosa sta succedendo? La scorsa settimana, contro la riforma di Dublino si è formato un inedito blocco di Paesi – Austria, Visegrad, Italia, Spagna. Con pragmatismo la Germania ha preso atto e si è allineata. E in questi stessi giorni è in corso a Berlino un braccio di ferro tra il ministro dell’interno Seehofer, anche leader della CSU, e la cancelliera Merkel, con il primo fautore di una linea più dura, che prevede anche respingimenti, e la seconda per una linea più morbida, di continuità.
Seehofer ha quindi subito approfittato del nuovo contesto che si andava delineando. Ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo italiano Matteo Salvini, da cui è emersa “piena sintonia” e un invito a Berlino: Italia e Germania presenteranno una “proposta comune sulla protezione delle frontiere esterne”. E si è precipitato a Vienna dal cancelliere austriaco Kurz, che tra l’altro dal primo luglio assumerà la presidenza di turno dell’Ue.
A loro volta, Vienna e Roma hanno trovato nel ministro dell’interno tedesco una sponda ideale. Ieri, proprio durante la conferenza stampa congiunta con Seehofer, il cancelliere Kurz ha parlato di un “asse dei volenterosi” tra Austria, Germania e Italia, per combattere l’immigrazione illegale. Ma di questo fronte farebbero parte anche i Paesi di Visegrad e altri Paesi del nord Europa, come Olanda e Danimarca.
In tutto questo, è evidente come la cancelliera Merkel si trovi al momento accerchiata. Colei che in questi anni è stata di fatto la regista delle politiche non solo tedesche ma anche a livello europeo sull’immigrazione, a dire il vero con esiti assai discutibili (il milione di profughi in Germania e le chiavi della rotta balcanica a Erdogan a suon di miliardi), sta per essere esautorata e sostituita al timone dai leader di una nuova alleanza di Paesi promotori di una linea più dura e rigorosa.
Ma al contrario di Macron, la cancelliera tedesca, che ha il suo principale alleato, la CSU, e gran parte dell’opinione pubblica su posizioni “leghiste”, ed è pragmatica, sembra aver preso atto della necessità di scendere a compromessi con il nuovo corso:
“Sull’immigrazione illegale dobbiamo rispondere in modo unitario. Questo tema ha il potenziale di danneggiare l’Europa. Dobbiamo contrastare l’immigrazione illegale e proteggere le frontiere esterne”.
E il suo portavoce Seibert:
“L’Italia per la sua posizione geografica è particolarmente esposta a un numero grande di profughi e di migranti. Noi siamo dell’idea che nessun paese dovrebbe esser lasciato solo con questo compito. Per questo sosteniamo l’Italia, e la riteniamo un importante partner nella ricerca di una soluzione europea”.
Anche a Bruxelles la Commissione sembra pronta a prendere atto dei nuovi equilibri e delle nuove priorità. Il regolamento di Dublino va cambiato ma non è più centrale. Il cuore della questione per tutti questi Paesi non è il ricollocamento di qualche migliaio di rifugiati, che scontenta sia i Paesi di primo approdo che i destinatari di quote obbligatorie, ma la sicurezza dei confini esterni dell’Unione. Sia il cancelliere Kurz che il premier danese Rasmussen hanno accennato a un’iniziativa di un gruppo di Paesi per la creazione, al di fuori del territorio Ue, di centri di accoglienza e identificazione dei migranti, spiegando che l’idea è quella di realizzare “luoghi il meno attraenti possibile”.
Insomma, si profila un deciso cambio di rotta nella politica europea sull’immigrazione. “Dobbiamo decidere noi chi arriva in Europa, non gli scafisti”, ha detto Kurz. Può sembrare paradossale, ma sono i governi “euroscettici” oggi a dimostrarsi gli europeisti più pragmatici, avendo compreso che se non c’è difesa e controllo delle frontiere esterne, sia terrestri che marine, non è solo a rischio una delle più popolari conquiste del progetto europeo, ovvero Schengen, ma l’Unione stessa. Lo spettro, che emerge dalle tensioni laceranti di questi anni tra gli stati membri, è quello di una disintegrazione. Quanto può reggere l’Ue, se si dimostrerà ancora incapace persino di riconoscere e difendere le proprie frontiere, e se i governi nazionali saranno chiamati a gran voce dai loro cittadini a far valere le proprie, ovvero le frontiere interne?
Il paradosso quindi è che per salvare il progetto europeo non si può eludere il tema della sovranità. Una delle funzioni imprescindibili di uno Stato è il controllo e la difesa dei suoi confini. Che sia a livello europeo o nazionale, la sovranità sui confini dev’essere esercitata, perché ne va della tenuta stessa del patto sociale e quindi della comunità politica che vive all’interno di essi. Ma gli europeisti non riescono a comprendere che l’eventuale superamento o svuotamento della sovranità a livello nazionale non può significare superamento o svuotamento della sovranità tout court.
Cosa faranno la Francia di Macron e la Spagna di Sanchez, due Paesi che fino ad oggi hanno perseguito la politica di chiusura che ora vorrebbero rimproverare all’Italia? Forse alla fine di questo rimescolamento stringeremo un pugno di mosche, ma da tempo l’Italia non era così centrale negli equilibri europei come in questi giorni.