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Cos’è il Mes e cosa può fare per l’Italia

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Abbiamo sentito molte critiche al MES, che viene accusato di ledere gli interessi del nostro Paese. Ma che cos’è esattamente questo “fatidico” Meccanismo europeo di stabilità (in inglese ESM – European Stability Mechanism)? Quali sono i suoi compiti e in che modo può influire sull’economia italiana? Dobbiamo anzitutto dire che il MES non è il Fondo salva Stati, bensì un’organizzazione, composta dai ministri finanziari dei Paesi aderenti all’euro, che gestisce il cosiddetto Fondo salva Stati. Il MES è un organismo intergovernativo con sede in Lussemburgo, perciò non può essere considerato un organo dell’Unione europea vero e proprio, in quanto non deve rendere conto né a Bruxelles (sede della Commissione europea) né tanto meno a Strasburgo (sede del Parlamento europeo). E soprattutto non può essere giudicato da nessuno, quindi non è soggetto a sanzioni da parte degli organi competenti dell’Ue, mentre può erogarle a carico degli Stati inadempienti. Inoltre, è un organismo che riguarda solo i Paesi dell’area euro, non tutti i 27 dell’Unione europea: raccoglie fondi esclusivamente dei 19 Stati dell’Eurozona per aiutare finanziariamente quelli che si trovassero in difficoltà. La sua struttura, come vedremo, ricalca quella del FMI (Fondo monetario internazionale), tanto che viene anche definito come “Il Fondo monetario del Vecchio Continente”. La sua azione si svolge in parallelo con la BCE (Banca centrale europea), ma nello stesso tempo deve essere coordinata con quella della Commissione europea. Bisogna tener conto, in poche parole, della presenza incombente della cosiddetta Troika (Banca centrale europea, Commissione europea e Fondo monetario internazionale) sull’operato del Meccanismo europeo di stabilità. Per essere più chiari, se uno stato chiede aiuti finanziari al MES deve essere d’accordo la Troika, che non è stata eletta da nessuno, mentre non viene neanche interpellato il Parlamento europeo, che invece è eletto democraticamente a suffragio universale da tutti i cittadini dell’Unione europea.

Il Fondo salva Stati fu costituito nel 2012 al posto dei due precedenti fondi europei (FESF, il Fondo europeo di stabilità finanziaria, e MESF, il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, nati per salvare dal tracollo economico il Portogallo e l’Irlanda). Ha un capitale sottoscritto (quello che gli Stati si sono impegnati a conferire) di 700 miliardi, di cui ne sono stati versati effettivamente 80. L’Italia ha già versato 14,3 miliardi e si è impegnata a versarne 125,3, con una percentuale del 17,7 per cento sul totale del capitale del MES. È il terzo finanziatore, dopo Germania (26.9 per cento, con 190 miliardi) e Francia (20,2 per cento, con 142 miliardi), ed ha diritto di veto anche sulle decisioni prese per casi di emergenza, avendo una percentuale superiore al 15 per cento. Per inciso le decisioni degli organi del MES normalmente vengono adottate all’unanimità, senza tener conto però degli astenuti, oppure a maggioranze molto ampie (dell’85 per cento).

Qual è la struttura interna del MES? L’organo decisionale è il Consiglio dei Governatori (tutti i 19 ministri finanziari dell’area euro), mentre quello esecutivo è il Consiglio direttivo, o Consiglio di amministrazione, eletto dai Governatori. Poi c’è il direttore generale, Klaus Regling, guarda caso tedesco (e già direttore del precedente fondo europeo FESF). Inoltre, partecipano come “osservatori” (senza diritto di voto) il commissario europeo all’economia e alle finanze (oggi Paolo Gentiloni, proposto dal Governo Conte-bis, ex premier italiano per un anno e mezzo) e il governatore della BCE (ora Christine Lagarde, francese, per due volte direttore del FMI ed autrice della famosa “gaffe”, con la quale affermava che la BCE non ha il compito di ridurre lo “spread”, dopo la quale la Borsa italiana è crollata di 17 punti). Ma consideriamo il personaggio più “competente”: il ministro dell’economia e delle finanze italiano, Roberto Gualtieri, laureato in lettere e filosofia e professore universitario di storia contemporanea. I suoi meriti in ambito economico, oltre all’appartenenza al Partito democratico, in questo momento condizione imprescindibile per un politico italiano che voglia “contare” a Bruxelles (vedi David Sassoli), consistono soprattutto nella laudatio fatta nei suoi confronti da Christine Lagarde e nell’aver presieduto la Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo.

Quali sono gli scopi del Fondo salva Stati? Anzitutto, quello di costituire un “fondo comune” tra gli Stati aderenti all’euro, dotato di disponibilità finanziarie notevoli, tramite i conferimenti dei Paesi membri. Ciò al fine di garantire la stabilità economica dell’area euro. Concretamente, per aiutare, a determinate condizioni, gli Stati che abbiano seri problemi e che quindi chiedano finanziamenti.

E cosa potrebbe fare il MES per l’Italia? Se il nostro governo volesse chiedere un aiuto finanziario al Fondo salva Stati dovrebbe per prima cosa presentare domanda al presidente del Consiglio dei Governatori. Sappiamo che il Consiglio dei Governatori, formato dai ministri finanziari dei 19 Stati dell’euro, è l’organo del MES che adotta le decisioni. Secondo passaggio: il MES interpella, per verificare l’affidabilità del Paese in questione, sia la Commissione europea (Ursula Von der Leyen) sia la BCE (Christine Lagarde) ed eventualmente anche l’FMI (qualcuno mi sa spiegare perché debba essere chiamato in causa, per le questioni riguardanti i Paesi dell’area euro?). Per ottenere il prestito agognato, lo Stato questuante, però, dovrebbe accettare un “piano di ristrutturazione” del debito pubblico. Questo vuol dire tagliare drasticamente la spesa pubblica per investimenti, chiudere ospedali, caserme, privatizzare le imprese pubbliche, ridurre le pensioni, etc. Non solo, ma tale piano deve ottenere il “placet”, come abbiamo visto, della Troika. Questo tipo di intervento è stato attuato finora solo per la Grecia, fino al 2018, mentre altre forme di aiuto finanziario sono state attuate per Cipro, Spagna, Portogallo e Irlanda. Per avere i soldi necessari a tali sostegni finanziari il MES può inoltre emettere titoli di debito, garantiti dagli Stati, fino a 700 miliardi. In tal modo può ottenere le disponibilità finanziarie necessarie ad aiutare i Paesi che ne facciano richiesta: ad esempio, per ricapitalizzare le banche.

Ma ci sono anche altre possibilità di aiuti: per prevenire il default vero e proprio di uno Stato in crisi, il MES può aprire anche “linee di credito precauzionali”, che a loro volta sono di due tipi: “semplice” (PCCL, Precautionary Conditional Credit Line), per gli Stati che riescono a rientrare nelle condizioni previste dal “Patto di Stabilità”, non avendo grossi problemi a livello economico e finanziario, e “a condizionalità rafforzata” (ECCL, Enhanced Conditioned Credit Line), per quegli Stati che invece non rispettano i parametri dell’Unione europea. A questi ultimi pertanto vengono richieste misure correttive ben precise di politica economica.

Cosa cambierebbe con la riforma? Nella proposta di riforma, per il Paese che chiede l’aiuto finanziario, oltre alla “sostenibilità del debito” (concetto che andrebbe definito in maniera più precisa) viene chiesta la verifica della effettiva possibilità di restituire il prestito ottenuto (cioè la capacità di poter pagare il debito). Per quanto riguarda le linee di credito precauzionali, è stato evitato (su richiesta dell’Italia e di altri Stati problematici) di rendere necessario un accordo dettagliato e specifico di misure economiche da adottare da parte del Paese in crisi, ma sono state introdotte, su insistenza della Germania e di altri Stati del Nord Europa, altre condizioni. Queste sono, in buona sostanza, i soliti stramaledetti “parametri di Maastricht”: il deficit non deve superare il 3 per cento del Pil negli ultimi due anni, il debito pubblico non deve essere maggiore del 60 per cento del Pil, oppure deve essere stato ridotto di un ventesimo negli ultimi due anni, etc. Tali condizioni rendono impossibile, di fatto, a 10 dei 19 Paesi dell’Eurozona (tra cui l’Italia) di poter accedere a tali forme di sostegno economico. Una modifica favorevole, invece, ai Paesi più deboli sarebbe la possibilità che il MES finanzi il Fondo di risoluzione unico, un istituto che ha il compito di salvare le banche in crisi, fino a 55 miliardi.

Ma ciò che maggiormente preoccupa è l’ultimo cambiamento previsto da questa riforma: la possibilità di emettere obbligazioni che, al momento in cui il Paese chiede il finanziamento al MES, possono perdere valore e quindi far diminuire la somma investita dai privati verso il Paese indebitato. Questo significherebbe far pagare la crisi ai risparmiatori che hanno comprato i titoli di stato. Cosa fare, allora, se si volesse salvaguardare la moneta unica? Seguire le indicazioni di Mario Draghi, che nel 2012, quando era presidente della BCE, disse che avrebbe fatto “whatever it takes”, qualunque cosa serva, per salvare l’euro e quindi propose gli OMT. E che cosa sono questi famigerati OMT (Outright Monetary Transactions), peraltro mai utilizzati in otto anni? Consistono in un intervento della Banca centrale europea, che decide di acquistare titoli di un singolo Stato sul mercato secondario (ossia quelli che sono già stati emessi ed acquistati) per sostenere il debito di un Paese. Questo intervento sarebbe senza limiti, però viene condizionato all’accettazione, da parte del MES, di un “piano di aggiustamento” dell’economia nazionale. Un’altra possibilità, caldeggiata da più parti (anche da Mario Monti) è quella della emissione di titoli europei, i cosiddetti eurobond, ora ribattezzati coronabond. La presidente della BCE, Christine Lagarde, ha chiesto ai ministri delle finanze europei (e quindi al MES) un parere sulla emissione di questi “titoli del debito congiunto”, che servirebbero a ottenere fondi necessari alla ricostruzione economica conseguente alla crisi del coronavirus. Tale proposta è appoggiata fortemente dagli Stati in crisi, tra cui l’Italia, mentre è osteggiata da Germania e Olanda, Paesi “virtuosi” che mal sopportano l’ipotesi di caricarsi dei problemi economici altrui. Questo sarebbe, a mio parere, un modo di procurarsi le risorse economiche necessarie per effettuare le spese per investimenti atte a far ripartire l’economia di una nazione. Non è chiaro però se l’emissione di tali titoli sarebbe demandata ad ogni singolo Stato (come preferirebbero gli Stati deboli) oppure alla BEI (Banca Europea per gli Investimenti), cosa che tranquillizzerebbe la Germania.