Crescita economica senza democrazia. Il modello cinese nelle parole di Milton Friedman

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Quando le ricette socialiste conoscevano la loro massima espansione, lui difendeva il libero mercato. Mentre gli intellettuali americani pensavano alla “società”, lui ragionava di individuo. In un mondo di soli keynesiani, rinnovò il pensiero liberista aprendo la strada a Margaret Thatcher in Gran Bretagna ed a Ronald Reagan negli Stati Uniti. Stiamo parlando ovviamente di Milton Friedman, tra i grandissimi del pensiero liberale nonché premio Nobel per l’economia nel 1976.

Oltre alle storiche battaglie a difesa del libero mercato, delle libertà civili e di quelle economiche, l’economista americano fu tra i primi a comprendere il potenziale di crescita dell’economica cinese. 

La base del successo non fu – come molti pensano – la terza via del “capitalismo rosso”, ma al contrario la graduale riduzione dell’intervento statale nel campo economico.

A partire dalla fine degli anni Settanta, l’introduzione delle riforme di mercato di Deng Xiaoping – fra tutte si ricordano le privatizzazioni dell’agricoltura – hanno consolidato il passaggio da un’economia pianificata ad una di mercato, in cui il settore privato contribuisce oggi per oltre il 60 per cento del Pil cinese.

Nella prefazione all’edizione del 2002 di “Capitalismo e Libertà”, il premio Nobel spiega:

“[…] Numerosi Paesi dell’Asia e dell’America Latina, oltre a molti degli ex Stati satellite dell’Unione Sovietica, hanno adottato politiche favorevoli al mercato e ridimensionato il ruolo dello Stato. In tutti questi casi, l’aumento della libertà economica ha prodotto maggiore prosperità. Il capitalismo, la concorrenza e la libertà sono inseparabili.”

Questo risultato si è potuto raggiungere con il progressivo aumento delle libertà economiche, confermando la fede nella capacità di trasformazione che solamente il libero mercato può avere. 

In un’ottica liberale, lo stesso Friedman credeva che l’apertura economica della Cina non fosse però sufficiente per aprirle la strada verso il pantheon delle democrazie occidentali. La sua critica al sistema cinese si concentra sul ruolo delle libertà politiche:

“Mentre la libertà economica è una condizione necessaria per godere delle libertà civili e politiche; la libertà politica, per quanto possa essere auspicabile, non è invece una condizione necessaria per l’instaurazione della libertà economica e civile.”

La Cina è diventata il convitato con cui l’Occidente deve necessariamente confrontarsi, ma va osservata con diffidenza: le libertà politiche e la vita di chi dissente non possono mai essere sacrificate. Se per noi occidentali tutto ciò appare ormai scontato, il regime cinese resta di diverso avviso ed è riuscito a far sopravvivere all’apertura dell’economia ai privati uno dei sistemi politici più chiusi al mondo.

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