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CSM-GATE – Il Csm usato dalla sinistra politica e giudiziaria come arma contro gli avversari. Non una notizia, una conferma

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Il Csm-gate, lo scandalo politico e istituzionale che dallo scorso anno sta investendo il Csm, l’Anm, fino a lambire le più alte cariche dello Stato, si allarga sempre di più ogni giorno che passa. Le intercettazioni pubblicate dal quotidiano La Verità dopo la chiusura delle indagini della Procura di Perugia restituiscono uno spaccato indecente e allarmante: uso politico della giustizia e del Csm, logiche spartitorie e predatorie tra le correnti della magistratura sulle nomine ai vertici delle procure. Come abbiamo scritto su Atlantico Quotidiano, l’autogoverno della magistratura ha fallito come principio e non basta una riforma, che comunque nessuno oggi vuole veramente (è già passato un anno e non c’è nemmeno una bozza), ma occorre un azzeramento e un cambio di paradigma. Il fatto che i giornali mainstream appaiono disinteressati, per una volta, alle intercettazioni – forse perché coinvolti con le loro firme più note nella collusione con le correnti politiche della magistratura – non rende certo meno grave il Csm-gate né giustifica il silenzio del Quirinale.

Ieri, è emerso come il Csm, l’organo costituzionale di autogoverno della magistratura, sia stato piegato agli interessi di bottega di una parte politica: il Partito democratico. Con la complicità dei magistrati amici. Non è una novità, è così da almeno quarant’anni, è accaduto con Craxi e con Berlusconi. Ma ora, il modus operandi risulta nelle carte di un’inchiesta.

Riflettete su questo: un vicepresidente del Csm di provenienza politica, Partito democratico, lo stesso partito del presidente della Repubblica (e presidente del Csm), avrebbe orchestrato insieme ad un consigliere del Csm, leader di Unicost ed ex presidente dell’Anm (associazione che riunisce tutte le correnti della magistratura), un attacco coordinato contro il ministro dell’interno, e leader del principale partito avversario, finalizzato a legittimare un intervento dello stesso Csm, dietro il solito paravento dell’indipendenza della magistratura, a sostegno dell’indagine sulla nave Diciotti. Che indipendenza! Il Csm usato per attaccare l’avversario politico…

È quanto emerge dagli ultimi messaggi delle chat di Luca Palamara, sotto inchiesta a Perugia, pubblicate ieri dal quotidiano La Verità, che spiegano forse quell’imbarazzante scambio di messaggi tra Paolo Auriemma, capo della Procura di Viterbo, e lo stesso Palamara: l’incriminazione di Salvini per il caso Diciotti è “indifendibile”, sosteneva Auriemma. “Hai ragione. Ma adesso bisogna attaccarlo”, rispondeva Palamara. Una incriminazione giuridicamente indifendibile e ideologicamente motivata, come spiega Fabrizio Borasi nella sua puntuale analisi per Atlantico Quotidiano.

Ora, forse, sappiamo il perché. Ordini superiori…

Siamo nell’ultima settimana dell’agosto 2018, alla Procura di Agrigento c’è un fascicolo aperto contro ignoti (per ora) sul caso della nave Diciotti. Tra i reati ipotizzati, sequestro di persona. Le polemiche politiche, come ricorderete, infuriano. L’ignoto tanto ignoto non è: come tutti intuiscono, è il ministro e vicepremier Matteo Salvini. Il 24 agosto, come riporta La Verità, l’allora vice presidente del Csm Giovanni Legnini (sottosegretario in due governi a guida Pd, voluto da Matteo Renzi ai vertici del Csm) scrive al consigliere Palamara: “Luca, domani dobbiamo dire qualcosa sulla nota vicenda della nave (Diciotti, ndr). So che non ti sei sentito con Valerio (il consigliere del Csm in quota Area, Valerio Fracassi, ndr). Ai (Autonomia e indipendenza, ndr) ha già fatto un comunicato, Area (la corrente di sinistra delle toghe, ndr) è d’accordo a prendere un’iniziativa, Galoppi idem (il consigliere del Csm Claudio Galoppi, ndr). Senti loro e fammi sapere domattina”. Palamara risponde: “Ok, anche io sono pronto. Ti chiamo più tardi e ti aggiorno”. Legnini insiste: “Sì, ma domattina dovete produrre una nota, qualcosa insomma”.

A quel punto, come riporta sempre La Verità, Palamara scrive a Fracassi e i due si incontrano il giorno successivo. Palamara quindi riceve un messaggio: “Dobbiamo sbrigarci! Ho già preparato una bozza di richiesta. Prima di parlarne agli altri concordiamola noi”. Le firme, decidono i due, saranno inserite “in ordine alfabetico”. Il pomeriggio del 25 agosto, agenzie di stampa e giornali online danno la notizia: quattro consiglieri del Csm (Fracassi, Galoppi, Morgigni e Palamara) chiedono di inserire il caso Diciotti – in particolare le parole del ministro Salvini sull’apertura del fascicolo ad Agrigento – all’ordine del giorno del primo plenum del Csm. Nella nota si legge che “la verifica del rispetto delle norme è doverosa nell’interesse delle istituzioni”, che gli interventi di esponenti politici e delle istituzioni “rischiano di incidere negativamente sul regolare esercizio degli accertamenti”, e quindi “riteniamo necessario un intervento del Csm per tutelare l’indipendenza della magistratura e il sereno svolgimento delle attività di indagine”. Legnini, che quella nota aveva sollecitato, chiude il cerchio con un suo comunicato, assicurando che l’istanza sarà trattata nel primo comitato di presidenza: “Il nostro obiettivo è esclusivamente quello di garantire l’indipendenza della magistratura”, ribadisce con incredibile faccia tosta.

Ma quali erano state le parole di Salvini così lesive dell’indipendenza della magistratura? “Interrogasse me. Se questo magistrato vuole capire qualcosa deve evitare i passaggi intermedi. Visto che c’è questo presunto sequestratore, che per qualcuno sarei io, sono disponibile a farmi interrogare domani mattina”.

Tra l’altro, al pm di Agrigento Luca Patronaggio, che aveva aperto l’indagine sulla Diciotti, era già arrivato in privato il sostegno sia di Palamara (“ti chiamerà Legnini, siamo tutti con te”), che di Legnini (“mi ha già chiamato e mi fa molto piacere”).

Insomma, quattro consiglieri del Csm invocavano un intervento del Csm a sostegno dell’indagine, e contro il ministro Salvini, che in realtà aveva sollecitato il vicepresidente Legnini, del Partito democratico.

Ma dalle chat pubblicate ieri emergono anche gli “interessamenti” e le “manovre”, sulle nomine e sui casi più “politici” all’esame del Csm, dell’allora capo della Procura di Roma Giuseppe Pignatone, che insieme all’allora vicepresidente Legnini e al consigliere Palamara formava, secondo il quotidiano La Verità, una “squadra affiatata”. Negli scambi di messaggi con Palamara, Pignatone appare molto interessato alle audizioni e agli sviluppi della verifica in corso in prima commissione del Csm sulle indagini condotte dal pm Henry John Woodcock sul caso Consip, che come ricorderete aveva coinvolto la famiglia dell’ex premier Matteo Renzi. Molto interessato anche alle nomine ai vertici della Procura di Roma e della Procura di Perugia, competente per i reati contestati ai magistrati di Roma, tanto da complimentarsi entusiasticamente con Palamara nell’apprendere della nomina di magistrati a lui graditi.

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