Ma la degenerazione ai vertici della magistratura non si può liquidare come un problema di “modestia etica” e di “malcostume” di qualche mela marcia. Lo scandalo Csm è politico; il problema è sistemico, strutturale e decennale; e i suoi effetti sono eversivi
Il presidente Mattarella ha parlato, l’Anm ha eseguito: Luca Palamara espulso per direttissima dall’associazione. Espressioni forti – almeno rispetto a quelle cui ci ha abituati in pubblico – quelle usate dal presidente della Repubblica giovedì scorso, quando è tornato sul caso Palamara/Csm, dicendosi sconcertato dalla “modestia etica” e dal “dilagante malcostume” emersi nelle ultime settimane dalle chat dell’ex consigliere del Csm, agli atti della Procura di Perugia.
Ma esattamente come per la corruzione e il finanziamento dei partiti nella Prima Repubblica, anche stavolta non è moralisticamente, prendendosela con il discutibile senso etico e civico di qualcuno, che si può pensare di cavarsela, assolvendo di fatto un intero sistema.
L’Anm ha interpretato alla perfezione il messaggio arrivato dal capo dello Stato e senza pensarci su due volte ha deciso di fare di Palamara il capro espiatorio, espellendo solo lui dall’associazione.
Ma la degenerazione ai vertici della magistratura cui ci troviamo di fronte non si può liquidare come un problema di “modestia etica” e di “malcostume” di qualche mela marcia. Lo scandalo Csm è politico, perché coinvolge una precisa parte politica; il problema è sistemico, strutturale e decennale; e i suoi effetti sono eversivi.
Dice la verità Palamara, quando scrive (nella memoria che nemmeno gli è stato permesso di presentare per difendersi davanti al Comitato direttivo dell’Anm):
“Non farò il capro espiatorio di un sistema… Non mi sottrarrò alle responsabilità politiche del mio operato per aver accettato ‘regole del gioco’ sempre più discutibili. Ma dev’essere chiaro che non ho mai agito da solo. Sarebbe troppo facile pensare questo. Ognuno aveva qualcosa da chiedere, anche chi oggi si strappa le vesti. Penso ad alcuni componenti del collegio dei probiviri che oggi chiedono la mia espulsione, oppure a quelli che ricoprono ruoli di vertice all’interno del gruppo di Unicost, o addirittura ad alcuni di quelli che siedono nell’attuale Comitato direttivo centrale e che hanno rimosso il ricordo delle loro cene e dei loro incontri con i responsabili giustizia dei partiti di riferimento”.
Palamara è colui che è stato beccato a fare da regista pro tempore di un sistema fin troppo consolidato, da tempo ormai un segreto di Pulcinella, ma che da sempre ha centinaia di interpreti, sceneggiatori e produttori, sia lato magistratura, che lato politica e stampa.
Ma l’approccio di Mattarella ha anche un altro livello di lettura. Perché non è, ovviamente, che si disconosca l’esigenza, persino l’urgenza di una riforma. Sarebbe troppo, a questo punto. La preoccupazione è che non diventi un’occasione per minare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Ecco, quindi, che l’approccio etico serve a veicolare il concetto che la responsabilità del cambiamento spetta anzitutto ai magistrati stessi, e naturalmente dal punto di vista normativo alla stessa sinistra, al governo per otto degli ultimi nove anni, che in quel sistema è perfettamente inserita e lo utilizza per perseguire i suoi scopi.
Insomma, il sistema pretende di autoriformarsi per salvarsi e perpetuarsi, cambiare tutto perché nulla cambi, mentre dovrebbe subirla una vera riforma, se il potere politico non fosse o colluso (la sinistra) o sotto ricatto (sia destra che sinistra: sì, quest’ultima è sia collusa che sotto ricatto)…
Come abbiamo già osservato su Atlantico Quotidiano, per “sciogliere” il Partito dei giudici non basta una riformicchia, tanto meno proposta e tradotta in norme dagli stessi che hanno perpetuato quel sistema traendone vantaggi personali e politici. L’Anm in sé, come espressione del correntismo politico all’interno della magistratura, è la malapianta che per prima andrebbe estirpata. Sciolta, con divieto di ricostituzione di associazioni di simile natura. Occorrerebbe però cambiare paradigma. Riconoscere che l’autogoverno della magistratura come principio ha fallito. L’autonomia e l’indipendenza tanto sbandierate, lungi dal rappresentare garanzia di correttezza e imparzialità, sono sfociate nella totale irresponsabilità. Il non dover rispondere ad alcuno se non a se stessi, in quanto casta, è il paravento dietro cui si nasconde la parzialità di interessi e di agende politiche venuta alla luce dal caso Palamara.
È lo stesso presidente Mattarella, infine, così attento a non travalicare i limiti dei poteri presidenziali, e puntuale nel ricordarli a chi invoca un suo intervento sul Csm, ad aver firmato negli ultimi mesi decreti legge dagli evidenti profili di incostituzionalità. Ci riferiamo al decreto che ha attribuito al presidente del Consiglio “pieni poteri” nell’adottare tramite Dpcm le restrizioni del lockdown e a quello, più recente, che attribuisce al ministro dell’economia Gualtieri “pieni poteri” nel disporre di 80 miliardi di euro, l’intera somma degli scostamenti di bilancio approvati, passando sopra agli altri ministri (in teoria suoi pari), al premier e al Parlamento. Inutile spiegare perché si tratta di pericolosi precedenti per la nostra democrazia.