Cultura

25 aprile: 150 anni dalla nascita di Guglielmo Marconi

Nella ricorrenza della Liberazione ricordiamo un grande italiano, la sua enorme opera scientifica e la straordinaria attività d’impresa internazionale

Guglielmo Marconi (Raitre)

Non è facile, anzi è molto difficile, tracciare in poche pagine un ritratto di un personaggio storico del calibro di Guglielmo Marconi, sia per la sua enorme opera scientifica, che per la straordinaria attività d’impresa internazionale e per le vicende personali, a volte quasi bizzarre, che accompagnarono la sua vita. Mi vorranno perdonare i lettori per la concisione e la schematicità di questo estratto condensato, a cui ho dovuto sottoporre il capitolo sul grande scienziato di Bologna, che verrà pubblicato integralmente all’interno del libro “Pionieri”, al quale ancora sto lavorando e che andrà in stampa entro la fine della prossima estate.

Esattamente il 25 aprile ricorre il centocinquantesimo della sua nascita e qui, su Atlantico Quotidiano, vogliamo commemorarlo proprio oggi.

L’inizio di una grande storia

Alle ore 9,15 del 25 aprile 1874, a Palazzo Marescalchi, un edificio settecentesco in Bologna, nasceva Guglielmo Marconi, figlio di Giuseppe, un agiato proprietario terriero di Pontecchio e della nobildonna irlandese Annie Jameson, a sua volta nipote del fondatore della celeberrima distilleria Jameson & Sons. Un giardiniere della villa, recatosi a portare il suo saluto alla puerpera, osservò (non propriamente in modo educato) che il neonato aveva grandi orecchie, al che la madre de piccolo Guglielmo rispose: “Riuscirà a udire l’impercettibile voce dell’aria”. Parole profetiche.

Fu insolita, la scelta dei genitori del giovane Guglielmo d’impartirgli un’educazione privata, con insegnanti italiani e britannici, e proprio in Gran Bretagna e Irlanda, il giovane trascorse la gran parte della sua giovinezza. Un grande italiano a cui fu più congeniale la mentalità tipicamente anglosassone, più affine al sentimento della sua famiglia, dal momento che lo stesso suo padre assunse la cittadinanza del Regno Unito.

Della straordinaria vita dello scienziato bolognese, nella quale i meriti furono talmente innegabili ed evidenti da agilmente superare le immancabili dispute e controversie scientifiche, basti ricordare che, pur non possedendo alcuna laurea, a lui venne assegnato, nell’anno 1909 il Premio Nobel per la Fisica e che gli venne conferita le prestigiosissima presidenza dell’Accademia d’Italia, il massimo consesso scientifico di quel tempo.

L’ossessione di Guglielmo

Va detto che tutta la prima parte della ricerca di Marconi fu il tentativo di dare uno sbocco alla sua ossessione scientifica: comunicare attraverso segnali elettrici senza utilizzare dei fili conduttori. Come Cristoforo Colombo nella sua ardimentosa certezza che oltre l’Atlantico vi fossero le Indie, come Galileo, che nel suo “Eppur si muove” volle dimostrare la rotazione terrestre, ancora una volta un’incrollabile certezza – benché ancora tutta da dimostrare – diventa ragione di vita e passione totalizzante che persino travalica il mero scopo scientifico.

In qualche modo, si può dire che Marconi letteralmente utilizzò le scintille emesse dai dispositivi “Coherer” che sperimentò già all’età di 17 anni come innesco del grande incendio della conoscenza e del progresso scientifico: una fiammata che avrebbe cambiato il mondo per sempre.

SI trattava di superare, d’un solo balzo, l’allora ancor giovane tecnica della telegrafia via cavi telegrafici intercontinentali, che già all’epoca permetteva la comunicazione a distanza utilizzando il linguaggio dell’alfabeto Morse, fatto di punti e linee. Marconi volle ardentemente sciogliere quella connessione fisica tra trasmettitori e ricevitori telegrafici affidandosi alle onde elettromagnetiche, che già da giovanissimo riuscì ad irradiare nell’etere coi suoi apparecchi dotati di rudimentali antenne rice-trasmittenti.

Dopo innumerevoli prove ed esperimenti realizzati nel suo laboratorio casalingo e con la collaborazione di amici e parenti come aiutanti sul campo, finalmente, nel 1896, a soli 22 anni, poté dare prova definitiva della possibilità di trasmettere segnali elettrici (o meglio, elettromagnetici) nell’aria. Dalla terrazza del Post Office di Londra, premendo un pulsante collegato alla sua complessa apparecchiatura dotata di antenna, egli poté far squillare un campanello elettrico posto ad un miglio di distanza, lungo le sponde del Tamigi. Il grande passo era, dunque, compiuto e l’era della telegrafia senza fili iniziata.

Il successo

Da lì in poi, quello di Guglielmo Marconi fu un cursus honorum caratterizzato, oltre che da crescente popolarità e da sempre più autorevoli manifestazioni di stima, dal diffuso impiego della nuova tecnologia, tanto per fini civili che militari, con evidente enorme interesse dei Ministeri della Guerra di molte nazioni e da parte di numerose società commerciali che non tardarono a far giungere a Marconi moltissime proposte di sfruttamento commerciale delle sue complesse apparecchiature di trasmissione senza fili, che peraltro lo stesso Marconi si premurò di brevettare da subito.

Ma non solo: seppe svilupparle industrialmente, attraverso la Marconi’s Wireless Telegraph Company, dimostrando una capacità imprenditoriale nient’affatto minore del suo genio creativo. Per la verità, vi furono ardenti controversie scientifiche sulla paternità della prima radio. La più accanita, fu, in realtà, iniziata per motivi di prestigio politico dal regime dell’Urss, a cui faceva comodo sostenere che il fisico russo Aleksandr Stepanovič Popov avesse “battuto sul tempo” il grande italiano nella realizzazione del primo esemplare funzionante di apparato radiotelegrafico.

In realtà, Popov, che certamente ebbe numerosi contatti con il nostro nella prima parte dei suoi esperimenti, sperimentò apparecchiature concettualmente simili ad un radioricevitore, ma limitando il suo campo di ricerca alla rilevazione delle scariche elettriche dei temporali. Fu, comunque, lo stesso Popov a riconoscere di essere stato sopravanzato e preceduto al traguardo dal rivale. Su questo punto, è oggi noto un documento, che i sovietici non vollero mai divulgare: una fotografia ritraente i due ricercatori a bordo della nave italiana ‘Carlo Alberto’ in occasione di una visita ufficiale nel porto russo di Kronstadt. La dedica autografa di Popov sul retro della fotografia recitava testualmente:

A Guglielmo Marconi, le pere de la thelegraphye sans fil – Kronstadt, 14 juillet 1902

Più chiara ed incontrovertibile di una dichiarazione autografa non si potrebbe chiedere. Fa parte della storia, ed è conosciuta universalmente, la cronaca del più straordinario successo scientifico di Marconi, coronato il 12 dicembre 1901, quando un segnale radio emesso dal trasmettitore marconiano posto a Poldhu in Cornovaglia venne correttamente ricevuto dalla stazione ricevente a St. John’s nella Penisola di Terranova, attraversò l’intero Oceano Atlantico per oltre 3.000 chilometri dalle onde radio che il grande scienziato italiano aveva letteralmente dominato.

Sia detto in estrema sintesi, benché a chi scrive appaia quasi irriverente rispetto alla mole e importanza delle scoperte e realizzazioni pratiche di Marconi, che lo stesso, dai primi segnali telegrafici e dai primi impulsi a distanza che potevano addirittura accendere le luci di un edificio dall’altra parte dell’Oceano, teorizzò persino quello che oggi chiamiamo radar, iniziando l’epoca che ci ha dato, oltre al radar, la radioastronomia, il sonar, la telefonia mobile, la radiodiffusione commerciale, la radionavigazione ed altre applicazioni oggi indispensabili tanto in ogni settore della nostra vita.

In pochi anni, dal termine “radiotelegrafia” si era passati al più ampio concetto di “radio” e la paternità è certa perché i principi scientifici di base della radio scoperti da Marconi e, soprattutto, da lui messi in esercizio pratico, quelli erano all’inizio del XX Secolo e quelli rimangono tutt’oggi.

Vita privata

Non altrettanto conosciuti sono gli aspetti relativi all’uomo Marconi, alla sua vita straordinaria ma non priva di alcuni controversi risvolti del carattere spigoloso che lo contraddistinsero. Un ritratto più intimo ci perviene dalla figlia Degna. In questa straordinaria testimonianza, raccolta nel libro “My Father, Marconi”, edito per l’Italia da Arnoldo Mondadori nel 1962, del quale ebbe grandissima diffusione l’estratto, pubblicato a puntate dalla rivista “Epoca” nello stesso anno, essa rese noti alcuni aspetti ed eventi ancora del tutto sconosciuti della vita a Villa Griffone, la storica residenza della famiglia a Pontecchio.

Tanto per farsi un’idea precisa del carattere e dell’intensità della passione del giovane Guglielmo per i suoi esperimenti, citiamo dal libro di Degna Marconi alcuni passi significanti:

A Pontecchio, Guglielmo usciva così di rado dal laboratorio, che la madre, preoccupata dalla sua magrezza, incominciò a portargli vassoi col cibo, deponendoli sul pianerottolo davanti alla porta chiusa a chiave: il padre smaniava.

L’alleato di Guglielmo era Alfonso, il caro Alfonso, cosi affettuoso e colmo di ammirazione per il fratello minore, cosi generoso nel suo appoggio. Ad Alfonso venne affidato l’apparecchio ricevente. Aiutato da un contadino del posto, egli doveva portarlo a distanza sempre maggiore dall’apparecchio trasmittente. Ebbe inoltre in consegna una alta asta, alla cui sommità era assicurato un fazzoletto bianco: se Alfonso riceveva un messaggio trasmesso da Guglielmo, doveva sollevare l’asta e agitarla, in modo che il fazzoletto, sventolando nella brezza, potesse essere veduto da casa. Il fazzoletto bastava a segnalare il successo dai campi situati davanti a villa Grifone, ma non sarebbe stato visibile se Alfonso si fosse portato al lato opposto della collina, dietro la casa, e Marconi sapeva che la sua invenzione “non avrebbe avuto importanza alcuna se non avesse reso possibili le comunicazioni oltre ostacoli naturali come colline e montagne”. Alfonso si munì allora di un fucile da caccia, e, di buon passo, si incamminò sullo stretto sentiero che passava accanto agli edifici della fattoria. Si era ormai alla fine di settembre, le viti erano cariche di grappoli viola e l’aria sapeva di vino. Occorrono venti minuti per superare a piedi il crinale della collina. Alfonso si incamminò per primo, seguito da un contadino e da un falegname che portava l’antenna. Da una finestra, silenzioso e teso, Guglielmo segui la marcia del piccolo corteo, finché esso scomparve dietro il placido orizzonte.

Il resto è storia patria, anzi, storia del mondo. Nelle tante fotografie che ripresero i numerosi momenti di celebrità di Marconi, non lo si vede mai sorridere. Ebbe, infatti, un carattere introspettivo e un’indole tendente ad apprezzare la solitudine che non l’abbandonarono mai. Ai suoi cinque figli – tre bambine e un maschietto con la prima moglie, la contessa irlandese Beatrice O’Brien e la sua ultimogenita, Maria Elettra, avuta dalla seconda moglie, la marchesa Maria Cristina Bezzi-Scali, egli volle impartire un’educazione rigida (per non dire militaresca), retaggio della stessa severità con la quale suo padre Giuseppe aveva cresciuto lui stesso.

Ma non fu certamente uomo privo di sentimenti né insensibile al fascino dell’arte, della musica e della Natura, che amò invece appassionatamente e che occupavano spesso il suo pochissimo tempo libero. Era, insomma, uno di quegli uomini tutti d’un pezzo che credevano in ciò che facevano e facevano soltanto ciò in cui credevano, un precursore di tempi che già vedeva delinearsi con chiarezza perché convinto della validità delle sue teorie.

Il 25 settembre del 1910, mentre Guglielmo Marconi rientrava con la sua Isotta Fraschini da Coltano, vicino a Pisa, luogo ove impiantò la prima stazione radiotelegrafica italiana, ebbe un incidente stradale nel pressi di La Spezia, a causa di un’auto che aveva invaso la sua corsia di marcia. Gli occupanti della macchina guidata dallo stesso Marconi, tra i quali la moglie, riportarono diverse ferite. La figlia Degna narra nel suo libro la laconica frase del padre, subito dopo l’incidente: “Credo di aver perso un occhio”. In effetti, perse la vista da quell’occhio, rischiando addirittura di rimanere cieco da entrambi.

Le sempre più frequenti dimostrazioni dell’utilità rivoluzionaria delle invenzioni del grande scienziato bolognese gli fruttarono un’immensa ondata di gratitudine totalmente condivisa, oltre alla consolidata ammirazione trasversale che aumentarono a dismisura i suoi impegni. Egli era solito rispondere personalmente, coadiuvato dalla moglie Beatrice, ad ogni lettera, anche soltanto di semplice ringraziamento, che gli giungesse.

Tutto ciò ebbe un effetto inusitato: la gran mole di lavoro e le sempre meno ore di sonno di Guglielmo, lo spinsero a cercare rilassamento e svago in tutt’altro modo di quanto ci si potrebbe immaginare parlando di un rigoroso ed osservante padre di famiglia. Dopo una caotica giornata di lavoro e mille contatti coi più autorevoli personaggi del mondo, non era un libro aperto sul quale reclinare la testa al cadere della notte, ma fu spesso il letto di una delle tante ammiratrici che mai gli mancarono, sin dalla sua prima notorietà.

Un lato caratteristico della complessa personalità del grande di Pontecchio era, appunto, quello di essere piuttosto sensibile al fascino femminile. Oltretutto era un bell’uomo e certamente abbondava di carisma e di quel fascino tenebroso e volitivo che da sempre fanno presa sicura sulle donne e, nel suo caso, mieterono numerose vittime negli ambienti eleganti e patinati che, per forza di cose, fu quasi costretto a frequentare. Un po’ meno contenta di tanto successo con le donne fu Beatrice, la quale già gli aveva perdonato lo spiacevole episodio nel quale, dopo aver affrontato, per di più incinta, un faticoso viaggio a bordo di un rimorchiatore per raggiungerlo sul transatlantico sul quale si trovava il marito e fargli un’improvvisata, lo trovò amabilmente circondato da belle signore adoranti e nemmeno troppo felice di vederla.

Nell’eterna contraddizione di chi pone su un piano superiore la famiglia, almeno in modo apparente, salvo rifugiarsi in relazioni pseudo amorose “di poca importanza”, Marconi visse, da quel punto di vista, la leggerezza spensierata di Stefan Arkadevic in “Anna Karenina” a danno della pur adorata moglie, Dolly.

Con la seconda moglie, Maria Cristina Bezzi-Scali, sposata nel 1927, dopo il divorzio e l’annullamento canonico del primo matrimonio con Beatrice O’Brien, le cose andarono meglio. Di famiglia molto religiosa e personalmente legata al Cardinale Eugenio Pacelli, il futuro Papa Pio XII, lo stesso Marconi ebbe molta confidenza col predecessore di Papa Pacelli, quel Papa Pio XI per il quale realizzò la Radio Vaticana. Fu così che la marchesa Cristina ottenne che il secondo matrimonio di Guglielmo fosse celebrato dallo stesso Cardinal Pacelli. Dalla loro unione nacque l’ultima figlia, non a caso battezzata con lo stesso nome del celeberrimo panfilo, l’Elettra, sul quale la famiglia visse per anni e a bordo del quale lo scienziato realizzò i più importanti collegamenti internazionali di quella parte della sua strabiliante vita.

La tragedia del Titanic sfiora la famiglia Marconi

La tragica vicenda del naufragio del Titanic della notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912 è talmente nota e tante sono state le ricostruzioni e le narrazioni derivatene da non venire approfondita qui, tranne che per un paio di particolari che si collegano a questo racconto per il loro aspetto umano. Pur essendo stato invitato dalla White Star Line come più prestigioso ospite al viaggio inaugurale della più grande e bella nave mai costruita fino allora, Marconi aveva deciso di andare in America col transatlantico Lusitania, lasciando il posto alla consorte, Beatrice, la quale, tuttavia, non s’imbarcò sul Titanic per un puro caso, ossia per un improvvisa febbre del figlio Giulio.

Quando il Lusitania attraccò a New York, il 15 aprile, Marconi subito s’accorse che in porto regnava un certo disorientamento e che tutti parlavano di una grande tragedia, avvenuta poche ore prima in mare. Acquistata una copia del New York Times poté leggere, a grandi titoli in prima pagina, un articolo che riportava il contenuto di un messaggio radiotelegrafico ricevuto dalla stazione Marconi di Cape Rice, a Terranova, Canada:

Alle ore 22,25 di questa notte il Titanic ha urtato un iceberg in posizione 41.46 Nord 50.14 Ovest. Richiediamo immediata assistenza.

Era un messaggio di soccorso ”CQD”, l’antesignano del più noto “SOS”. Per la terza volta nella storia, una stazione radiotelegrafica Marconi del Titanic – peraltro operata direttamente da suoi dipendenti – aveva trasmesso un messaggio che avrebbe salvato delle vite umane e, questa volta, si trattava della nave più famosa al mondo. Quel messaggio venne immediatamente ricevuto da una stazione di terra della sua rete di comunicazioni, a sancirne l’efficacia assoluta e l’enorme significato umanitario.