Cultura

Alla radice della cultura woke c’è l’attacco alla civiltà della ragione

Se la felicità soggettiva si sostituisce al logos alla base della civiltà occidentale, l’esito è la negazione di valori comuni e al tempo stesso di ogni libertà individuale

La rimozione della statua di Cristoforo Colombo a New Haven, Usa La rimozione della statua di Cristoforo Colombo a New Haven, Usa

Nel mio articolo del 20 giugno scorso, parlando del dibattito sulla maternità surrogata avevo affermato che la posizione favorevole al fatto che una persona (di solito ricca) possa affittare il corpo di un’altra (di solito povera) per fabbricarsi un figlio su commissione, è specchio di una modifica radicale dei valori fondamentali sui quali da secoli si regge la civiltà occidentale.

Vale quindi la pena di analizzare un poco più a fondo i valori dalla cultura che via via viene definita politicamente corretta, postmodernista o woke, e cercare di capire in cosa essi si contrappongano a quelli tradizionali propri della società in cui viviamo.

L’attacco alla ragione

La prima cosa da prendere in esame dovrebbero essere i principi su cui si basa il modo di ragionare di chi si riconosce nella cultura woke, ma il condizionale è d’obbligo. Uno dei principali obiettivi della cultura che abbiamo citato è infatti proprio l’attacco ai concetti di “ragione” e di “ragionamento”, considerati espressione di un dominio (o di una “egemonia”) dei gruppi più forti (economici, razziali, sessisti, e culturali ecc.), dei concetti ritenuti quindi se non proprio da eliminare, certo da detronizzare rispetto alla posizione centrale da sempre occupata da essi nel pensiero e nella civiltà occidentali. Dei concetti, per usare il linguaggio postmoderno, da “decostruire”.

Il lettore si chiederà se è il caso di parlare in un articolo come questo dei “massimi sistemi”, contrapponendo i principi fondamentali del pensiero tradizionale e di quello postmoderno, ma dato che anche una breve riflessione è sempre meglio di niente, e che la critica della cultura woke non può a mio parere limitarsi a segnalare le sue assurdità più evidenti (la negazione delle differenza tra uomo e donna, l’ambientalismo antiscientifico, il razzismo vendicativo, per non parlare della re-invenzione della storia passata), è giusto che ci si spinga anche alle radici comuni di tutte queste concezioni, magari con la speranza che questo susciti altre riflessioni capaci di chiarire ulteriormente questo importante argomento.

Civiltà della ragione

In estrema sintesi, possiamo dire che la civiltà occidentale si basa su quello che in greco viene chiamato “lògos”, termine che nella tradizione cristiana, che da sempre domina la nostra cultura (anche in quest’epoca di secolarizzazione, sia pure in maniera sotterranea), unisce in sé due significati, quello ebraico di “parola” di Dio e quello greco-romano di “ragione”, cioè di insieme di regole e di metodi per comprendere la realtà naturale ed umana.

In sostanza possiamo dire che la civiltà occidentale (nonostante tutti i travisamenti e i misfatti compiuti per eccesso o per difetto dell’uso della ragione nella sua millenaria storia) può essere definita una civiltà del lògos, cioè una civiltà della ragione, ma a differenza di tutte le altre civiltà umane (e questa è stata la fonte del suo successo) di una ragione a due dimensioni unite ma distinte tra loro: una verticale, che la collega a Dio o alla realtà trascendente, e una orizzontale che la mette in relazione con la realtà materiale e sociale.

L’immagine dell’essere umano che è al centro di questa civiltà della ragione a due dimensioni, unite ma distinte, è quella di un essere finito, limitato e soggetto ad una realtà trascendente, che però all’interno di quei confini e nel legame con quella realtà può costruire volontariamente la propria esistenza (dimensione verticale) e che a questo scopo può contare (dimensione orizzontale) sulla capacità di basare la propria vita su delle conoscenze scientifiche e su dei valori morali non arbitrari, ma comuni a tutti gli esseri umani.

Conoscenze e valori che l’argomentazione, il confronto, e la verifica scientifica o l’esperienza consentono di conoscere, anche in questo caso sempre in maniera limitata, modificabile e quindi provvisoria, ma non per questo meno valida ai fini della vita associata e dell’utilizzo della tecnica.

Libertà ed eguaglianza

Da questa ragione a due dimensioni derivano inoltre due valori fondamentali che la civiltà occidentale, nonostante la limitatezza della conoscenza umana e nonostante tutte le sue cadute, ha realizzato: la libertà individuale (derivante dal rapporto personale con la realtà trascendente, ora laicizzato in una sorta di  individualismo dei valori personali) e l’eguaglianza tra gli uomini, tutti soggetti alle stesse regole, necessarie per comprendere e gestire la realtà materiale e sociale.

Questi principi, e più a monte il concetto stesso di civiltà del lògos, vengono messi in discussione in maniera radicale dalla cultura woke, che traduce nel concreto mondo dell’attivismo politico e sociale alcune concezioni accademiche, che in origine avevano essenzialmente una funzione di critica teorica della storia e della società.

L’influenza della Scuola di Francoforte

Uno dei più importanti esponenti di queste concezioni accademiche fu il filosofo, sociologo e politologo tedesco poi naturalizzato americano Herbert Marcuse (1898-1979), che fu anche uno dei punti di riferimento della contestazione studentesca soprattutto francese del 1968 (a lui si ispirò probabilmente la frase di autore anonimo “L’immaginazione al potere”).

Marcuse, riprendendo le concezioni di Karl Marx (1818-1883), riteneva che la storia umana si sarebbe evoluta inevitabilmente fino alla realizzazione del mondo perfetto, ma anziché basare questo sviluppo della società verso il paradiso in terra sul superamento dei rapporti economici di “sfruttamento” del lavoro, basò la sua ricostruzione della evoluzione inevitabile del mondo sulla psicologia e sui principi che guidano l’azione umana, riprendendo e spesso capovolgendo alcune affermazioni del “padre” della psicanalisi Sigmund Freud (1856-1939).

Da questo punto di vista, è interessante notare che mentre Freud, che non aveva alcuna visione “evolutiva” (men che meno inevitabile) della storia umana, considerava normale (anche se difficile) per gli esseri umani adattarsi alla “logica” della realtà (“Al di là del principio del piacere” si intitola una sua opera del 1920), Marcuse vedeva nel superamento della civiltà della ragione, della civiltà del lògos, la via per la realizzazione del mondo perfetto.

Un mondo retto da un principio diverso, quello dell’“éros”, inteso quest’ultimo in senso nobile, non solo come piacere, ma come felicità personale, fatta di cose materiali e spirituali: significativamente una delle sue opere più importanti, del 1955, si intitola “Eros e civiltà”. Quella che fu a suo tempo una tesi accademica, utilizzata della (spesso eccessiva nei suoi modi) contestazione studentesca, è stata fatta propria, sovente in maniera implicita, talora senza averne piena coscienza, dalla cultura woke.

Civiltà dell’èros

L’attuale attacco alla civiltà della ragione-parola, viene portato avanti proprio in nome della felicità personale, la quale tende a prendere il posto della prima, sostituendo ad una civiltà del lògos una civiltà dell’èros, cioè ad una civiltà basata sulla ragione, legata alla realtà trascendente e a quella materiale e sociale, una civiltà basata sulla felicità soggettiva. In questo consiste la grande sfida culturale delle concezioni woke alla civiltà occidentale.

Naturalmente il concetto di “felicità” personale non è stato inventato dai pensatori o dagli attivisti postmoderni: da sempre la felicità (intesa come detto in senso nobile) rappresenta lo scopo delle scelte di vita degli esseri umani, ma il suo raggiungimento non è mai stato considerato come una cosa garantita.

Da un punto di vista cristiano, si potrebbe affermare con Sant’Agostino (354-430) che solo nella ultraterrena Città di Dio essa sarà raggiunta in maniera piena. Uno dei più grandi pensatori e politici della storia, capace di calare nella realtà concreta e imperfetta la libertà e la dignità degli uomini, Thomas Jefferson (1743-1826), a cui l’ideologia woke imputa ingiustamente il suo essere vissuto in un contesto storico che come in tutto il mondo coloniale ammetteva la schiavitù (Jefferson si augurò sempre che fosse abolita in futuro, e personalmente liberò tutti i suoi schiavi per testamento), nel collaborare alla stesura della Dichiarazione di indipendenza americana del 1776 parlò di diritto alla “ricerca” della felicità, e in questo seguendo la tradizione cristiana (pur essendo lui di non troppo celate concezioni deiste) non fece alcun riferimento ad un diritto assoluto del singolo a vedere realizzare le proprie aspirazioni (lodevoli o meno lodevoli), magari grazie all’uso del potere pubblico.

Negazione dei valori comuni

Ciò a cui conduce questo mutamento del principio fondamentale del modo di pensare e di valutare la realtà è la negazione di tutti i valori comuni e al tempo stesso di ogni libertà individuale. I due aspetti della cultura occidentale sono legati in maniera indissolubile, dato che solo se esistono i primi può aversi uno spazio per la seconda: solo se si riconoscono dei principi di comportamento, e a monte di ragionamento comuni, capaci di vincolare e di limitare le prese di posizione e le decisioni dei potentati politici e culturali è possibile per i singoli, nel rispetto di quei limiti, esprimere liberamente la propria opinione e compiere liberamente le proprie scelte di vita.

Del resto, la prima operazione che tutte le dittature hanno compiuto è sempre stata la “decostruzione” (per usare un termine postmoderno) di ogni realtà oggettiva e di ogni verità comune, in modo da poter imporre i valori della propria ideologia. Lo capì bene quel geniale critico del totalitarismo che fu George Orwell (1903-1950), che fa affermare al protagonista di “1984”: “Libertà è la libertà di dire che due più due fa quattro. Se questo è consentito, tutto il resto viene di conseguenza”.

La cultura woke

Il risultato è la creazione di una cultura che calpesta la libertà di parola in nome della tutela dell’individuo; razzista in quanto divide la società in gruppi etnici in nome dei diritti delle persone delle diverse etnie; una cultura autoritaria poiché disciplina le scelte personali ed individuali imponendo anche a chi non le condivide di subirne gli effetti negativi (è il caso della maternità surrogata); che rigetta il dibattito scientifico perché non accetta che si intervenga sulla natura; una cultura che se ammette Dio o il trascendente, vede queste realtà come poste all’esclusivo servizio dell’uomo; una cultura soprattutto incapace di autocritica (non essendo basata su ragionamento e sul buon senso) e incapace di soppesare e confrontare le diverse posizioni e di produrre regole e principi (imperfetti, criticabili e modificabili, ma) validi per tutti, perché solo su tali principi si può basare una società di esseri umani eguali nella loro diversità e individualmente liberi nella loro vita comunitaria.

Non possiamo prevedere se la cultura woke nel lungo periodo si affermerà e diventerà la base della civiltà occidentale o se invece è destinata a scomparire a causa delle sempre crescenti reazioni (a volte eccessive), che essa provoca, oppure a causa delle sue stesse contraddizioni interne (l’omosessuale è tutelato nei confronti degli occidentali, ma non nei confronti dei non occidentali in ossequio alla loro diversa cultura; il femminismo prevale sulle idee dei maschi, ma deve cedere davanti ai queer che negano la distinzione degli esseri umani in uomini e donne).

Chi scrive si augura ovviamente che i valori della cultura tradizionale, magari aggiornati e rielaborati, continuino a far parte della vita sociale delle future generazioni, per le quali, a mio parere, la più grande emergenza sta proprio nella progressiva perdita di questi valori. Per questo ritengo che descrivere in maniera critica i diversi aspetti della cultura woke, con il rispetto peraltro che anche in questo caso si deve alle convinzioni e alle buone intenzioni personali, sia molto importante e spero che a questo scopo la breve analisi svolta in questo scritto possa rappresentare un tentativo utile.