Giuseppe Portonera è autore di una interessante monografia dedicata al defunto giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Antonin Scalia, che riteniamo un testo di grande importanza per il nostro pubblico.
Dottore di ricerca, e Forlin Fellow dell’Istituto Bruno Leoni, Portonera presta assistenza alle cattedre di diritto civile della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano e ha all’attivo pubblicazioni in diversi ambiti giuridici. Dulcis in fundo, collabora con Atlantico Quotidiano.
Chiarire gli equivoci
TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Come nasce l’idea di scrivere un testo simile e quali sono i punti cardine affrontati nel suo libro?
GIUSEPPE PORTONERA: La monografia che ho dedicato a Antonin Scalia è pubblicata all’interno della collana “Classici contemporanei”, edita dall’Istituto Bruno Leoni. Proprio questa collocazione editoriale spiega la ragione del libro: Scalia, pur essendo un nostro contemporaneo (è morto appena sei anni fa), è un pensatore che si è già guadagnato lo status di classico del pensiero giuridico americano (e non solo).
Al nome di Scalia vengono immediatamente associati i metodi interpretativi noti come originalismo e testualismo – che egli ha difeso per tutta la sua vita, con toni spesso caustici e mai compromissori – e secondo i quali la legge, compresa la Costituzione, va interpretata applicando il significato che un cittadino medio ragionevole gli avrebbe attribuito al tempo della sua entrata in vigore.
Egli è destinato a essere ricordato in compagnia di altri autorevoli giuristi che, come lui, hanno servito come giudici della Corte Suprema e hanno fatto la storia del diritto statunitense. Ciononostante, sono state finora assenti opere monografiche in lingua italiana dedicate alla sua figura.
Probabilmente anche per tale ragione, è diffuso l’equivoco che vuole Scalia come una sorta di difensore del conservatorismo politico, quasi che si trattasse dell’archetipo di un giudice che (una volta tanto, direbbe qualcuno) infonde nelle sentenze valori e principi di destra.
Pertanto, scrivendo la monografia (che è soltanto una prima introduzione a Scalia, descrivendo, in un’ordinata sintesi, la sua vita, il suo pensiero e la sua influenza), ho tentato di realizzare un’opera di chiarimento intellettuale: non v’è dubbio che Scalia fosse un uomo conservatore, ma da ciò non segue che originalismo e testualismo siano metodi “politicamente” conservatori, come confermato dal fatto che diversi intellettuali americani, sia libertari che progressisti, si considerano originalisti e testualisti.
I tre pilastri del suo pensiero
TADF: Quali sono allora i principi giuridici del giudice americano? Ritiene le sue idee ancora attuali?
GP: Secondo me, tre sono i profili più importanti del pensiero di Scalia: (1) la convinzione che, per garantire certezza e prevedibilità del diritto, la norma sia da intendere secondo il suo tenore letterale, senza preoccuparsi delle intenzioni di chi ha redatto e approvato la legge; (2) l’affermazione che il giudice deve applicare la legge per come è, non per come vorrebbe che fosse, e che spetta alle maggioranze politiche la responsabilità di determinare il corso del rinnovamento sociale; (3) la consapevolezza che è nella frammentazione e nella diffusione dei poteri che si ritrova la prima garanzia di una società libera.
Un messaggio attuale
Le sue idee sono certamente attuali nel contesto statunitense, e la prova più evidente sta nel fatto che una maggioranza dei giudici che attualmente servono alla Corte Suprema si richiama, più o meno apertamente, più o meno lealmente, proprio al pensiero di Scalia.
Quanto all’attualità di questo pensiero nel contesto europeo, la risposta è più complessa. Io credo che valga, comunque, la pena di studiarlo e approfondirlo (il che, va da sé, non significa automaticamente accettarlo come corretto nella sua interezza: io stesso, nel mio testo, ho messo in luce quelli che ritengo esserne i limiti), specialmente perché da esso emerge un messaggio di attualità notevole.
Al giorno d’oggi, infatti, i tribunali hanno guadagnato una centralità nella vita pubblica senza precedenti (si pensi al ruolo della Corte costituzionale nel nostro ordinamento), ed espressioni come “supplenza nei confronti del legislatore“, che nel passato erano pronunciate col timbro di chi si trova ad agire controvoglia, si sono ammantate di un certo entusiasmo e sono diventate quasi parole d’ordine di alcuni ambienti culturali.
I rischi della “scorciatoia giudiziaria”
Questa alterazione del rapporto tra legislatore e giudice – di cui, credo, entrambi siano diversamente responsabili – può avere, sul lungo periodo, ricadute assai infelici. Difatti, in un sistema democratico imperniato sulla separazione dei poteri, il popolo osserva le regole perché ne riconosce la legittimità, e ne riconosce la legittimità perché ha avuto parte, diretta o indiretta, nella loro formazione. A fronte di un “esproprio” di quest’ultima possibilità, non è da escludere che esso abbia da obiettare, anche in modi che potrebbero risultare spiacevoli.
Ma c’è di più. Come lo stesso Scalia ha avuto modo di sottolineare più volte, prendere la “scorciatoia” giudiziaria può condurre a vittorie effimere, dal momento che, se una riforma manca di un adeguato consenso sociale, essa poggerà sempre su basi particolarmente precarie.
Tre lezioni per i giuristi italiani
TADF: Assistere ad un cambiamento nella cultura giuridica italiana, con un avvicinamento alla scuola originalista di Antonin Scalia, sarà mai possibile?
GP: Per rispondere a questa domanda, mi appello alla saggezza di Yogi Berra: fare previsioni è sempre difficile, specialmente quando si tratta del futuro…
Penso, però, che un giurista italiano possa trovare degni di attenzione tre aspetti del pensiero di Scalia: anzitutto, proprio il ruolo che originalismo e testualismo possono avere nell’argomentazione costituzionale e nell’interpretazione di merito o di legittimità; ancora, la riflessione sul ruolo del giudice nella società liberal-democratica; infine, il rilievo che la struttura costituzionale, anzitutto la separazione dei poteri, ha nella garanzia dei diritti individuali.
Quanto al primo, se, nel contesto italiano, un’interpretazione originalista pare possibile solo in alcune, limitate occasioni, più agevole risulta invece il ricorso al testualismo (sia pure in una versione non del tutto coincidente con quello di Scalia), nella misura in cui esso può servire da prezioso parametro di controllo all’inizio e alla fine dell’attività interpretativa: all’inizio, per delimitare il campo del lavoro di concretizzazione del testo della legge; alla fine, per controllare gli argomenti in tale lavoro utilizzati.
Quanto al secondo, lo studio della judicial philosophy di Scalia può aiutare a individuare argomentazioni forti e coraggiose per difendere la distinzione tra lo ius facere e lo ius dicere, tra l’attività di creazione e quella di interpretazione del diritto.
Quanto all’ultimo, va sottolineato che una tutela che si fondi sull’aspetto formale della separazione dei poteri e sul rispetto dei vincoli costituzionali per l’adozione di determinati provvedimenti, lungi dall’essere poca cosa, è invece la prima, e spesso più efficace, difesa dei diritti individuali, come, più di recente, la gestione della pandemia da Covid-19 ci ha ricordato.
In assenza di alternative percorribili nel breve periodo, il rispetto rigoroso delle forme del costituzionalismo moderno è la migliore garanzia che abbiamo di limitazione del potere pubblico.
L’eredità di Scalia
TADF: Dal suo punto di vista, qual è l’eredità culturale e giuridica che ha lasciato Scalia?
GP: Anche in questo caso, penso si possano evidenziare tre punti. Il primo “successo” di Scalia è stato quello di evidenziare che ogni metodo interpretativo presuppone, anche solo inconsapevolmente, un’idea del ruolo che l’interprete, e specialmente il giudice, può giocare nell’ordine sociale.
Il secondo senso in cui può dirsi dell’influenza di Scalia è stato quello di riportare rigore scientifico nell’ambito delle tecniche interpretative, specie a livello di prassi giudiziale, che spesso – tanto negli Stati Uniti, quanto altrove – si segnala per un empirismo che è invero mero intuizionismo.
Il terzo senso in cui, infine, può riconoscersi l’influenza di Scalia è quello di aver fondato una scuola di pensiero che è tra le più autorevoli negli Stati Uniti e che è ormai ricca di sfaccettature e di diversi orientamenti interni.
“Attacco le idee, non le persone”
Nella sua eredità “culturale”, peraltro, mi piace ricordare anche un ulteriore aspetto, che mi pare preziosissimo per i tempi così polarizzati e difficili in cui viviamo, ossia il rispetto – sincero e mai d’occasione, e che dunque non fa velo all’onestà intellettuale – per chi la pensa diversamente da noi.
È nota l’amicizia che ha legato Scalia e Ruth Bader Ginsburg: i due sono stati, negli ultimi decenni, gli esponenti più riconoscibili di orientamenti giurisprudenziali non solo lontani, ma per molti versi addirittura contrapposti o inconciliabili.
E la loro amicizia era così sorprendente che una volta fu davvero chiesto a Scalia: “ma come fa a essere amico della Ginsburg?”. E questi, senza scomporsi, rispose: “Attacco le idee, non attacco le persone. Alcune splendide persone hanno davvero delle pessime idee, e se non si è in grado di tenere separate le due cose, è bene trovarsi un altro lavoro”.
Leggere le sentenze
TADF: In che modo è possibile comprendere la cultura giuridica americana, capendo così il senso delle sentenze della Corte Suprema?
GP: Il mio consiglio è leggere direttamente le sentenze. Al contrario di quelle pronunciate dai giudici italiani, che usano un linguaggio impersonale e spesso debordante nel “burocratese”, le sentenze della Corte Suprema americana riflettono lo stile del loro autore (quelle di Scalia, ad esempio, sono tra le più belle che possa capitare di leggere).
Credo che questo sia il modo migliore per compiere i primi incontri con la cultura giuridica d’oltreoceano. Peraltro, se si è in cerca di un nocchiero per solcare quell’alto mare aperto, si può accompagnare la lettura delle sentenze con dell’ottima manualistica: in lingua italiana, il pensiero corre subito all’opera di Giovanni Bognetti, probabilmente il massimo studioso del diritto costituzionale americano.