Barconi e globalismo: il mito di una cultura “globale”

Secondo le élites dominanti in Europa e negli Usa le culture nazionali devono essere svilite e abbandonate, ma così i migranti finiranno per imporre le loro

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Quando era primo ministro del governo italiano Matteo Renzi, parlando del dramma dei migranti che sbarcano sulle nostre coste, affermò: “Sbaglia chi vive su paure e abbaia alla luna”. Qual è il senso di frasi come queste? I dizionari ci dicono che “abbaiare alla luna” equivale a fare cose inutili, senza ragione e senza effetto, come per l’appunto i cani che, nelle notti di plenilunio, latrano alla luna, lanciandole una sfida assurda e priva di contenuto.

Che c’entra, però, tale popolare modo di dire con quanto sta avvenendo? Forse a mo’ di spiegazione Renzi aggiunse che occorre affrontare i problemi della globalizzazione poiché “nel mondo d’oggi ci sono tanti che abbaiano alla luna, vivono sulle paure e pensano che l’unica dimensione sia rinchiudersi a chiave in casa”.

Barconi e globalizzazione

Il fatto è che, come ben sappiamo, nel nostro mondo politico tanti (anzi, tantissimi) la pensano come Renzi. In linea di massima si può anche concordare sul fatto che rinchiudersi a chiave in casa sia poco opportuno. Ma resta da capire la connessione tra i suddetti sbarchi in massa e la globalizzazione. Quest’ultima è un processo di unificazione artificiale dei mercati su scala mondiale, ora in fase calante, resa possibile dall’innovazione tecnologica, che conduce a una progressiva standardizzazione dei modelli di consumo e – soprattutto – degli stili di vita.

E il dubbio diventa allora ancora più grande. Mi chiedo di nuovo quale sia il nesso di conseguenza logica sussistente tra i barconi che continuano senza posa a riversare migliaia di disperati sulle coste italiane e la globalizzazione di cui molti continuano a tessere le lodi. In realtà a me pare che le frasi suddette siano assai confuse, e mi sembra pure ovvio il tentativo di nascondere con facili slogan a effetto una situazione diventata esplosiva. Poiché è chiaro che non sappiamo bene dove mettere la stragrande maggioranza dei clandestini, né vi sono ipotesi concrete circa una loro possibile utilizzazione sul territorio nazionale.

L’esodo, pur essendo diminuito, ha assunto proporzioni bibliche. Vorrei tuttavia notare che non è un caso se i barconi si dirigono quasi tutti verso le nostre coste. Accade proprio perché si è diffusa la convinzione che l’Italia è disposta ad accogliere chiunque, nel senso letterale del termine, senza filtri. Una sorta di Paese di Bengodi in cui tutto è concesso e nel quale l’accoglienza è senza limiti.

I migranti italiani

E, a questo punto, penso sia necessario sfatare un tormentone assai diffuso. Pure la nostra, si ripete con insistenza da più parti, è una nazione di migranti. Tra ’800 e ’900 milioni di italiani sono andati a cercare fortuna all’estero, molto spesso trovandola. Anche il sottoscritto ha lontani parenti sparsi in ogni angolo del globo. Vero, ma si dà il caso che i nostri emigrassero verso Paesi in piena espansione economica e che avevano bisogno di mano d’opera per continuare la loro crescita. Parlo per esempio di Stati Uniti, Canada, Australia, Argentina (che a quei tempi era per l’appunto in grande espansione).

Se qualcuno sostiene che l’Italia d’oggi è in condizioni simili si può senza remore pensare che non è sano di mente. Da noi, ora, persino i connazionali stentano a trovare lavoro e la situazione non sembra destinata a migliorare (almeno nel breve termine).

L’inefficienza Ue

I governi passati invitavano a non creare paure e allarmi, forse scordando che sono già presenti nell’opinione pubblica. La quale è inoltre preoccupata dal rischio del terrorismo che non è per nulla solo ipotetico.

Certamente legittimo mettere sul banco degli imputati l’Unione europea che, una volta ancora, sta dimostrando la sua inefficienza. Ed è altrettanto lecito mettere in luce lo scarso (per non dire inesistente) spirito di cooperazione di molte nazioni europee. Caso emblematico la Francia, che da un lato ci ha offerto spettacoli inverecondi all’inaugurazione delle Olimpiadi, e dall’altro chiude la frontiera di Ventimiglia senza farsi troppi scrupoli.

Non si può, tuttavia, prendere in giro gli italiani nascondendosi dietro slogan inutili e insensati. Nessuno osa negare che il problema sia di difficile soluzione. Però affrontarlo con un po’ di serietà è il minimo da chiedere. Altrimenti è del tutto inutile lamentarsi della crescita del populismo e di tendenze illiberali.

Il mito della cultura globale

Vorrei però far notare che tutto si deve alla crescita di un mito: quello della cultura “globale”. Secondo le élites dominanti in Europa e negli Usa le culture nazionali devono essere svilite e abbandonate incamminandosi, per l’appunto, sulla strada di una presunta cultura globale. Nessuno è mai riuscito a definirla, se non con esattezza, almeno con una certa misura di plausibilità.

Ma è uno sforzo inutile, poiché ogni vera cultura nasce da un popolo e in esso s’incarna. Sono quindi le tradizioni nazionali che devono essere difese senza timore e senza remora alcuna. Quando ciò non accade, si rischia che i nuovi arrivati finiscano per imporre le loro tradizioni e i loro modelli di vita.

Sta già accadendo in tanti Paesi europei, soprattutto grazie all’immigrazione islamica. In Francia, Belgio e Regno Unito interi quartieri di città grandi e piccole sono governati dalla “sharia”. In Italia, per ora, la pressione è minore, ma se non muterà l’atteggiamento di fondo di una buona parte della classe politica ci avvieremo nella stessa direzione.

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