Nei Paesi occidentali è in atto da parecchio tempo il tentativo, purtroppo riuscitissimo, di addebitare al colonialismo europeo tutti i mali che affliggono il mondo contemporaneo. La sinistra, tanto cattolica quanto laica, è il motore principale di questa strategia, che ha fatto crescere a dismisura i complessi di colpa in Europa e negli Stati Uniti.
Al punto di rinnegare – soprattutto in ambito accademico – i valori della civiltà occidentale, esaltando invece quelli (presunti) di civiltà considerate “alternative” alla nostra. Negli scaffali delle librerie e delle biblioteche Usa, per esempio, le sezioni dedicate agli studi afroamericani ormai superano largamente quelle che ospitano i saggi tradizionali sui quali si erano in precedenza formate intere generazioni di studenti.
Il mito del buon selvaggio
Una certa narrazione, diffusa per l’appunto in molti circoli intellettuali ed accademici, vuole convincere gli studenti che i Paesi colonizzati erano, prima dell’arrivo degli europei, una sorta di Eden i cui abitanti conducevano una vita felice e spensierata, basata sull’eguaglianza e la condivisione pacifica delle risorse. Naturalmente il mito del “buon selvaggio”, diffuso soprattutto da Jean-Jacques Rousseau, ha giocato un ruolo fondamentale in questo processo. Da una parte i “buoni”, vale a dire i popoli colonizzati, e dall’altra i “cattivi”, cioè noi che occupando i loro territori abbiamo causato la rottura di un equilibrio pressoché perfetto che Dio (o la Natura) avevano creato.
Esempio principale è ovviamente l’Africa, che secondo questa lettura della storia sarebbe stata un continente privo di problemi, poi diventato povero e degradato proprio a causa del colonialismo. Ma è la storia stessa a dirci che un siffatto Eden non è mai esistito. Africa e America erano sede di conflitti permanenti e di lotte sanguinose tra popoli diversi anche quando, sul loro suolo, degli europei non v’era traccia.
I conflitti tribali e le pulizie etniche c’erano anche in epoca precoloniale, come gli storici africani più onesti ammettono. È davvero patetico attribuire al colonialismo lo stato di guerra permanente che si verifica nell’Africa odierna, giacché l’odio tribale ed etnico esisteva pure prima anche in quel contesto, come in ogni altra parte del mondo. Non dobbiamo quindi strapparci le vesti di fronte all’interminabile serie di golpe militari nel Sahel e in altre parti del continente africano.
Per non parlare, poi, dell’America Latina. Neppure là, prima dell’arrivo di spagnoli e portoghesi, esisteva il “buon selvaggio” esaltato da Rousseau. In realtà c’erano dei grandi imperi come quello Inca o Azteco, nei quali la stragrande maggioranza della popolazione veniva schiavizzata da élites guerriere, che persero il conflitto con gli europei soltanto a causa del loro potenziale bellico più antiquato.
E neppure nell’America del Nord c’erano i “buoni selvaggi”. Le tribù si combattevano con ferocia inaudita e quelle sconfitte erano spesso destinate all’annientamento totale da parte del nemico. Un’efficace descrizione letteraria di fatti di questo tipo ci è stata fornita da James Fenimore Cooper ne “L’ultimo dei Mohicani”.
Le origini dello schiavismo
Tornando all’Africa, si dimentica (con una buona dose di malafede) che lo schiavismo fu introdotto, e praticato su larga scala, dagli arabi ben prima che dagli europei. Per secoli la tratta degli schiavi neri fu appannaggio pressoché esclusivo dei commercianti arabi, per l’appunto. Gli europei si sono profusi in scuse per tale fenomeno, ma non risulta che qualche nazione araba si sia scusata.
Colonialismo cinese e russo
Il fardello della colpa, insomma, ricade totalmente sulle spalle degli occidentali. Si rammenti, a tale proposito, che il colonialismo è stato praticato in passato e pure ai giorni nostri da cinesi e russi. Lungi dallo scusarsi, i cinesi continuano a colonizzare territori non loro come il Tibet, dove è in atto da decenni una politica di sinizzazione totale che punta sradicare ogni elemento della cultura autoctona tibetana. E i russi non sono certo da meno, con l’enorme espansione territoriale praticata in Asia tanto nell’epoca zarista quanto in quella sovietica.
Si dà tuttavia il caso che siano proprio la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa a soffiare oggi sul fuoco, convincendo il cosiddetto “Sud del mondo” che la colpa della sua arretratezza va ascritta solo all’Occidente. Questi discorsi fanno presa sulle élites corrotte che quasi sempre governano i Paesi usciti dalla colonizzazione europea, le quali sfruttano l’appoggio militare russo e cinese per restare al potere.
Complessi di colpa
I complessi di colpa da cui l’Occidente è attraversato stanno generando una curiosa situazione. Per espiare i nostri peccati coloniali dovremmo accogliere senza alcuna limitazione immigrati illegali non europei che, una volta giunti, cercano subito non solo di trasferire, ma addirittura di imporre i loro costumi e la loro visione del mondo.
Non v’è dubbio che il colonialismo sia un fenomeno da condannare con fermezza. Noi l’abbiamo fatto, a volte anche esagerando. Sarebbe dunque lecito chiedere che lo facciano pure gli altri. Altrimenti le nuove generazioni, spesso indottrinate da libri di testo faziosi, perderanno ben presto coscienza di far parte di una civiltà, come quella occidentale, che al mondo ha fornito contributi fondamentali in ogni campo del sapere umano.