Intervista a Emanuele Mastrangelo autore, insieme a Enrico Petrucci, di “Iconoclastia. La pazzia contagiosa della Cancel Culture che sta distruggendo la nostra Storia” (Eclettica, 2020).
UMBERTO CAMILLO IACOVIELLO: In Italia c’è poco dibattito sulla Cancel Culture e a differenza di Paesi come Stati Uniti, Inghilterra e Francia, noi ancora non siamo stati travolti da questo fenomeno. Come e dove è nata la pazzia contagiosa che sta distruggendo la nostra storia?
EMANUELE MASTRANGELO: Iniziamo dalla fine. Il libro che ho scritto insieme a Enrico Petrucci affonda le radici nella constatazione che l’ondata di iconoclastia che colpì gli Stati Uniti nel 2017 non era un fuoco di paglia ma una delle teste di un’idra molto più tentacolare di quanto si volesse credere.
Così dopo un pezzo per “Storia in Rete” sugli attacchi iconoclasti alla storia e fatto il paio con il fenomeno delle chiese distrutte in Francia, Enrico e io ci ritrovammo in mano abbastanza materiale per un libro. La gestazione fu lunga, soprattutto perché ogni tre per due usciva una nuova notizia che confermava la nostra teoria e ne peggiorava le conclusioni.
Mentre stavamo per chiudere il lavoro – nell’estate del 2020, fra manifestazioni del BLM e campagna elettorale Usa – Donald Trump iniziò a utilizzare il termine “Cancel Culture” come sinonimo di “iconoclastia” e guerra alla storia. La locuzione entrò rapidamente nel linguaggio comune e così adottammo quella definizione.
Da noi però il dibattito stentò, soprattutto a destra. A sinistra invece immediatamente partì il negazionismo, derubricandola a “teoria del complotto” o a “piagnisteo di destra”. Il combinato fra negazionismo e il fatalismo italiano, che pensa sempre che quello che arriva da America o Francia sia una “moda passeggera”, ha finora messo in secondo piano il dibattito. Ma ora il contagio è arrivato anche da noi.
Il “trozkismo intersezionale”
UCI: La Cancel Culture è un prodotto del marxismo culturale, cosa c’entra Marx con la riscrittura della storia?
EM: Il “marxismo culturale” sta a Marx come certe sette gnostiche stanno al cristianesimo. Procedendo a sciabolate, il marxismo cerca di raggiungere il comunismo dei mezzi di produzione attraverso la lotta di classe. Il marxismo culturale, nato dalla Scuola di Francoforte emigrata in America a causa del nazismo, invece persegue una generica “giustizia” attraverso la mobilitazione non più dei lavoratori bensì delle minoranze degli “oppressi”.
Anziché la rivoluzione della struttura materiale, il marxismo culturale intende agire a partire dalla sovrastruttura culturale (da cui la seconda parte del suo nome). Del resto i filosofi francofortisti erano padroni delle teorie di Gramsci sull’egemonia culturale. Per non confonderli col marxismo ortodosso, noi spesso usiamo un’altra definizione: “Trozkismo intersezionale”, ideata da Enrico Petrucci.
Poiché questo prevede la conquista della “giustizia” attraverso l’egemonia culturale, è necessario per esso distruggere il passato in quanto espressione della cultura degli “oppressori”. Il passato rappresenta un sostrato collettivo che coinvolge ogni individuo del presente: diabolicamente il marxismo culturale intende dividere (diaballein, appunto) l’individuo da questo contesto per renderlo parte non di un collettivo, bensì solo della propria minoranza.
Le minoranze
Un gay italiano non deve essere un italiano con un orientamento omosessuale, ma solo un appartenente alla minoranza gay. Egli deve essere dunque devoto alla “causa” dei gay contro “l’eteronormatività”, ossia la presunta “oppressione” della maggioranza etero, causa che può esistere solo in un contesto di conflitto permanente fra le auto-costruite minoranze e la presunta maggioranza.
Il wokeismo amalgama “trozkismo intersezionalista”, decostruzionismo e postmodernismo, “ideologia californiana” turbocapitalista, esasperando le molteplici identità che costituiscono un individuo (uno appartiene a una famiglia, a una nazione, a una razza, a una religione, è definito da un sesso biologico, possiede determinate tendenze erotico-sentimentali, una conformazione fisica, una formazione culturale, appartiene a una classe sociale etc.), arrivando addirittura a inventarsene altre (i c.d. “generi”).
Il tutto non serve però a valorizzare la rete di relazioni che fa di ciascun individuo un hub di queste caratteristiche, bensì per dichiararlo separato da un contesto unitario. Le identità (vere o inventate) vengono sfruttate per dichiarare l’alterità dal proprio contesto d’origine. E siccome il contesto d’origine è tale perché ha una storia, allora si deve combattere contro la storia.
Lo schiavismo
Inoltre, la storia è l’anatema delle filosofie che fanno equilibrismo intellettualoide sul filo del rasoio della dissonanza cognitiva. Il principale tema caro ai social justice warriors (il braccio armato del wokeismo) è quello della schiavitù. Ovviamente vista solo come “oppressione” dei bianchi sui “non-bianchi”.
La storia dimostra che lo schiavismo è una fra le più universali istituzioni dell’umanità, da cui ben pochi possono dire d’esser stati immuni, e che inoltre l’unica civiltà ad averne perseguito l’abolizione è proprio quella europea (da Seneca al Cristianesimo fino all’Illuminismo). Una visione oggettiva del passato dovrebbe riconoscerlo.
Sarebbe così impossibile distinguere fra “cattivi oppressori” e “buoni oppressi”. L’atteggiamento manicheo verso il passato ha lo scopo di esaltare certi aspetti e cancellarne altri. Dunque, dagli allo “schiavista”! Buttiamo giù le loro statue! Orwellianamente, il wokeismo aspira a realizzare un eterno presente, con cui esso potrà plasmare ideologicamente il passato e darne l’interpretazione di comodo più confacente ai suoi scopi ideologici.
Realtà vietata
UCI: Nel libro avete scritto che il primo paradosso della Cancel Culture è che “se tutto può offendere, allora tutto può essere cancellato”. In altre parole la sinistra woke non si fermerà mai perché la sua fame di “giustizia” è insaziabile? Se George Ciccariello-Maher, professore che insegna alla New York University, può scrivere impunemente “Tutto ciò che desidero per Natale è il genocidio bianco”, qual è l’obiettivo finale?
L’ideologia woke parte dal presupposto che “feelings are more important that facts”: la realtà materiale non esiste se non come interpretazione dell’individuo perché i suoi sentimenti valgono più dei fatti. E l’individuo della “minoranza perseguitata” ha “diritto” ad avere un’interpretazione più autentica di quella del “privilegiato” (leggi “maschio bianco etero”).
Ma la realtà presto o tardi arriva a chiederti il conto. Famosa è la barzelletta del trans dal dottore. Il medico gli dice: “dunque, signor…” e lui “prego, signora”. Il medico ribatte: “bene, signora, lei ha un cancro alla prostata”. Una barzelletta come questa è reato in diversi Paesi. Dove il wokeismo arriva al potere (in molti Paesi dell’Anglosfera, ad esempio) si arriva direttamente a vietare la realtà.
Un medico che chiamasse “signore” un transessuale rischierebbe licenziamento e radiazione dall’albo. Eppure costui è oggettivamente un uomo. Cromosomi, apparato genitale, conformazione dello scheletro… Egli non può sfuggire dalla sua natura. Dunque, vietiamo direttamente la natura.
Che è la denuncia di Camille Paglia, quando disse paradossalmente che “la natura è fascista”. Se è fascista, è legittimo combatterla. E infatti i militanti wokeisti chiamano se stessi “social justice warrior“. Il combinato disposto fra la superiorità del sentimento sul dato e l’atteggiamento da “cosplay del guerriero” degli wokeisti porta ad espressioni come quella di Ciccariello-Maher: costoro si ritengono legittimati a “combattere” e dunque a esercitare violenza contro ciò che odiano: i bianchi, i maschi, gli etero.
L’obiettivo
Qual è l’obiettivo? Distruggere i bianchi nei Paesi occidentali con ogni mezzo (dalla sostituzione etnica alla castrazione morale del maschio, dai “risarcimenti” imposti ai bianchi per i “torti del passato” alla cancellazione della cultura delle nazioni bianche) significa in gran parte fare a pezzi la classe media dei nostri Paesi, quasi totalmente composta da bianchi.
In un’ottica di lotta di classe, significa distruggere i soli che possono mettere in discussione la casta dominante. Un ottimo sistema con cui le elite s’assicurano l’eliminazione di possibili concorrenti dal basso.
Contemporaneamente, la distruzione della società attraverso la “decostruzione” di storia, ruoli sessuali (“stereotipi di genere”), famiglia, religioni, tradizioni, scuola, responsabilità individuale crea degli individui sradicati, privi di punti di riferimento etici e bussola morale. L’individuo solitario è vittima perfetta per il marketing, incapace di appartenere a una rete sociale di protezione e quindi indifeso dai soprusi del potere tanto politico quanto economico-mercatista nei confronti del quale non ha potere contrattuale.
Consuma bulicamente per riempire il vuoto della sua esistenza e perché per banali principi di economia politica il single spende una frazione del proprio reddito maggiore di un membro di una famiglia. Insomma, gli interessi che convergono contro le società occidentali, bianche, sono molteplici. E questo spiega anche perché il grande capitale finanzi a piene mani la sinistra estremista woke.
La distruzione di Chiese
UCI: Nel frattempo in Francia demoliscono le chiese per costruire parcheggi. Anche se questo fenomeno non è strettamente legato alla Cancel Culture, perché è significativo?
EM: In “Iconoclastia”, Enrico Petrucci si è occupato delle chiese neogotiche demolite in Francia. All’epoca già una sessantina. Oggi saremo a un’ottantina di chiese ultracentenarie abbattute. Anche se non si tratta di Cancel Culture nel senso di una deliberata distruzione della storia, il fenomeno ottiene risultati analoghi avanzando lungo la linea di “minor resistenza” tipica della società francese: quella del laicismo estremista.
In Francia dal periodo rivoluzionario si sono alternati periodi di iconoclastia anticattolica e ritorno alla radice cristiana della nazione. Le chiese distrutte appartengono a un’ondata di quest’ultima tendenza, fra fine Ottocento e primi del Novecento. Oggi è di nuovo forte il laicismo di Stato e c’è ben poca volontà di preservare edifici che risultano sovradimensionati rispetto al numero di fedeli che li frequenta.
Chiese costose da manutenere ed edificate su terreni che spesso le stesse diocesi ritengono sprecati quando più lucrosamente potrebbero ospitare centri commerciali, condomini o parcheggi. La rinuncia da parte della società francese di conservare quelli che sono spesso gli unici elementi caratterizzanti del loro paesaggio semi-rurale è Cancel Culture in senso lato.
Le chiese neogotiche rappresentarono un tentativo di costruire edifici religiosi solenni in continuità con il passato medievale francese. La loro cancellazione per banali motivi di bilanci comunali in pareggio significa che per le amministrazioni locali e per i vescovi francesi la preservazione di quella continuità vale meno dei fondi necessari a manutenere un doccione o una guglia. Dunque, nel caso della Francia forse non c’è un deliberato disegno di auto-genocidio culturale, ma il risultato che si ottiene è il medesimo. E probabilmente c’è chi sotto sotto se ne compiace.
L’argine del free speech
UCI: Nel libro parlate anche della “scomoda eredità” dell’Italia, il fascismo e il colonialismo. Tuttavia oltre a questi fenomeni storici relativamente recenti, l’Italia ha un immenso patrimonio culturale potenzialmente “offensivo”. Cosa possono fare i comuni cittadini, i giornalisti, gli intellettuali e i politici per prevenire un’ondata italiana di iconoclastia?
EM: Una volta ammesso il principio che il passato possa essere processato sulla base dei “sentimenti” non c’è più un limite all’iconoclastia. Il fascismo o il colonialismo possono essere condannati dal presente per gli stessi motivi che possono portare a condannare il Risorgimento, il Barocco, il Rinascimento o il Medioevo, via via fino a Roma. Bisogna uscire dall’ottica che il presente debba “scusarsi” per il passato o che possa giudicarlo.
Dunque, politici, intellettuali, cittadini devono smettere di chiedere scusa, denigrare il passato nazionale, gettar fango sulle nostre radici. Gli errori storici si studiano per evitare di ripeterli nel futuro, non per fare processi. Concretamente, i politici devono innanzitutto restituire al popolo la libertà di parola costituzionale da anni calpestata dalle Big Tech, dall’Ue e dall’espansione dei “reati d’opinione”.
La libertà di parola costringe il wokeismo a combattere ad armi pari. Finora invece c’è stato un “arbitro cornuto” a distorcere le regole a favore suo, imponendo doppi standard in cui se un wokeista insulta o minaccia un conservatore, è “libertà d’espressione”; se un conservatore fa notare l’inconsistenza di una posizione woke, è un “discorso d’odio” e va bannato dai social, sottoposto a Cancel Culture, perfino perseguito penalmente.
Riconquistare la libertà di parola rimetterà alla pari le posizioni woke con quelle di chi gli si oppone: e lì saranno cavoli amari per un’ideologia che nega la realtà… Poi, servono leggi contro chi deturpa i monumenti per “attivismo”. Inoltre, si può rendere indisponibile il patrimonio culturale, storico e toponomastico alle amministrazioni locali: questo impedirà ai sindaci di ripetere operazioni come quella recentissima di Reggio Emilia, con la Cancel Culture contro Gabriele D’Annunzio sostituito con un poeta sloveno.
Il presente ha il dovere di tramandare al futuro un retaggio storico incrementato, non decurtato di ciò che alle fragili spallucce di certi individui risulta troppo gravoso. Finora si sono visti piccoli passi in questa direzione, come la proposta di inasprimento delle pene per il vandalismo, ma altre mosse – come la richiesta di Cancel Culture contro il maresciallo Tito – mostrano come la destra non abbia capito granché di come funziona la macchina di distruzione dell’identità e della storia del wokeismo.
La Cancel Culture è come l’Anello di Sauron: non puoi impiegarla contro il nemico, perché tu stesso diventerai uno strumento del nemico. La Cancel Culture non può essere usata. Deve essere distrutta.