Cultura

Conclusioni troppo scomode, la crisi climatica non c’è: studio “ritirato”

Eventi estremi non aumentati. L’articolo Alimonti-Prodi “ritirato” dietro pressione della lobby catastrofista. Per l’IPCC “crisi climatica” è solo un termine mediatico

Uragano Ian Florida

Ritorniamo a parlare di clima, occupandoci questa volta di eventi estremi. Che – almeno ad ascoltare stampa, radio e tv – sarebbero “sempre più frequenti” e dimostrerebbero il rapidissimo deteriorarsi degli equilibri climatici del nostro pianeta. Lo facciamo con Gianluca Alimonti dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e dell’Università Statale di Milano.

Alimonti ha firmato insieme ad altri autorevoli studiosi come Franco Prodi, Luigi Mariani e Renato Angelo Ricci, un articolo dal titolo “A critical assessment of extreme events trends in times of global warming” (Analisi critica delle tendenze degli eventi estremi in epoca di riscaldamento globale), ma il 23 agosto il prestigioso sito che lo ospita, Springler, ha deciso di aggiungere al titolo la dicitura “Retracted Article”.  

La cosa ci ha molto incuriosito e abbiamo deciso di chiedere un’intervista direttamente al ricercatore (la potete ascoltare integralmente nel podcast a questo indirizzo).

La lobby catastrofista in azione

MARCO HUGO BARSOTTI: Cominciamo col caso Springer poi andiamo alla questione clima. Uno studio che porta anche la sua firma, di cui diamo l’indirizzo per i lettori che volessero andarselo a leggere, è preceduto dall’insolita dicitura “retracted”.Che cosa è successo?

GIANLUCA ALIMONTI: Insolita… è una lunga e triste storia, devo dire, molto triste, non tanto per gli autori quanto, mi permetto di dire, per la scienza. Questo articolo ha seguito il normale processo di peer review ed è stato pubblicato nel gennaio del 2022. Ha suscitato un certo interesse, tutto regolare, sin quando poi nel settembre dello stesso anno è stato ripreso da un servizio televisivo di Sky News Australia, un servizio di quattro minuti dove essenzialmente si faceva la sintesi di quello che era stato detto.

Però il punto è che è stato in questo modo sentito e visto da molte più persone di quelle che normalmente leggono articoli scientifici pubblicati su riviste di questo tipo. E tra questi un certo giornalista di un giornale quotidiano, il Guardian, che evidentemente si è sentito particolarmente toccato da quanto sostenuto in questo articolo.

Il giornalista ha dunque scritto un articolo sul giornale dopo aver intervistato alcuni esperti climatici internazionali noti per avere delle posizioni particolarmente catastrofiste al riguardo, che si sono scandalizzati per quanto letto nell’articolo, a livello che hanno detto “no, questo dovrebbe essere ritirato”.  

L’editore della rivista a questo punto si è sentito in dovere di fare una verifica del nostro articolo e mi permetterei di dire che questo nel mondo scientifico è alquanto strano e insolito. Di solito infatti un articolo scientifico che è già stato pubblicato, quindi ha passato il processo di peer review su rivista scientifica, può essere sicuramente messo in discussione, ci mancherebbe altro, ma normalmente lo strumento per farlo consiste nel fatto che i ricercatori che non concordano con quanto sostenuto nel primo articolo ne scrivono una a loro volta che deve essere sottoposto a peer review

Questo a sua volta può essere pubblicato su rivista scientifica che non necessariamente deve essere la stessa su cui è stato pubblicato l’articolo sotto critica, e a quel punto si può iniziare un confronto sulle tesi, sulle ipotesi, sulle referenze e questa è la procedura normale.

Comunque noi abbiamo concordato che l’editor avrebbe scritto, contattato questi esperti internazionali che esprimevano dubbi riguardo al nostro articolo e avrebbe chiesto esattamente quanto da me adesso riassunto, invitandoli a scrivere un articolo cui gli autori originali avrebbero potuto rispondere. Questo non è mai avvenuto, cioè è successa la classica cosa che si dice “lanciare il sasso e ritrarre la mano”.  

Non hanno mai scritto un articolo scientifico ma l’editore si è sentito in dovere di elencarci tre punti che secondo lui, anzi lei, in realtà è un’editrice, erano in disaccordo con l’ultimo report dell’IPCC (The Intergovernmental Panel on Climate Change, un organo delle Nazioni Unite, ndr

Noi abbiamo scritto un addendum mostrando che in realtà questi tre punti sono assolutamente in accordo con quanto da noi sostenuto, dopodiché è iniziato un ulteriore processo di peer review dove un reviewer era d’accordo che l’addendum fosse pubblicato, l’altro reviewer no. Il fatto che un reviewer fosse d’accordo e l’altro no ha dato gli elementi all’editor per chiamare in causa un terzo auditor, il quale ha espresso parere negativo e quindi c’è stata questa ritrattazione.

Conclusioni scomode 

MHB: Ma quindi quanto da voi affermato era concorde o difforme da quanto scritto dall’IPCC? 

GA: Quanto da noi sostenuto in realtà è assolutamente in linea e concorde con quanto sostenuto dall’ultimo report dell’IPCC. Addirittura, io posso darle la referenza di una tabella dove si sintetizzano le conclusioni dell’IPCC per ciascun evento estremo preso in considerazione e quelli che noi abbiamo preso in considerazione sono tutti in totale accordo con quanto lì presentato.

Nondimeno siamo stati criticati perché abbiamo “cherry-picked” i dati, abbiamo fatto un’analisi selettiva e biassata, cioè non equilibrata. Per noi tutte queste sono scuse per poter attaccare l’articolo.  

Quello che ha dato molto fastidio dell’articolo in realtà è che nelle conclusioni abbiamo scritto che, secondo noi, viste le evidenze, la crisi climatica tanto sostenuta e diffusa dai media in realtà non è ancora evidente. Capisce che scrivere una cosa di questo genere può dar fastidio a una certa parte di ricercatori, diciamo così, particolarmente catastrofisti.  

MHB: Forse è un problema della società nostra generale, le opinioni che sono fuori dal coro del terrore climatico non si possono nemmeno esporre. Ma voi avete analizzato tutte le serie storiche?  

GA:  Sì, noi abbiamo analizzato l’andamento storico di alcuni eventi estremi, non esattamente tutti, ma i principali sicuramente. Si parla di uragani, si parla di tornado, precipitazioni estreme per esempio. Abbiamo trovato un andamento in crescita delle così chiamate ondate di calore e questo è coerente diciamo col clima che si sta scaldando, ma per tutti gli altri indicatori analizzati non abbiamo trovato nessun aumento significativo che sia al di là di quelle che sono considerate normali oscillazioni statistiche. E questa è la stessa conclusione dell’IPCC.

Poi abbiamo analizzato anche l’andamento dei disastri naturali che possono essere originati o meno dagli eventi estremi e l’andamento di danni economici… che non aumentano. Lo stesso risultato: i disastri naturali negli ultimi venti o trent’anni non sono aumentati.  

Mortalità in calo

La mortalità legata al clima è, contrariamente a quanto si crede, fortemente in diminuzione negli ultimi decenni. Ci siamo dunque permessi di esprimere un’opinione personale: secondo noi la crisi climatica, tanto citata dai media, non è ancora evidente.  

MHB: Le serie storiche presenti all’inizio del vostro documento sono quelle di un sito che si chiama Climate Atlas/tropical che vengono pubblicate da Ryan N. Maue. Questo signore è stato scelto dal presidente Donald Trump ai suoi tempi, probabilmente una cosa che insospettisce i talebani del clima. In ogni caso, chi è e quanto è importante nel mondo scientifico?  

GA: Si tratta di un ricercatore di esperienza che lavora in particolare nel settore degli uragani, ma che non fa nient’altro che raccogliere i dati e metterli in un sito, quello che ha citato lei, che è pubblicamente accessibile. Non c’è niente di particolare, non effettua neppure analisi particolari. Poi, mi permetta, non è che si può cadere nell’eccesso opposto, se questo noto ed esperto ricercatore ha avuto, mi permette di dire, la sfortuna di essere selezionato da Trump per una posizione pubblica di una certa importanza, non è che per questo possa essere accusato o essere messi in crisi i dati che lui raccoglie.

Ribadisco che l’IPCC stesso nelle sue 2.500 pagine del rapporto scientifico parla una sola volta di “crisi climatica”, dicendo che è un termine mediatico, non scientifico.

Ritirare il rapporto IPCC? 

MHB: Pensate di preparare un ulteriore studio, magari da pubblicare su un’altra rivista… o finisce tutto con questo “retracted”?  

GA: Come procedere adesso è in valutazione, ci sono varie opzioni. Considerando il fatto che noi siamo assolutamente in accordo con l’IPCC, secondo la stessa logica finora applicata dovrebbe essere messo sotto validazione e quindi ritirato anche l’ultimo rapporto dell’IPCC.  

MHB: In generale, quanto sono affidabili le serie storiche e quanto indietro nel tempo ci permettono di andare?

GA: Guardi, lei ha centrato esattamente il punto: in base ai dati storici si è visto il numero di disastri naturali crescere dagli anni ’50 sino verso la fine del XX secolo, per poi stabilizzarsi se non addirittura diminuire negli ultimi 25-30 anni.

Ma è un punto che è stato sottolineato diverse volte dai ricercatori stessi che compilano questo database e registrano in questo database i disastri naturali: la crescita che si osserva verso la fine XX secolo non è dovuta all’aumento dei disastri naturali, è dovuta ad una migliore registrazione, così chiamato “better reporting”, cioè a una maggior capacità di tener conto, osservare e registrare questi disastri naturali.

Ci proteggiamo meglio

MHB: Questo non spiega la discesa degli ultimi anni.

GA: La discesa degli ultimi vent’anni può essere dovuta al fatto, questa è un’ipotesi che mi sembra ragionevole, che via via stiamo imparando sempre di più a prevenire che questi eventi estremi si trasformino in disastri naturali, quindi magari proteggerci o anche proprio a proteggerci di più.  

Un esempio mi viene in mente: lo tsunami. Una volta gli tsunami arrivavano e nessuno sapeva niente e quindi quando colpivano la costa facevano un disastro. Oggi ci sono delle opportune reti per avvisare la popolazione che sta arrivando uno tsunami: lo stesso fenomeno causa un disastro molto minore, solo per il fatto che stiamo imparando a prevenire o a difenderci.

Sovrappopolazione

MHB: Ultima domanda. In 60 anni la popolazione mondiale è passata da 3 a 8 miliardi. L’aumento delle temperature è attribuito “alle attività umane” (andiamo troppo in vacanza in aereo, usiamo l’autovettura anziché l’autobus etc). Ma non potrebbe essere invece una conseguenza della sovrappopolazione del “pianeta”? 

GA: Sì, io penso che le due cose siano strettamente correlate. Da una parte c’è l’aumento dell’utilizzo energetico, della produzione di energia che di per sé, a parità di tutto il resto, e dunque anche a parità del numero di persone, genera CO2. E poi, sì, la popolazione globale aumenta e aumenta l’emissione globale.

Consideriamo poi che, come diceva lei prima, non solo i cinesi sono aumentati molto come numero, ma anche gli indiani. C’è poco da fare, migliorare il proprio status di vita implica, oserei dire quasi necessariamente, un aumento dell’utilizzo energetico. Come ricordava lei, in 60 anni si è passati da 3 a 8 miliardi di persone: quindi, va da sé che, le due cose essendo collegate, originano un maggior aumento di emissione della CO2.

NOTA: La discussione è continuata riguardo a fenomeni connessi, quali l’aumento delle precipitazioni in determinate situazioni: invitiamo chi volesse approfondire ad ascoltare il podcast.

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