L’uomo di oggi, rispetto ai primi uomini che abitarono la terra, si illude, attraverso il dominio di campi del sapere sempre più vasti, di controllare i propri demoni interiori – di vivere libero dalla paura.
Il patto sociale
Forse perché ha in mente l’arcaico stato di asocialità che caratterizzava le società primitive, stato in cui la paura regnava allo stato puro, non avendo ancora stipulato quel patto sociale che viene posto, in termini metaforici, alla base del vivere civile, come inizio della vita regolata della cittadinanza.
Quale elemento costitutivo del patto sociale, la storia del pensiero politico ha sempre messo in rilievo un particolare rapporto negoziale: l’uomo cede l’originario diritto su tutto (diritto che sfocia nell’arbitrio totale, nella guerra di tutti contro tutti) e in cambio ottiene, come corrispettivo delle libertà cedute alla neocostituita autorità statale, il diritto alla sicurezza, la libertà di vivere libero dalla paura primordiale.
Il rapporto libertà-paura
In questi termini, al diritto su tutto subentra un diritto limitato del singolo, che si concreta nell’assicurare l’esercizio di specifiche facoltà individuali attraverso la garanzia di sicurezza offerta dallo stato. Ma in realtà non si tratta di un semplice scambio di diritti-facoltà: è piuttosto la relazione paura-libertà a essere attivata. A maggiori libertà corrispondono paure più grandi: per questo il prezzo pagato per cedere libertà maggiori viene compensato attraverso la diminuzione del livello di paura.
La paura funge in questo modo da dispositivo politico, poiché diviene il meccanismo che determina il grado di libertà che i cittadini possiedono in determinati contesti politici e istituzionali.
L’arma della paura
Si pensi ai regimi autoritari: in quei regimi politici il potere riesce a comprimere a livelli – per noi insostenibili – le libertà civili e politiche, usando come arma lo spettro della paura, ponendo due coppie di alternative ai membri della comunità: libertà e paura totale, oppure nessuna libertà e nessuna paura.
Ma non è solo all’interno di regimi politici illiberali che è possibile osservare il funzionamento della paura come dispositivo politico. L’esempio più lampante è rappresentato dal biennio pandemico vissuto nel 2020-2021: quando – all’improvviso – siamo stati costretti a vivere chiusi in casa, non erano certo le sanzioni amministrative da pagare in caso di inottemperanza a fungere da deterrente.
Anche in quella occasione, la relazione attivata fu quella libertà-paura: la quasi totalità della popolazione italiana accettò la privazione di libertà assicurate dalla Costituzione, ottenendo come compensazione delle restrizioni subite la rassicurazione di paure minori.
Si pone dunque la questione principale: a quale punto l’uomo è disposto ad arrivare pur di non provare paura? Quante libertà perderemo in nome della libertà dalla paura? Se arrivassimo, per assurdo, alla situazione in cui tutte le libertà saranno sostituite dalla libertà dalla paura, sarà allora troppo tardi per rendersi conto che solo accettando e convivendo con i nostri demoni, solo essendo liberi di provare paura, potremmo realmente esercitare con pienezza e senza dover accettare più alcun compromesso il bene più grande, ovvero la libertà che è intrinseca e connaturata alla natura e all’essenza umana.