La prima dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’epoca moderna è quella dello Stato della Virginia, scritta da George Mason e adottata dalla Convenzione di quello Stato il 12 giugno 1776. E, proprio a Mason, è oggi intitolata una celebre Università in Virginia. Fu poi largamente adottata da Thomas Jefferson nella dichiarazione dei diritti dell’uomo contenuta nell’atto di indipendenza degli Stati Uniti d’America (4 luglio 1776), nella quale si afferma “che tutti gli uomini sono creati uguali tra loro, che essi sono dotati dal loro creatore di alcuni inalienabili, diritti tra cui la vita, la libertà e la ricerca della felicità”.
C’erano, come tutti sappiamo, delle grandi contraddizioni. Agli schiavi neri tali diritti non venivano affatto riconosciuti, e chi visita la celebre dimora di Jefferson a Monticello in Virginia trova ancora l’ala adibita agli schiavi.
Esistenza, validità e contenuti dei diritti umani continuano a essere oggetto di dibattito sia in filosofia sia nell’ambito delle scienze politiche. Da un punto di vista giuridico, i diritti umani vengono definiti da convenzioni e leggi internazionali, ma anche dagli ordinamenti giuridici di numerose nazioni. Va però aggiunto che, secondo molti, la dottrina dei diritti umani va al di là delle singole leggi e forma la base morale fondamentale per regolare l’ordine geopolitico.
La Carta Onu
Un’ulteriore grande affermazione dei diritti umani si ebbe dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale con la costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e con la redazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, siglata a New York nel 1948. Con questa Carta si stabiliva, per la prima volta nella storia moderna, l’universalità di tali diritti, basati su un concetto di dignità umana intrinseca, inalienabile, e universale.
La Dichiarazione riconosce tra le altre cose il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale; al riconoscimento come persona e all’uguaglianza di fronte alla legge; a garanzie specifiche nel processo penale; alla libertà di movimento e di emigrazione; all’asilo; alla nazionalità; alla proprietà; alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; alla libertà di associazione, di opinione e di espressione; alla sicurezza sociale; al lavoro in condizioni giuste e favorevoli; alla libertà sindacale e, infine, a un livello adeguato di vita e di educazione.
Il rapido progresso del rispetto dei diritti umani nelle nazioni occidentali non ha avuto un andamento parallelo in tutto il mondo. Ancora oggi in moltissime aree del pianeta lotte simili a quelle vissute in Europa e Nord America continuano a opporre tra loro oppressori e oppressi. È ironico pensare che proprio i popoli delle nazioni occidentali, avendo lungamente lottato per ottenere i propri diritti, vengano additati adesso quali responsabili dell’oppressione nei confronti dei popoli del “Sud del mondo”.
Scossa dalla barbarie della Seconda Guerra Mondiale, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite promulgò nel 1948 l’importantissimo documento intitolato “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”. Tale Dichiarazione, sebbene non li obbligasse sotto lo stretto profilo giuridico, indicava però agli Stati membri l’urgenza di promuovere un insieme di diritti umani, civili, economici e sociali, affermando che essi sono parte delle “fondamenta di libertà, giustizia e pace nel mondo”.
La dichiarazione fu il primo sforzo legale internazionale volto a limitare il comportamento oppressivo di taluni Stati. Molte nazioni vorrebbero andare oltre la Dichiarazione Universale e creare un corpus di leggi che impegni a tutti gli effetti gli Stati della Terra ad attenersi a norme per la tutela dei diritti umani. Ovvio, tuttavia, che per realizzare tale obiettivo sarebbe necessario un governo “mondiale” dotato di poteri effettivi, e non solo teorici.
Una nuova coscienza civica
Il tema dei diritti umani è un argomento decisamente ostico. Vuoi per l’ampiezza della materia, vuoi per il fatto che spesso i suddetti diritti sono enunciati in documenti lunghissimi e non pienamente comprensibili a una prima lettura, vuoi perché alla fine si ha sempre la sensazione che anche in questo campo prevalgano gli interessi politici e che il dibattito rimanga un privilegio di pochi.
Bisogna prendere coscienza del fatto che il pieno rispetto dei diritti umani è prima di tutto una nostra responsabilità. Questo vale per ognuno di noi, ma a maggior ragione per gli insegnanti, che hanno un compito ulteriore, quello di trasmettere ai propri alunni questa sorta di nuova coscienza civica.
Trasmettere e imparare i diritti umani è possibile attraverso percorsi nuovi e multidisciplinari che insegnino ai giovani ad opporsi a ogni forma di violenza e discriminazione, che facciano capire l’arricchimento derivante dal convivere e cooperare con soggetti appartenenti a gruppi culturali diversi. Educare non vuol dire solo trasmettere nozioni e concetti, ma anche – se non principalmente – favorire l’interiorizzazione di un certo tipo di valori che guideranno poi il comportamento quotidiano individuale.
Diritti e doveri
Qui però il mio discorso diventa critico, e ricordo un episodio. Quando avevo 12 anni trovai sul comodino di mio nonno un libro di Giuseppe Mazzini. Il titolo era “I doveri dell’uomo”, un libretto minuscolo, ma denso di contenuti, pubblicato dall’Associazione Mazziniana Italiana. Lo conservo ancora. Anche lì si parla di diritti, ma di diritti abbinati a “doveri”. Non sarà, ho pensato rileggendolo, che abbiamo esagerato, noi tutti, parlando solo di diritti, e scordandoci che diritti e doveri sono i due lati di una stessa medaglia?
Qualsiasi discorso sui diritti umani che non voglia essere mera retorica è assai difficile. Si tratta di una difficoltà intrinseca, che si è rivelata proprio quando i diritti umani hanno trovato un loro adeguato riconoscimento in una serie di atti internazionali di grande valore. La diffusione planetaria delle norme sui diritti umani è, forse, la prima forma di globalizzazione.
Tuttavia l’universalità dei diritti non può ridursi soltanto all’affermazione della libertà negativa – una libertà da qualcosa o da qualcuno – senza prefiggersi il raggiungimento della libertà positiva, vale a dire la libertà di esercizio di tutti i diritti che denotano una società civile. Occorre insomma insistere sull’inscindibile rapporto che unisce diritti e doveri.
Ai migranti vanno riconosciuti i diritti in quanto esseri umani. Ma, al contempo, essi vanno istruiti circa i doveri che debbono rispettare entrando in una nazione che li accoglie. Condizione davvero necessaria se si vuole, per l’appunto, evitare una retorica vuota e fine a se stessa.