Dove nascono i deliri della cancel culture: dai Torquemada liberal agli ecotalebani

L’indottrinamento woke parte dalle aule universitarie, con programmi che criminalizzano l’eredità giudaico-cristiana e la cultura classica, per arrivare nei musei

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Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una pericolosa affermazione delle crociate contro libri, monumenti e creazioni artistiche di ogni genere. È bene riflettere sulle conseguenze di questa furia distruttrice per evitare che i fenomeni d’odio si accentuino in futuro.

Quando si accendono i riflettori sul tema della cancel culture è frequente cadere nei soliti cliché, dovuti alla mancata conoscenza di un problema che ci riguarda da vicino. Il dibattito pubblico non affronta opportunamente l’emergere di queste pulsioni liberticide; manca, inoltre, la sensibilizzazione dei cittadini sulle minacce legate alla perdita della cultura.

Cosa spinge a cancellare l’eredità del nostro passato, piuttosto che a conservarla? La mania di alcuni per la rivoluzione permanente, l’odio verso la civiltà occidentale, l’astio nei confronti delle tradizioni e del folklore, ritenuti nella migliore delle ipotesi obsoleti, nella peggiore nocivi. Non manca mai il vizietto marxista dell’invidia sociale, volta ad omologare verso il basso.

Ai vecchi pregiudizi si aggiungono delle inedite eresie. Scopriamo ad esempio che il linguaggio, l’elemento unificante di un popolo, è un nemico da soggiogare a tutti i costi poiché intrinsecamente sessista. Elisioni forzate, schwa in abbondanza, segni grafici grotteschi: chi più ne ha, più ne metta.

Divulgare per… decostruire

Abbiamo di fronte ai nostri occhi nuove forme di coercizione, subdole e non semplici da intercettare. In che modo i paladini del politically correct sono riusciti nell’intento di inebetire le folle? Come aveva previsto Margaret Thatcher nel 1987, durante la conferenza del Partito Conservatore, l’estrema sinistra punta ad insediarsi nei gangli dell’istruzione.

Manipolando il sistema educativo è possibile ottenebrare le coscienze dei giovani, grazie ad un meticoloso lavoro di brainwashing perpetrato fin dall’infanzia. Purtroppo, gli Stati Uniti sono un esempio calzante di questa deriva.

Gli atenei anglosassoni

La strategia promossa da molti college statunitensi è chiara: adottare programmi che criminalizzano l’eredità giudaico-cristiana e la cultura classica. Ebbene, le aule della Howard University, di Harvard e di Princeton fungono da laboratori per la woke culture, nient’altro che una damnatio memoriae giustificata dalla vigilanza in chiave egualitaria.

Un vero e proprio indottrinamento allo “sfascismo”, quello che si consuma negli atenei anglosassoni. Del resto, il modus operandi delle università oltreoceano lascia poco spazio all’immaginazione.

Pagine di autori immortali, da Aristotele a Cicerone, da Ovidio a Shakespeare, censurate per compiacere i soloni della gender equality; revisionismo storico senza se e senza ma, nell’ottica di screditare il crudele Occidente colonialista (sic!); statue di Cristoforo Colombo, Cecil Rhodes e Winston Churchill – solo per menzionare alcune vittime illustri – rase al suolo in nome della lotta alla supremazia bianca.

La crisi del libero pensiero

Tali sono i sintomi della wokeness che sta soffocando gli States, una malattia contagiosa e dal decorso inarrestabile: si rischia di precipitare negli abissi dell’ignoranza per non uscirne più vivi. È curioso (ma non troppo) notare come i fautori dell’antirazzismo siano i primi a volere una società illiberale, nella quale le supposte minoranze possono arrogarsi il diritto di silenziare le voci altrui.

Azzerare la pluralità del sapere, mortificare il patrimonio culturale e imporre un’agenda puritana in salsa liberal sono gli obiettivi di questa peculiare categoria di inquisitori, i Torquemada del terzo millennio. Mala tempora currunt.

Si prospetta l’età del ‘pensiero debole’, per dirla alla Vattimo, o forse sarebbe meglio parlare di ‘Neue Kurs dei depensanti’. Ma se credete che l’inettitudine abbia dei limiti, vi state sbagliando di grosso. Andiamo nel Vecchio Continente.

L’ossessione contro la bellezza

Gli spettri dell’iconoclastia si aggirano anche in Europa, dove alcuni gruppi di vandali hanno deciso di infierire contro le opere d’arte nei musei. Basti pensare agli ecotalebani di Ultima generazione, un movimento che prende di mira i capolavori imbrattandoli con vernici, zuppe e spray.

Il motivo? Disinnescare l’emergenza ambientale, in modo da garantire la giustizia climatica e sconfiggere le logiche del profitto.

Poveri illusi, la vostra barbarie non ha nulla a che vedere con la salvaguardia degli ecosistemi; un concetto difficile da capire per chi non ha mai contemplato un dipinto, neppure su carta patinata.

I fannulloni recitano un copione già letto: grida, discorsi sconclusionati e sgrammaticati, mani incollate alle pareti che ospitano i quadri. Guadagnati i tre minuti di notorietà che tanto agognavano, vengono scortati a forza per poi ritornare nel nulla da cui sono venuti.

È così che il gruppo scultoreo di Laocoonte, la Primavera di Botticelli, i Girasoli di Van Gogh, Morte e Vita di Klimt sono accomunati da un destino di sventura. L’arte classica non è l’unico obiettivo di Ultima generazione e affini. Recentissima è la notizia dell’accanimento contro un’automobile decorata da Andy Warhol alla Fiera di Milano, stavolta con un sacco di farina. Chissà quale sarà stata la colpa del “reazionario” Wharol…

Il pericolo dell’indifferenza

Si può pensare di guardare passivi i giocolieri del woke in azione, con i loro simpatici capelli turchini e le vesti insudiciate. Ma se perseveriamo nel silenzio assordante dell’indifferenza, possiamo considerare la nostra natura di uomini priva di significato.

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