Cultura

Guerra al patriarcato già combattuta e vinta. Dal capitalismo

L’uccisione di Saman è patriarcato, non quella di Giulia. Se qualcosa del patriarcato ricompare in Italia, è per la presenza di persone di altre culture

Saman islam

In Italia la minaccia del patriarcato ha messo in ombra persino quella del fascismo. Non si parla d’altro da quando la povera Giulia Cecchettin è stata uccisa. È stata addirittura annunciata la creazione di una fondazione per combatterlo. Chi intendesse unirsi alla lotta, sappia allora che arriva tardi perché la guerra al patriarcato per fortuna è già stata dichiarata e vinta tanto, tanto tempo fa. Sono state la rivoluzione industriale e la nascita del capitalismo a decretarne il declino e poi la fine.

Il vero patriarcato

Il termine patriarcato infatti indica un sistema sociale tipico delle società arcaiche, preindustriali. Sua caratteristica è che il governo delle famiglie è diritto e dovere degli uomini sposati, i capifamiglia, e il governo delle comunità all’insieme dei capifamiglia. Tutti, maschi e femmine, nelle società patriarcali sono sottomessi ai capifamiglia, a loro volta vincolati nelle loro decisioni e nel loro operato alle tradizioni di cui sono custodi, che per primi e meglio di tutti dovrebbero rispettare.

È compito loro imporre un controllo particolarmente serrato sui giovani, maschi e femmine, perché dal loro comportamento dipendono le sorti delle famiglie e delle comunità, il loro futuro. Ecco perché una delle istituzioni tipiche del patriarcato è il matrimonio combinato, che non lascia alla discrezione dei singoli la scelta di quando e con chi formare una famiglia.

Una società patriarcale è anche gerontocratica e necessariamente autoritaria. Gerontocratica vuol dire che conta sempre di più e ha più potere chi è nato prima: i più anziani tra i capifamiglia e, all’interno di ogni famiglia, i maschi primogeniti che succedono al padre e ai quali per tutta la vita i fratelli cadetti, anche dopo aver assunto lo status di capifamiglia una volta sposati, devono in qualche misura essere sottomessi.

Altra caratteristica delle società patriarcali è che non contemplano l’esistenza di diritti umani universali e inalienabili. I diritti di ciascuno dipendono dallo status e dal ruolo che ricopre di volta in volta nel corso della vita, quindi dalla sua posizione sociale. Questa viene attribuita, e imposta, in base a fattori che idealmente si vorrebbero solo ascritti: principalmente, la posizione assegnata alla propria famiglia all’interno della comunità, l’ordine di nascita rispetto ai fratelli, come si è detto, ed essere maschi o femmine. La divisione dei ruoli maschili e femminili in tutti gli ambiti è netta e insuperabile.

Nella maggior parte dei casi le società patriarcali sono anche patrilineari: status famigliare, titoli, proprietà, beni si trasmettono di generazione in generazione dal padre ai figli maschi. Ma anche in quelle matrilineari l’eredità passa da una generazione di maschi all’altra: i figli di una donna ereditano dagli zii materni. E ancora, sottomissione e obbedienza sono valori assoluti nel patriarcato, non lo è la libertà personale a cui noi attribuiamo importanza cruciale.

Al centro la comunità

Il motivo è che nelle società patrilineari quel che più conta è la comunità, ad essa le persone devono essere subordinate e se necessario sacrificate. Lo status dei maschi, il loro potere, però, cresce con il matrimonio, con la nascita dei figli, con l’età. Alle donne il trascorrere degli anni invece non porta altrettanti cambiamenti. Il controllo su di loro si intensifica a partire da quando sono in grado di procreare oltre che di svolgere le attività produttive e domestiche assegnate al sesso femminile.

Proprio perché costituiscono una risorsa indispensabile, le società patriarcali dispongono persino di istituzioni che le pongono in uno stato di asservimento. Il prezzo della sposa, ad esempio, molto diffuso, impone di risarcire la famiglia che cede una figlia accettando di darla in moglie. In cambio di quanto hanno pagato, il marito e la sua famiglia acquisiscono per sempre, fino alla sua morte, diritti assoluti su di lei e sui figli che avrà generato.

Incompatibile con il capitalismo

Ecco perché le istituzioni patriarcali sono funzionali alle economie arcaiche mentre sono incompatibili con le economie di mercato che hanno bisogno di persone libere ed è per questo che il patriarcato in Occidente è scomparso con l’affermarsi del modo di produzione capitalistico. Il terreno però era già stato preparato molti secoli prima dal cristianesimo. L’islam al contrario ne è diventato la religione e ha sacralizzato le sue istituzioni proclamandole volontà divina.

Saman vittima del patriarcato

Dunque dovrebbe essere facile capire che con l’omicidio di Giulia Cecchettin il patriarcato non c’entra, neanche come terribile lascito di un mondo ormai scomparso: perché la nostra società non ha niente in comune con il patriarcato, ma più ancora perché in regime di patriarcato che cosa può e deve fare un ragazzo come Filippo Turetta e che cosa non gli è permesso lo stabilisce il capo della famiglia alla quale appartiene e non si azzarderebbe a uccidere qualcuno per motivi personali, men che meno una donna che è una risorsa troppo preziosa perché la comunità se ne privi per compiacerlo.

Saman Abbas, la ragazza pakistana residente con la famiglia in Italia, uccisa nel 2021 perché aveva rifiutato un matrimonio combinato, lei sì che è una vittima del patriarcato. La decisione di punirla con la morte è stata presa da suo padre e da suo zio. Si è trattato per loro di un atto legittimo, doveroso, necessario a dimostrare il loro rispetto per le istituzioni tradizionali e a restituire decoro e dignità alla loro famiglia.

Se qualcosa del patriarcato ricompare in Italia, è per la presenza di persone di altre culture e società che il relativismo culturale e morale ci ingiungono di rispettare, di non giudicare.