Il complicato rapporto destra-capitalismo. E i capitalisti woke per opportunismo

Zitelmann: nonostante le pulsioni anti-capitaliste, destra Usa ancora saldamente pro-mercato. Ma rancore contro l’alleanza fra grande Stato e grande capitale di sinistra

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Rainer Zitelmann, storico e sociologo tedesco, ha pubblicato un libro (ora in italiano, edito da Istituto Bruno Leoni) che si intitola “Elogio del Capitalismo, dieci miti da sfatare”. Solo parlare esplicitamente di “capitalismo” nel nostro Paese è considerato una provocazione. Se poi lo si elogia, apriti cielo.

Ma è precisamente quel che Zitelmann intende fare. In dieci capitoli smonta quelli che sono i luoghi comuni più duri a morire, dal “capitalismo responsabile della povertà e della fame nel mondo” a quello secondo cui sarebbe “responsabile del fascismo”.

Socialismo e nazionalismo

Proprio a questo proposito, Zitelmann, essendo innanzitutto uno storico, ha studiato la netta differenza fra un sistema nazional-socialista e quello capitalista. Il nazional-socialismo, lungi dall’essere “il braccio violento del capitale”, aveva molte più affinità con il socialismo reale tipico dei regimi comunisti.

Oggi, con l’avanzare di un’ideologia “rossobruna”, assistiamo a qualcosa di simile: a movimenti sempre più estremi che vogliono una fusione fra un programma economico socialista e un programma politico nazionalista.

Il Gop trumpiano

Ma anche gli Usa corrono questo rischio? Il Partito Repubblicano sta cambiando a vista d’occhio. Soprattutto dopo le ultime elezioni di medio termine si è “trumpizzato”. E questa nuova destra americana, che parla duramente contro la globalizzazione e le differenze classiste prodotte dal nuovo capitalismo, viene spesso associato, dai media, alla destra rossobruna europea.

“In una conferenza, negli Usa, abbiamo affrontato proprio questo argomento: c’è un sentimento crescente, soprattutto nella destra, contro il libero mercato – ci spiega Rainer Zitelmann – Sono sempre più diffusi sentimenti contro i ricchi. Io penso che le ragioni di questo cambiamento siano più di una”.

La prima è, sicuramente: “Donald Trump. L’ex presidente è stato un misto insolito di politiche e retoriche capitaliste e anti-capitaliste. Da un lato ha eliminato regole e abbassato le tasse. Dall’altro, ha promosso politiche contro la globalizzazione, come il protezionismo”.

Il capitalismo woke

Ma c’è dell’altro: “C’è un crescente rancore contro l’alleanza fra grande Stato e grande capitale, tutto di sinistra. Si tratta di una critica almeno in parte fondata, considerando che grandi capitalisti come George Soros promuovono una cultura di sinistra. E molti amministratori delegati predicano un’ideologia woke. Ma è perché la cancel culture è talmente pervasiva che, anche se sei un miliardario, rischi grosso se fai discorsi controcorrente”.

Secondo Zitelmann, infatti, quella degli imprenditori woke non è la maggioranza, ma una minoranza rumorosa e sovraesposta. La maggioranza preferisce rimanere silenziosa.

Prendiamo ad esempio John McKey – ci spiega – il fondatore di Whole Foods (successivamente venduto ad Amazon): ha scritto anche libri pro-capitalismo ed è stato un acceso critico della riforma sanitaria di Obama. Io l’ho incontrato ad una conferenza di Students for Liberty a Miami e gli ho chiesto il perché di tanto silenzio da parte dei capitalisti in difesa del capitalismo. La risposta è stata interessante: è troppo pericoloso, se hai un’azienda, esporti troppo alla macchina del fango mediatico e ad un boicottaggio.

Dall’altra parte, parlare dicendo cose di sinistra, conviene:

La minoranza di imprenditori che si esprime a favore della cultura woke lo fa, probabilmente, per opportunismo. Sanno di essere più popolari se si affacciano sul palcoscenico dei media maistream. Oppure sono condizionati da fattori personali, insondabili, come figli cresciuti in una cultura di sinistra, o una moglie femminista. Dall’altra parte, credo che sia una caratteristica tipica dei media quella di dare la voce ad un capitalista che parla a favore di tasse più alte, o direttamente contro il sistema capitalista: perché è come il proverbiale uomo che morde il cane. Viceversa, non farebbe notizia.

Destra Usa pro-capitalista

Tuttavia, tornando alla domanda iniziale, cioè se i Repubblicani siano diventati anti-capitalisti, la risposta, nei grandi numeri è: no. Lo dimostrano i numeri, nei sondaggi contenuti in appendice a “Elogio del capitalismo”. La destra americana è ancora saldamente pro-capitalista. “Come dimostra il sondaggio che abbiamo effettuato per il mio libro – ci spiega – la destra americana è più pro-capitalista della sinistra. Più l’intervistato si identifica con la destra, più è favorevole al capitalismo”.

Destra sociale in Europa

È semmai in Europa che la destra risulta più sociale che capitalista. “In Francia – ci spiega Zitelmann – il partito di Marine Le Pen è a destra per tutto quel che riguarda la nazione e la cultura, ma sull’economia è di sinistra, come i socialisti. Lo stesso si può dire per il PiS, il partito conservatore polacco, che è considerato chiaramente di destra su nazione, identità, religione, ma economicamente parlando, e per le sue politiche sociali, è un partito di sinistra”.

La destra italiana

In Italia, la buona notizia è che abbiamo ancora una destra più incline al capitalismo. Nel sondaggio di Zitelmann, i rispondenti italiani si identificano in cinque categorie: estrema sinistra, sinistra moderata, centro, destra moderata, estrema destra.

Il libero mercato non è per nulla apprezzato dell’estrema sinistra: 40 per cento contro, 13 a favore. E nemmeno nella sinistra moderata: 25 per cento contro e 21 per cento a favore. Nel centro si ha una quasi perfetta equivalenza delle percentuali.

Solo nella destra moderata aumenta il consenso per il libero mercato: 28,3 per cento favorevoli, 19,7 contrari. Ma nella destra estrema, solo il 22 per cento è a favore e il 20 per cento contrario. Ed è già strano così: a giudicare da come parlano gli intellettuali della destra sociale, si sarebbe detto che vi fosse una maggioranza contraria.

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