Il modello “urban”, i pochi superstiti e la scelta tra libertà e oppressione

Perso tutto quello che rendeva ogni città un mondo a sé: anima, cultura, tradizioni, lavori si sono sempre più ibridati e mescolati in un calderone

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Capita di passare intere giornate, per chi vive nelle grandi metropoli Italiane – Roma su tutte – immersi negli ingorghi di traffico a tutte le ore, oppure, per chi sprovvisto di veicolo, fermi sotto il sole o al freddo ad aspettare che l’autobus di turno arrivi.

Succede però, in una sorta di paradosso, che maggiormente si è immersi in questo sclerotizzante ritmo esistenziale, più facilmente si svilupperà una forma di abitudine, resistenza, nonchalance. È come se l’azione, l’agire costantemente attraverso una serie infinita di atti più o meno similari, ci precluda la possibilità di giudicare in modo oggettivo e neutrale la nostra condizione di vita.

Il giorno dell’inazione

Ne segue, come logica conseguenza, che l’unico modo per valutare le nostre vite dall’alto, tracciare un bilancio che valuti costi e benefici delle nostre scelte, sia quello di non agire. L’inazione, dunque, come unica via per capire effettivamente se la vita che conduciamo sia realmente quello che vogliamo.

Non si parla, per forza di cose, di un modello d’inazione continuato nel tempo. Si tratta, più semplicemente, di fermarsi un attimo. Può bastare una giornata. Si prenda un giorno per esempio – si scelga magari quello in cui si è maggiormente impegnati; una volta individuato, si proceda a disobbligarsi da tutti gli adempimenti previsti.

Così un lunedì mattina, vi sveglierete alla stessa ora in cui siete soliti alzarvi. Vi vestirete con gli abiti consueti, e uscirete dalla vostra abitazione. Nessuna direzione specifica, nessun compito prestabilito: l’esperimento, se così si può chiamare, avrà efficacia maggiore se sarete dotati di automobile o di altro mezzo di guida. Potrete, intorno alle 7 di mattina, vedere pian piano la vita ricominciare. Interi quartieri fremere di una vita ogni mattina nuova, ma in fondo sempre la stessa. 

E allora vedrete immensi isolati, simili tra di loro e diversi di zona in zona, ma comunque tutti aventi una mera funzione di dormitorio: i negozi di prossimità e di quartiere ridotti oramai all’osso, il centro storico sempre più Bed and breakfast per turisti – per lo più di passaggio – e sede delle vetrine del lusso; la città vera, priva di confini e identità, è oggi una somma di unità catastali, di differente livello e grado.

Città e metropoli

Si è perso tutto quello che una volta rendeva ogni città un mondo a sé stante: l’anima, le tradizioni, la cultura locale si sono sempre di più ibridate e mescolate al calderone di culture che hanno trasformato il modello di città, rimasto invariato dal Medioevo fino agli anni ’50 del Novecento, nella variante post-moderna della metropoli.

La metropoli, rispetto al modello antecedente di città, è costituita da una massa disomogenea (culturalmente e socialmente parlando) di individui che svolgono poche e simili funzioni per il mantenimento del sistema generale; la città al contrario, era costituita da unità omogenee, dal punto di vista culturale, di persone svolgenti funzioni molto articolate e diversificate tra di loro. 

Nella metropoli, si è sconosciuti in mezzo ad altri sconosciuti; si condivide poco e nulla, a parte lo svolgimento di mansioni che si assomigliano e si richiamano a vicenda. Nelle città, invece, la cultura e la tradizione facevano da collante, mentre il lavoro operava come forza decentrata e diversificante che arricchiva il corpo sociale. 

Accogliendo questa prospettiva, il giorno dell’inazione potrebbe rivelarsi come momento liberatorio. Vi potrete rendere conto di quanto il sistema urbanizzato vi abbia forzato, attraverso metodologie d’intervento soft, a modelli di vita che probabilmente non vi soddisfano. Il sistema ha individuato la vostra posizione sociale prima ancora che voi abbiate potuto sceglierla, e tutto quello che avete fatto per sviare dalla traiettoria prestabilita ha al massimo deviato, ma non interrotto, la strada principale del vostro cammino.

Centro e periferia

Il paradosso del modello urban è stato quello di avere nutrito ambizioni egalitarie e democratizzanti, nella realtà poi esacerbando e acuendo le disuguaglianze al punto che la metropoli moderna ha visto invertire il tradizionale rapporto centro-periferia che vigeva nel modello della civitas precedente: ora la periferia è centro di grande parte della vita lavorativa, oltre che luogo adibito a dimora; il centro si è spopolato, demograficamente e culturalmente, tanto da divenire periferia metaforica: un centro solo geografico.

I superstiti

I pochi superstiti del vecchio modello di vita cittadino sono coloro che incarnano, con le loro professioni, ciò che era anima viva delle città che furono: tutti i commercianti, i piccoli artigiani, i proprietari di osterie e trattorie: sarti napoletani, maestri del vetro a Venezia, conciatori toscani etc.

Con questi “superstiti” dovrete parlare se vorrete capire le peculiarità dei vari ecosistemi urbani, ammesso che alcune peculiarità siano rimaste a fronte dell’avanzata del modello metropolitano e omogeneizzante che sta appiattendo e uniformando sempre di più le differenze regionali e locali.

Due alternative

Di fronte a questo scenario, le alternative sono due: accettare di divenire piccole particelle indistinguibili nell’ingranaggio della cappa uniformante; oppure ribellarsi, con la propria libertà di compiere scelte, pronunciare parole, mettere in atto stili di vita che si discostino dal mainstream. Nell’era della sovranità debole degli Stati, si tratta di scegliere tra la libertà e l’oppressione; di vivere dentro una cappa al punto di divenirne parte integrante oppure tentare di squarciarla per essere realmente artefici del proprio destino.

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