Se è vero che le concezioni proprie dell’ideologia woke (o politicamente corretta, o postmodernista che dir si voglia) rappresentano una sfida prima di tutto culturale alla civiltà occidentale, in quanto, come ho sostenuto nell’articolo del 4 settembre, basano la propria morale individuale e sociale sul principio della felicità personale anziché su quello della ragione (legata sia alla realtà trascendente che a quella materiale ed umana) che da secoli caratterizza la civiltà occidentale, è importante approfondire l’analisi di questo modo di pensare.
Metodo nella follia
Ma, qualcuno si chiederà, se la felicità personale, cioè soggettiva, è il principio cardine da cui derivare le regole del vivere sociale, che altro si può dire se non che la cultura woke porta al puro caos, e che essa, nonostante le buone intenzioni è simile ad una sorta di “follia” collettiva? Molti in effetti ragionano in questa maniera, ma a mio avviso commettono un grave errore, perché ciò li porta da un lato a prendere sottogamba la cultura woke e il suo potenziale “eversivo” della cultura tradizionale, e dall’altro a sottovalutare il fascino e la forza persuasiva che tali concezioni hanno su molte persone.
Infatti, anche se in apparenza una concezione dei rapporti sociali non basata sulla ragione ma sulla felicità soggettiva sembrerebbe una visione delle cose assurda, chi osserva deve riconoscere, riprendendo la famosa battuta di Polonio nell’Amleto (atto II, scena 2) che “anche se questa è follia, in essa c’è un metodo”.
In effetti i principi di convivenza sociale, morali, politici e giuridici proposti dalla ideologia woke si basano su due concetti, due idee-guida perfettamente in sintonia con una visione della società basata sulla felicità soggettiva e assolutamente in contrasto con la tradizione culturale della civiltà occidentale, due idee-guida che vale la pena di analizzare brevemente per conoscere meglio i principi ai quali (a volte senza averne piena consapevolezza) coloro che condividono tale ideologia si ispirano.
Il paradiso in Terra
Non si tratta peraltro di due idee nuove, ma esse nella cultura woke assumono un ruolo particolare. La prima riguarda la distinzione tra il mondo attuale con tutti i suoi difetti e le sue miserie, e un mondo ideale, astratto ma perfetto che gli uomini avrebbero il potere e il dovere di costruire. Nulla di nuovo in questo: facendo riferimento al capitolo 20 (vv. 1-7) dell’Apocalisse, dove si parla del regno dei giusti su questa terra destinato a durare mille anni prima dello scontro finale tra Dio e Satana, questa concezione è solitamente definita “millenarismo”.
Essa da sempre si è posta in contrasto con la visione cristiana della realtà e della storia, e in particolare con quella della cristianità occidentale, per la quale il mondo è e sarà sempre imperfetto, perché solo l’intervento divino potrà realizzare il regno dei giusti alla fine dei tempi: si ricordi la parabola del Vangelo di Matteo (cap.13, vv.24-30) sulla zizzania destinata a rimanere mista al buon grano sino alla fine del mondo.
In tal modo, la tradizione cristiana ha legato il regno millenario dell’Apocalisse all’intervento divino, e grazie al pensiero prima di Tertulliano (155-230) e poi soprattutto di Sant’Agostino (354-430) ha elaborato il concetto di “peccato originale” destinato a contrastare tutte le pretese umane di realizzare il paradiso su questa terra.
Inferni sociali
Nel corso dei secoli non sono mancati anche in Occidente i movimenti millenaristi, più o meno in aperto contrasto con la tradizione, ma è soprattutto in epoca moderna che, grazie anche al venir meno dei vincoli di tipo religioso, i movimenti finalizzati a realizzare il mondo perfetto hanno mostrato tutta la loro forza e la loro distruttività, portando come affermato da Karl Popper (1902-1994) alle creazione, anziché del paradiso in terra, di veri e propri “inferni” sociali.
Tra essi possiamo comprendere il giacobinismo (che voleva realizzare il paradiso della ragione) che portò al Terrore nella rivoluzione francese e il comunismo sovietico (che voleva realizzare il paradiso della giustizia sociale). Precedenti storici che inducono a criticare tutte le concezioni che non ammettono la necessaria e inevitabile imperfezione della realtà materiale e sociale e non concepiscono l’azione umana, morale, giuridica e politica come diretta a migliorare empiricamente tale imperfezione (e di miglioramenti, basandosi sulla ragione tradizionale la società occidentale ne ha realizzati parecchi), ma considerano la realtà attuale come una realtà da eliminare, o meglio da “superare” in vista di un mondo ideale che non può che essere immaginato come perfetto.
Queste concezioni millenariste della cultura woke sono alla base del radicalismo proprio di quasi tutti coloro che in essa si riconoscono: dagli studiosi ed opinionisti, spesso sin troppo fieri di sostenere una verità non criticabile; agli attivisti, incapaci di concedere anche il minimo rispetto a chi la pensa diversamente, quasi sempre bollato come “negazionista climatico”, “razzista” o (termine che rappresenta la sintesi di tutti gli altri) come “fascista”; agli stessi politici che spesso propongono o impongono norme astratte senza tenere minimamente conto delle conseguenze concrete (ad esempio in tema di politica energetica o di immigrazione clandestina).
Inevitabilità del progresso
A questo si aggiunge il concetto di “inevitabilità” del progresso verso il mondo perfetto che era già proprio del pensiero di Karl Marx (1818-1883): questa inevitabilità in sostanza “blinda” il pensiero woke, nel senso che chi prova a dissentire, oltre che come “fascista” viene considerato come un arretrato incompetente, incapace di comprendere i movimenti, le “dinamiche” della storia.
Peraltro, come quelle di tutti i movimenti millenaristi (giacobinismo e comunismo compresi) anche le concezioni woke da un lato sono basate su nobili principi (tutela dell’ambiente, solidarietà verso i popoli poveri, rispetto per le scelte di vita personali ecc.), ma dall’altro mancano della capacità di valutare in maniera empirica (e non ideologica) le cose, così da cercare di definire i limiti oltre i quali le buone intenzioni possono portare a danneggiare ingiustamente il prossimo.
In particolare alla ideologia woke manca inoltre la capacità di soppesare i pro e i contro di una determinata scelta sociale o politica: infatti, la quasi totalità delle affermazioni e degli slogan da essa derivati hanno in sostanza un contenuto puramente negativo: “non respingere nessuno”; “non discriminare nessuno”; “non limitare le pretese di nessuno”, “non alterare l’ambiente” ecc., il che porta spesso a risultati opposti a quelli contenuti nella visione ideale di partenza.
Paradiso in negativo
Con questa osservazione siamo arrivati ad esaminare la seconda idea-guida su cui si basa l’ideologia woke, che in ciò si differenzia dalle tradizionali visioni millenariste (anche moderne) applicate alla società e alla politica. Da sempre gli esseri umani che hanno immaginato il mondo perfetto su questa terra e coloro che hanno provato (purtroppo) a realizzarlo si sono basati su determinati valori (quasi sempre di per sé nobili e condivisibili), considerati però in maniera astratta dalla realtà e in tal modo resi assoluti: gli esempi fatti più sopra dovrebbero essere sufficienti a chiarire il concetto.
Anche la cultura woke ha come detto una componente millenarista, ma si caratterizza per il suo contenuto negativo: i pensatori, gli attivisti e i politici che si rifanno ad essa infatti pur inseguendo il mondo ideale non dicono mai cosa ci dovrà essere nel loro paradiso in terra, ma al contrario dicono cosa non ci dovrà essere.
Una descrizione verrebbe quasi da dire “precisa” di questo paradiso in negativo la dobbiamo quindi non ad un filosofo o ad un politologo ma ad un grande artista, uno dei più famosi cantautori del XX secolo, John Lennon (1940-1980) che, anticipando di qualche decennio la cultura woke, nella celebre canzone “Imagine“ del 1971 (che rappresenta a detta di molti il suo capolavoro artistico) sognava un mondo senza realtà trascendenti, senza stati, senza religioni, senza proprietà, senza valori per cui valesse la pena di combattere, un mondo perfetto descritto totalmente in negativo.
Anche se forse sarebbe scorretto inserire a posteriori Lennon nella cultura woke, è certo che la descrizione del mondo ideale da parte del “sognatore” di Imagine corrisponde appieno alle concezioni di tale cultura, la quale quindi abbina al millenarismo una componente diretta essenzialmente a criticare e a “decostruire” l’esistente, una componente che possiamo definire nichilista.
Un nichilismo mirato
Anche il nichilismo non è peraltro un’invenzione postmoderna: da sempre esso rappresenta un modo, sovente animato da buone intenzioni, per evadere dal mondo e per criticarne i difetti e le ingiustizie. Com’è noto il pensatore che ha teorizzato in maniera compiuta le concezioni nichiliste è stato il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900), il cui pensiero, soprattutto per il fatto che esso finiva per esaltare la “volontà di potenza” individuale, fu ripreso in parte dal nazionalsocialismo tedesco (che peraltro aveva anch’esso elementi millenaristi tra le sue componenti ideali).
Il nichilismo di Nietzsche però di per sé era un nichilismo “assoluto”, visto che negava ogni valore alla storia e alla stessa società umana, un nichilismo che possiamo definire “romantico” (non sembri strana questa definizione: in un manuale classico di storia della filosofia quale quello di Nicola Abbagnano, Nietzsche è inserito nella sezione dedicata al romanticismo ottocentesco, inteso ovviamente in senso lato). Il nichilismo postmoderno è invece un nichilismo “mirato”, e perciò molto più difficile da combattere culturalmente: esso nega il valore di tutte quelle regole ed istituzioni umane (e di tutti quei diritti individuali) che si ritiene possano ledere le pretese dei singoli alla felicità soggettiva.
Difficile da combattere
Le due idee-guida, il millenarismo e il nichilismo formano un’unione particolarmente pericolosa dal punto di vista culturale, ad esempio perché (tipico il caso di molti attivisti ambientalisti) non si considera il mondo perfetto come un traguardo futuro (come volevano i marxisti ortodossi) ma si vede (in negativo) il mondo attuale come destinato a distruggersi se non adattato alle prescrizioni del pensiero woke.
Inoltre, il nichilismo postmoderno è per molti aspetti difficile da confutare: in effetti qualcosa di negativo c’è in ogni azione e realtà umana, proprio perché l’uomo e la società umana sono imperfetti. Altrettanto difficile è criticare un mondo ideale sfuggente perché definito nel suo contenuto solo in negativo.
Le conseguenze di un tale modo di giudicare i rapporti sociali possono essere devastanti: per questo è molto importante smascherare e cercare di contrastare il millenarismo nichilista che rappresenta il vero volto della ideologia woke che si cela sotto l’apparente “follia” delle idee e l’altrettanto appariscente insieme delle buone intenzioni, perché solo accettando l’imperfezione umana si può, confrontandosi in maniera rispettosa con chi la pensa diversamente, cercare di migliorare la realtà personale e sociale.
Il che rappresenta la lezione che (pur con tutti i suoi difetti) la storia del pensiero occidentale, che ha sempre rifiutato sia il millenarismo che il nichilismo, ci ha trasmesso e che ancora oggi ci è di guida soprattutto sul modo in cui calare le buone intenzioni nella realtà imperfetta di questo mondo, senza doverne sognare un altro, magari in forma negativa, magari da costruire anche usando la forza (del potere pubblico, del denaro o dei mass media) verso chi non è d’accordo.