Il “privilegio bianco”: la teoria marxista che vuole cancellare l’Occidente

L’antirazzismo che diventa odio contro i bianchi: far leva sul senso di colpa per smantellare la civiltà occidentale rappresentata dall’uomo bianco

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“Il privilegio bianco. Chi vuole far la pelle agli europei?”, è questo il titolo di un saggio di Georges Guiscard da poco pubblicato dalla casa editrice Passaggio al Bosco. In Italia parlare di razze è un tema che suscita imbarazzo anche negli ambienti di destra, ma nei Paesi occidentali in cui coesistono da decenni diverse razze c’è un dibattito aperto perché la questione razziale è sempre più politicizzata.

Considerando la massiccia immigrazione di giovani africani verso le coste italiane che aspirano un domani a diventare cittadini a tutti gli effetti (almeno sulla carta), occorre familiarizzare – per produrre buoni anticorpi – con il concetto di privilegio bianco.

La teoria critica della razza

Quando si parla di white privilege ci si riferisce ad una serie di benefici – che vanno da un buon posto di lavoro alla possibilità di affittare una casa – di cui godrebbero le persone solo perché sono “bianche”, mentre le minoranze etniche avrebbero più difficoltà in quanto non-bianche.

Le prime tracce che delineano questo tipo di discriminazione emergono negli anni Sessanta dall’elaborazione di due militanti comunisti americani: lo scrittore Theodore W. Allen e lo storico Noel Ignatiev, quest’ultimo professore ad Harvard. Ignatiev in un articolo per lo Harvard Magazine ha scritto che “l’obiettivo di abolire la razza bianca è così desiderabile che sarebbe difficile pensare che chiunque possa opporvisi, a parte i suprematisti bianchi”. Fu dai loro scritti che nei campus americani nacque la teoria critica della razza.

Constatando il fallimento del comunismo storico, mantennero lo schema marxista binario dell’opposizione tra dominati e dominanti, ma sostituirono la borghesia con i bianchi e il proletariato oppresso con le minoranze etniche. La matrice di estrema sinistra è testimoniata anche dai simboli adottati, come il pugno chiuso utilizzato da militanti legati a rivendicazioni razziali come le Pantere Nere o il Black Lives Matter.

I bianchi? Tutti razzisti

Nonostante queste teorie siano nate dopo l’abolizione della segregazione negli Stati Uniti, i sostenitori dell’esistenza del privilegio bianco asseriscono che anche se non previste dalla legge, le discriminazioni sono rimaste a livello inconscio, i bianchi sono tutti inconsapevolmente razzisti.

Per l’afro-femminista francese (padre senegalese e madre gambiana) Rokhaya Diallo perfino i cerotti sono razzisti perché hanno un colore adatto per la pelle dei bianchi e non dei neri. Sarà che viviamo in un Occidente maschilista in cui i bianchi hanno la precedenza su tutto, ma la Diallo con le sue tesi strampalate sul razzismo si è “guadagnata” – proprio perché perfettamente allineata all’élite progressista – posti in radio, tv, nel Washinton Post. Proprio lei che denuncia il privilegio bianco, è una privilegiata solo perché è un megafono dell’ideologia dominante.

Il concetto di intersezionalità

L’unione tra femminismo e questioni razziali è stato teorizzato a partire dal 1989 da una docente universitaria afro-femminista Kimberlé Williams Crenshaw. Si deve a lei il concetto di intersezionalità ovvero la sovrapposizione di diversi tipi di discriminazioni. La vittima perfetta infatti è la donna nera e la Crenshaw è una di quelle femministe che denunciava l’eccessiva presenza di intellettuali e militanti bianchi per la causa femminista.

Questo, secondo l’attivista afroamericana, rende invisibili le maggiori sofferenze delle donne nere. Guiscard mette in guardia “che le femministe bianche non si credano al riparo da questa crociata di distruzione generalizzata! Agli occhi dei loro alleati di oggi sono più bianche che donne e, una volta abbattuto l’uomo bianco, loro saranno i bersagli successivi”.

Vogliono “smantellare la civiltà occidentale”

Di attivisti con tesi grottesche se ne potrebbero citare tanti, come l’americana Sonalee Rashatwar, “body positive e non-binaria”, convinta che per sconfiggere la “grassofobia” dobbiamo “smantellare la civiltà occidentale”. L’obiettivo è sempre lo stesso: distruggere l’Occidente rappresentato dall’uomo bianco.

Le presunte discriminazioni – se in un popolo la maggioranza è bianca è matematico che ci siano più bianchi anche ai vertici – sono solo il pretesto per infondere negli europei un infondato senso di colpa. Rivendicare dei posti migliori inserendo quote su base etnica o sessuale significa ammazzare il merito e fare carriera non perché più bravi, ma perché non-bianchi, non-etero e quant’altro.

Jordan Peterson, psicologo e professore presso l’Università di Toronto ha recentemente scritto per il National Post un articolo sul perché ha deciso di lasciare la sua cattedra universitaria:

“I miei studenti laureati maschi bianchi eterosessuali qualificati e altamente qualificati hanno poche possibilità di ottenere posti da ricercatori universitari, nonostante i loro curriculum scientifici stellari. Questo è in parte dovuto agli obblighi di diversità, inclusività ed equità. Questi sono stati imposti universalmente nel mondo accademico, anche se chi si occupava di assumere nelle università avesse già fatto tutto il possibile per tutti gli anni passati per garantire che nessun candidato qualificato di “minoranza” venisse mai trascurato. […] Come posso accettare potenziali ricercatori e formarli in buona coscienza sapendo che le loro prospettive di lavoro sono minime?”

L’ossessione per l’abolizione dell’uomo bianco non riguarda episodi di singoli personaggi come il rapper francese di origine camerunense Nick Conrad, che in un paio di brani cantava “impiccate i bianchi” e “uccido i bambini bianchi”, “ho scopato la Francia, bruciato la Francia, dolce Paese della mia infanzia”, mentre nel video strangola una donna bianca – che rappresenta la Francia – fino ad ucciderla; ma – sulla base dello stesso principio – con la cancel culture entra nella formazione dei giovani nelle scuole e nelle università, colpisce Omero e Virgilio, Dante, il Rinascimento, Mozart e tutto ciò che è “troppo eurocentrico”.

In verità, la corrente politico-culturale che punta a far sentire in colpa i popoli europei non è una recente isteria dell’ideologia woke. Già negli anni Quaranta lo storico giamaicano naturalizzato statunitense Joel Augustus Rogers (1880-1966) sosteneva che in realtà in Europa la presenza di africani è sempre stata massiccia, gli europei si sono appropriati di figure africane spacciandole per “bianche”. Nel testo “World’s great men of color” pubblicato nel 1946 sostiene che Goethe, Beethoven, Cézanne, Gauguin e tanti altri in realtà fossero neri, ma gli europei hanno fatto di tutto per nasconderlo.

I miti sul colonialismo

Nel suo saggio, Guiscard sfata – dati alla mano – anche alcuni miti sul colonialismo, il peccato originale dell’uomo bianco. Dal dato falso secondo cui i bianchi si sarebbero arricchiti sulle spalle dei neri al dato altrettanto falso secondo cui ancora oggi l’Africa sarebbe sottosviluppata a causa degli occidentali. E ricorda che il colonialismo non è stata un’esclusiva degli europei e che i popoli non-bianchi si sono macchiati di crimini altrettanto efferati, tratta degli schiavi compresa.

In poche parole: non esistono popoli innocenti, ma oggi solo i bianchi vengono colpevolizzati. Il libro di Guiscard è una buona arma non solo per difendersi da accuse infondate, ma anche per rilanciare e ribadire che dobbiamo essere orgogliosi della nostra storia.

Non si fermeranno

Questa corrente autodistruttiva dell’Occidente – indotta dall’élite progressista – non si fermerà, pretenderanno sempre di più. Aggiungerei una citazione di Kaczinsky per concludere il libro di Guiscard:

“Se la nostra società non avesse alcun problema sociale, la gente di sinistra li inventerebbe, così da procurarsi un motivo per protestare. (…) Supponiamo di chiedere a un uomo di sinistra di fare una lista di tutte le cose ritenute sbagliate nella società e quindi supponiamo di apportare ogni cambiamento sociale che essi domandassero. È sicuro che entro due anni la maggioranza degli uomini di sinistra troverebbe di nuovo qualcosa di cui lamentarsi, qualche nuovo male sociale da correggere perché, una volta ancora, l’uomo di sinistra è motivato meno dalla sofferenza verso qualche malessere della società che dal bisogno di soddisfare la sua spinta verso il potere, imponendo le sue soluzioni alla società”.

Ci chiediamo come faranno a coniugare gli immigrati musulmani con le rivendicazioni delle minoranze sessuali, quest’ultime già in lotta fra di loro. Ma questa è un’altra storia.

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