Medaglia d’oro al valore militare, eroina della Seconda Guerra Mondiale, combattente per la libertà. Questo e molto altro è Paola Del Din, la staffetta partigiana di origini bellunesi che nelle scorse ore ha compiuto cento anni. La sua vita, lunga e appassionata, rappresenta quasi l’anello di congiunzione tra i miti del Risorgimento e le epopee del ventesimo secolo.
Fin dalla più tenera età, Del Din ha maturato la passione per gli ideali conculcati dal regime fascista: la democrazia, lo stato di diritto, lo spirito di nazione, ben distinto dal nazionalismo o dall’autarchia di stampo mussoliniano. Il suo impegno civile è stato una rivalsa morale, prima ancora che una conquista politica. Il trionfo dell’individuo sul collettivismo, la vittoria dell’umanità sui crimini della guerra.
Le origini
Paola Del Din è nata a Pieve di Cadore il 22 agosto 1923, figlia di un ufficiale degli alpini. Dopo aver intrapreso gli studi in Lettere all’Università di Padova, affiancò suo fratello Renato nella Resistenza veneta all’indomani dell’armistizio di Cassibile. Pochi mesi dopo, nella notte tra il 24 e il 25 aprile 1944, Renato avrebbe trovato la morte durante una temeraria azione contro una caserma della milizia repubblichina a Tolmezzo.
La tragica uccisione spinse Paola Del Din a combattere indefessamente i nazifascisti, al punto che decise di chiamarsi con il nome di battaglia “Renata” in onore del fratello caduto. La giovane apparteneva alla brigata indipendente Osoppo, costituita da volontari di formazione laica, riformista e cattolica. Fu incaricata dalla stessa Osoppo di raggiungere gli Alleati a Firenze in qualità di informatrice per consegnare alcuni documenti di massima segretezza.
Prima paracadutista italiana
Del Din è stata la prima ed unica paracadutista italiana ad aver effettuato un lancio di guerra. Addestrata dalle forze britanniche a San Vito dei Normanni in seno alla Special Operations Executive (SOE), prese parte ad undici voli militari e riuscì ad ottenere dagli angloamericani la liberazione di suo padre Prospero, recluso nella lontana India.
Il 9 aprile 1945 compì un’impresa inimmaginabile, molto pericolosa per l’epoca: si gettò con il paracadute in Friuli insieme ad altri due agenti italiani per adempiere alla missione Bigelow, ma finì per fratturarsi la caviglia a causa di un inconveniente verificatosi nell’atterraggio. Ciononostante, la coraggiosissima staffetta portò con successo i messaggi che le erano stati affidati ai reparti in avanzata.
Antifascista e anticomunista
C’è un aspetto della personalità di Paola Del Din che merita di essere approfondito. La paracadutista di Pieve di Cadore ha sempre rifiutato l’appellativo partigiana, considerandolo un’espressione di parzialità e preferendo ad esso il termine patriota. Può sembrare una minuzia semantica, ma è una differenza lessicale che non va sottovalutata. Il patriottismo è il fulcro dell’identità nazionale, il sentimento che si fonda su radici culturali, storiche e linguistiche condivise. Quanto di più distante dal fascismo di Salò. Parafrasando il politologo Domenico Fisichella, si può affermare come i valori patriottici “preesistano al fascismo, lo abbiano attraversato e ad esso siano sopravvissuti”.
Paola Del Din ha manifestato la propria avversione sia al fascismo, che l’ha privata dell’affetto di suo fratello Renato, sia al comunismo di matrice sovietica. Al contrario dei partigiani rossi, Del Din non ha paura a condannare qualsiasi dittatura. La sua Weltanschauung antifascista e anticomunista rispecchia un pensiero antitotalitario coerente. Un antitotalitarismo che, purtroppo, non ha trovato accoglienza in vasti settori della società italiana.
La scomunica dei comunisti
Errare è umano, perseverare è di estrema sinistra. I comunisti (ex, neo e post) hanno attaccato Paola Del Din per aver detto la sua sull’organizzazione Gladio, sostenendo che “pur non avendone fatto parte, io non mi sono mai sentita di esprimere un giudizio negativo su Gladio”. Ebbene, non prendere le distanze da un apparato stay-behind Nato per difendere l’Italia dalla minaccia sovietica equivale ad essere scomunicati dei compagni.
Durante le celebrazioni del 25 aprile 2005 a Udine, un gruppuscolo di militanti di Rifondazione Comunista ha contestato pesantemente il discorso di Paola Del Din. Le stesse intimidazioni sarebbero state riservate l’anno successivo all’anziano padre di Letizia Moratti, partigiano liberale deportato nel campo di concentramento di Dachau, fischiato dai collettivi falce e martello insieme al futuro sindaco di Milano.
Una combattente per la libertà
Negli ultimi anni Paola Del Din si è dedicata a numerose attività volte alla salvaguardia della memoria storica della Resistenza. Nel febbraio 2007 è riconfermata alla presidenza nazionale della Federazione Italiana Volontari della Libertà, gruppo nato su iniziativa di Enrico Mattei per raccogliere le testimonianze dei partigiani cattolici e badogliani. Nel 2020, a 98 anni, viene eletta presidente onoraria dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia.
Il silenzio dell’ANPI nel giorno del centesimo compleanno di Paola Del Din dovrebbe far riflettere. L’associazione dei partigiani in assenza di partigiani non si smentisce mai: idolatra chi fu legato a doppio filo ai peggiori tiranni, ma non trova il tempo di dedicare due parole ad una combattente per la libertà.
Sì, perché Paola Del Din ha combattuto per la libertà con spirito di abnegazione, perseveranza, sacrificio. È questo il motivo per cui gli orfani del comunismo preferiscono tacere, facendo finta di ignorare chi, come Paola, ha contribuito a salvare l’Italia dagli orrori dei totalitarismi. Noi amanti della libertà e della democrazia non ci faremo intimidire da loro. Auguri, Paola.