Cultura

In difesa del Medioevo/4: il potere su base territoriale anziché personale

Nasce in Italia la concezione moderna di territorio come base del legame tra il signore e i suoi sudditi, entità omogenea per coesione sociale ed economica

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Uno degli elementi maggiormente caratterizzanti l’epoca feudale italiana è la prevalenza del concetto di “territorialità” rispetto a quello di “personalità”. Nella struttura giuridica e amministrativa italiana trovò affermazione, proprio nel Medioevo, un rapporto di tipo marcatamente territoriale, che legava gli abitanti di una certa zona geograficamente determinata al signore che su tale territorio esercitasse i suoi poteri comitali.

Il concetto di territorialità

Al contrario, in Francia ed in Germania il rapporto tra un signore ed i suoi sudditi rimase a carattere prettamente personale, con una conseguente frammentazione in senso geografico dei sottoposti alle famiglie dominanti.

Mi sia concessa una certa schematicità, imposta dalla necessità di sintesi, affermando che il Medioevo vide l’inizio del concetto di territorialità moderno, come l’intendiamo oggi, ossia, quello della coesione sociale degli abitanti di un territorio omogeneo, in larga parte caratterizzato dalle medesime risorse e dagli stessi bisogni.

Il potere a livello locale

Come argutamente sostenuto ed argomentato dallo storico e giurista Pietro Vaccari (1880-1976) nella sua opera “La territorialità come base dell’ordinamento giuridico del contado nell’Italia medievale” (Per i tipi di Giuffrè, 1963), il potere si esercitava con prevalente giurisdizione locale e questo dato, addirittura più importante di una effettiva investitura regale specifica, regolava i rapporti tra il governante ed i suoi sottoposti.

In poche parole, si affermò il principio di “signore di un dato luogo”, in modo assimilabile all’attuale  accettazione sociale degli abitanti di una data regione a rispettare un dato ordinamento locale impostoci dallo Stato.

Ove sorgesse un semplice “castrum” o un maestoso castello, principale elemento di marcatura del potere, nasceva un territorio ben delimitato tutt’attorno ad esso e soltanto su quel territorio valevano quegli obblighi e quei privilegi dei suoi abitanti.

Il feudo

Lo stesso concetto di “feudo”, per quanto ad oggi non perfettamente identificato in termini giuridici esatti, è strettamente legato ad un territorio specifico. Il re concedeva a titolo gratuito quel territorio ad un suo fedelissimo (vassallo) e, questi, a sua volta, poteva concedere diritti e privilegi ai suoi sottoposti  ma sempre limitatamente a quel territorio.

Se il re intendeva revocare in toto la concessione del feudo, poteva farlo, ma assai raramente si frammentò l’effettiva signoria all’interno di un territorio specifico e ben determinato.

Un esempio interessante e certamente significativo della medievale prevalenza territoriale rispetto a quella personale è quella dell’estesissimo Marchesato del Monferrato, costituito intorno al XI secolo, ove i suoi signori (dagli Aleramici ai Paleologi, per giungere fino ai Savoia) non diedero il nome del loro casato al loro territorio, ma accadde esattamente il contrario.

Dal castrum al castello

Fu proprio nel Medioevo che dal concetto di fortificazione permanente come evoluzione del castrum romano (in epoca imperiale, poco più di un accampamento attrezzato e dotato di dormitori) si passò all’edificazione dei castelli, delle mansiones (stazioni di tappa lungo le principali vie di comunicazione), dei priorati, edificati dagli ordini monastici e cavallereschi medievali, oltre alle innumerevoli torri di avvistamento (pochissime delle quali rimaste in piedi oggi).

Non a caso, nelle poche rappresentazioni grafiche e pittoriche di origine certamente medievale, gli agglomerati abitativi sono costellati di moltissimi edifici in altezza e con vistose bandiere al vento, con l’evidente finalità di contraddistinguere, già da lontano, il potere di una famiglia su un dato territorio, che in esso s‘identificò come mai prima di allora.

Le vie del commercio

Se le grandi vie consolari furono certamente di retaggio romano, prevalentemente concepite per le esigenze militari di comunicazione tra Roma e i suoi domini, furono pianificate e costruite le vie medievali per facilitare il commercio, attraverso vere e proprie carovane mercantili, e permettere l’interscambio tra il mare (principale via di comunicazione all’epoca) e le popolazioni di terraferma.

Sorsero quindi comunità fortemente caratterizzate dal territorio sul quale insistevano e quindi nacquero città di mare, dedite interamente al trasporto marittimo ed alla difesa territoriale navale, città di transito commerciale, dotate delle indispensabili infrastrutture logistiche (come le chiameremmo oggi) e città poste al centro dei grandi territori agricoli, strutturate in modo tale da permettere il miglior stoccaggio delle materie prime che fosse possibile all’epoca.

Il tutto in un quadro che non sembra così dissimile dall’attuale strutturazione commerciale, se non per l’enorme sviluppo tecnologico intercorso e per l’incredibile ampliamento geografico dei commerci di oggi. Tuttavia, proprio nei secoli dei castelli nacquero le imprese di assicurazione, le banche, i trasportatori e gli spedizionieri, con compiti non così distanti da quelli che rivestono ai nostri giorni.

Lo sviluppo dell’araldica

Un altro fenomeno di assoluto interesse, fortemente legato alla territorialità, è legato al crescente utilizzo di stendardi, vessilli, bandiere simboli araldici che trovarono nel Medioevo il loro massimo sviluppo.

Se in epoca romana le insegne e le bandiere erano di esclusivo utilizzo nei combattimenti, intorno al IX secolo cominciarono a diffondersi rappresentazioni grafiche distintive, di spiccato valore simbolico, che, progressivamente divennero il principale segno utilizzato non soltanto dall’imperatore e dal re, ma da tutte le famiglie nobili e persino dalle corporazioni del commercio.

Attraverso l’utilizzo di stemmi e blasoni, apposti sugli edifici più importanti di grandi e piccole città, si voleva apporre una sorta di marcatura territoriale ben precisa, destinata, almeno nelle intenzioni dei potenti dell’epoca, a rimanere per sempre. “Tutti vedano che questa è la mia terra”.

Terra di nessuno e di tutti

Per noi “moderni” è impensabile adottare un concetto di proprietà terriera che oltrepassi quello della limitata proprietà privata, in quanto, dal Rinascimento in poi, siamo abituati a considerare il pianeta come terra di tutti i suoi abitanti, alcuni dei quali godono di limitati privilegi di proprietà privata su piccolissime parti del suolo.

Ma nel Medioevo, il territorio era comunemente visto come proprietà piena ed assoluta del suo imperatore, del Papa, dei re e dei nobili che da questi traevano il potere. Ciò che non era fisicamente occupato e sfruttato, e quindi debitamente marcato dai signori era “di nessuno“. Si noti, non “di tutti” come diremmo oggi; il primo che vi apponesse i propri simboli ne diventava il padrone assoluto.

Esaminando la questione su chi potesse arrogarsi il diritto di occupare “terre di nessuno” usciremmo dal seminato di questa piccola trattazione, ma la risposta, un po’ semplificata, è quella più scontata: ne aveva diritto chi avesse danaro a sufficienza per edificarvi sopra qualcosa d’importante e vistoso e la forza economica e militare per difenderla dagli altri.

Se volessimo proprio fare delle considerazioni a confronto coi nostri tempi, sono certo che i lettori troveranno situazioni geopolitiche attuali simili, perlomeno in termini di potenza economica e di forza militare. Ma il mondo non era perfetto, perché non era perfetto l’homo medievalis, e non lo è nemmeno l’homo technologicus della quale categoria siamo una non sempre gloriosa rappresentazione.

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