George Eastman (1854-1932), terzo figlio di una famiglia appartenente alla piccola borghesia dello Stato di New York , nacque a Waterville, una cittadina ad una ventina di miglia da Utica, il 12 luglio 1854. Suo padre, George Washington Eastman, aveva fondato una scuola privata per contabili nella vicina cittadina di Rochester, ove la famiglia si trasferì quando George Jr. aveva cinque anni. All’età di otto anni, George rimase orfano di padre e la madre, per sbarcare il lunario, aprì una pensione a Rochester, che continuò a gestire per molti anni con successo. Gli Eastman erano persone perbene, ordinate e rispettate da tutti.
Già appassionato di fotografia fin dalla più tenera età, George ben presto imparò a destreggiarsi con la pesante ed ingombrante attrezzatura dei primordi di quella nuova tecnica. In sostanza, in quell’epoca, oltre al voluminoso apparato di ripresa vera e propria, grande come una delle nostre televisioni degli anni Cinquanta, bisognava dotarsi di strumenti accessori tutt’altro che piccoli, come quello che permetteva di spalmare col pennello l’emulsione chimica fotosensibile sulle grandi lastre di vetro che costituivano la prima “pellicola” di quegli aggeggi.
Era l’epoca dei fotografi chini dietro al robusto cavalletto che sosteneva l’apparecchio a lastre, con un telo nero che ricopriva le spalle e la schiena dell’operatore, l’epoca dei fumosi lampi di luce dei primi flash, costituiti da un supporto a mano, sul quale veniva messo un mucchietto di polvere di magnesio, innescato dalla scintilla di una pesante batteria.
Ottenuto un primo lavoro come contabile, prima per una compagnia di assicurazioni e, in seguito, per una banca, il giovane George non se la passava poi così male: aveva tempo libero ed un po’ di danaro che gli permisero di scattare centinaia di fotografie su lastra a tutto ciò che attirasse la sua attenzione.
Un nuovo supporto
All’età di 24 anni, Eastman, appassionato di viaggi, intraprese con un collega di banca un viaggio a Santo Domingo e decise di realizzare uno dei primi reportage di viaggio che si conoscano. Ma il peso e la difficoltà d’utilizzo dell’armamentario necessario a scattare e sviluppare le fotografie, lo convinsero a studiare, una volta tornato a Rochester, un nuovo sistema per ottenere le immagini.
Troppo pesante ed ingombrante la stessa macchina fotografica con la necessaria praticità d’utilizzo. Fu allora che un lampo, come un flash al magnesio, attraversò la mente del giovane George: e se si fosse impiegato un supporto diverso, invece che le delicate e grandi lastre di vetro spalmate di gelatina?
Eastman si mise subito al lavoro e furono mesi di notti intere passate a disegnare a sperimentare i materiali più disparati da ricoprire di gelatina sensibile alla luce che, attraverso l’obiettivo ottico della macchina da ripresa sarebbe stata impressionata, fornendo l’immagine negativa. Grazie alle conoscenze personali che il lavoro in banca gli aveva procurato nell’ambiente industriale, allora in forte sviluppo negli Stati Uniti, trovò qualcuno che si mise a disposizione per le sue sperimentazioni ed ebbe molto materiale su cui elaborare la sua idea di un nuovo sistema di sviluppo e stampa delle fotografie.
Dopo molti esperimenti ed infinite notti in bianco, che non diedero buon esito, alla fine, sappiamo che optò per la celluloide, un materiale derivato dalla cellulosa vegetale che iniziava in quegli anni a diffondersi per uso industriale. Ma, per la verità, vi fu un passaggio tecnico indispensabile per giungere alla realizzazione della prima pellicola fotografica e fu quello di standardizzare una formula chimica per ottenere un composto fotosensibile, fino allora “a umido” e di formulazione artigianale, che ogni fotografo inventava e dosava nei componenti a proprio piacimento.
Eastman, invece, riuscì ad inventare una sostanza “a secco” che potesse reagire alla luce, e fu la prima straordinaria conquista tecnologica ascrivibile a suo nome, permettendo di realizzare un numero pressoché infinito di supporti fotografici dalle caratteristiche chimiche e fisiche identiche, aprendo la porta all’industria fotografica vera e propria.
Fatto quel passo, che, quantomeno, già gli permise di realizzare supporti negativi tutti uguali e non più basati sull’umida gelatina, difficile da mantenere al giusto grado di umidità e di spessore, lo attendeva il grande salto, quello che avrebbe rivoluzionato la tecnica fotografica fino agli anni Novanta dello scorso secolo: la pellicola fotografica.
Il genio di Eastman
Ma fermiamoci un attimo, giusto il tempo per fare una considerazione che permetta di comprendere a tutto tondo il genio di George Eastman. L’inventore, come dice il termine, inventa qualcosa che prima non esisteva. Ma, non di rado, la sua invenzione dovrà attendere che altri la sfruttino nel modo corretto e la rendano utile.
Il genio è colui che, oltre a scoprire o inventare qualcosa di promettente, riesce ad architettare (si, proprio come un bravo architetto) come creare l’ambiente tecnologico di contorno, le infrastrutture operative, l’ingegnerizzazione e la diffusione sul mercato del prodotto nato dalla sua invenzione. Eastman, una volta che poté sentirsi sicuro di avere intrapreso la strada giusta, attraverso la formula del fotosensibile a secco, dovette affrontare un enorme problema derivato.
La pellicola su rullino
Se, fino ad allora, tutto il processo di sviluppo e stampa avveniva nella camera oscura e nel laboratorio dei fotografi di tutto il mondo, bisognava adesso inventare un sistema commerciale nuovo e tutto da scoprire. In sostanza, bisognava riscrivere le regole della fotografia, perché adesso, una volta che il fotografo avesse acquistato da Eastman i supporti negativi già pronti all’uso, era necessario inventarsi qualcosa per permettere anche ai dilettanti di scattare delle fotografie ed ottenere le stampe positive delle immagini riprese senza necessariamente attrezzare un laboratorio domestico di sviluppo e stampa.
Col nuovo sistema, le lastre in vetro non potevano più essere riutilizzate, raschiando la sostanza chimica in superficie e nuovamente spalmandole di gelatina. Ogni negativo, una volta sviluppato, non si sarebbe più potuto utilizzare.
Prendeva campo, nella vivace mente dell’americano, qualcosa che potesse avere un costo accessibile, un limitato ingombro ed un facile utilizzo per chiunque volesse scattare una fotografia. Era dietro l’angolo la pellicola su rullino negativo, ma di questo parleremo meglio nelle prossime puntate, le quali non ci risparmieranno colpi di scena e fatti curiosi.