Cultura

Kodak, storia di un mito/2: “Voi premete il bottone, noi facciamo il resto”

Fine ‘800, Eastman brevetta la pellicola fotografica e la prima macchina compatta. In pochi giorni si ricevevano le foto stampate a casa

Kodak Brownie Kodak Brownie

Come abbiamo visto nella puntata precedente, George Eastman, dopo aver inventato la lastra fotografica a secco, si pose il problema di come rendere la fotografia accessibile a tutti, sottraendone il privilegio ai fotografi professionisti, con le loro pesanti ed ingombranti attrezzature di ripresa, sviluppo e stampa. Fu così che iniziò a costruire nel suo laboratorio domestico molti prototipi di un apparecchio di ripresa che potesse unire le dimensioni ridotte con la praticità dello sviluppo e stampa del suo negativo sensibile.

La prima macchina compatta

Nasce così la pellicola fotografica in celluloide, utilizzando la ormai sperimentata soluzione della tecnica a secco, ossia senza richiedere che le sostanze chimiche fotosensibili dovessero rimanere umide per catturare la luce proveniente dall’obiettivo ottico della macchina fotografica.

Fieramente convinto che la pellicola fotografica fosse il futuro, ne registrò il brevetto industriale internazionale nel mese di aprile del 1880 e, poco dopo, brevettò pure la sua prima macchina fotografica compatta, che chiamò “Kodak”, un nome del tutto inventato che non aveva un significato preciso ma che suonava bene ed era facile da ricordare. Quando all’ idea geniale si accompagna un fiuto commerciale di questa portata, succedono, seppur raramente, cose del genere: un prodotto nasce dal nulla e s’impone unicamente per la sua assoluta bontà e accessibilità.

Da (nascente) industriale dotato di una rara capacità comunicativa, applicata al marketing, sintetizzò in un efficacissimo motto l’intera filosofia dei suoi nuovi apparecchi fotografici con lo slogan “You press the button, we do the rest”. Con la frase “Voi premete il bottone e noi facciamo il resto” si condensa un programma rivoluzionario (ricordiamo che parliamo di fine Ottocento) e innovativo dal punto di vista del commercio. Liberando i fotografi, non più soltanto professionisti, del mondo intero da tutto quanto stesse a metà tra lo scatto fotografico e la foto stampata, si apriva un mondo.

In pratica, si acquistava la Kodak (primo modello) già caricata con una pellicola a rotolo che permetteva 100 scatti, per poi spedire alla ditta di Eastman (che prese, dapprima il nome di Kodak, per poi diventare Eastman Kodak pochi anni dopo) l’intero apparecchio. La Kodak sviluppava il rullino all’interno della fotocamera, stampava le foto ottenute, ricaricava l’apparato con un nuovo rullino vergine e rispediva il tutto, con un plico postale, al fotografo. Molto semplice, alla fine.

In pochissimi giorni si ottenevano a casa le fotografie scattate con la Kodak 1 , nuovamente pronta a fare il suo dovere. Se ci pensiamo bene, in pratica, è esattamente quanto si fa oggi quando chiediamo ad un servizio di stampa online di spedirci a casa le copie stampate delle foto digitali che abbiamo caricato su quel sito.

I detrattori

Ovviamente, come sempre accade quando qualcuno immette in commercio un bene che rivoluziona il suo tratto di mercato, vi furono molte critiche e non mancarono coloro i quali predissero vita breve alla Eastman Kodak. “Troppo macchinosi tutti quei passaggi”, disse qualcuno. Altri sentenziarono. “Roba da ricchi… durerà poco”.

Nel frattempo, George Eastman acquisiva i diritti di sfruttamento commerciale di un ancora più pratica e sensibile pellicola fotografica da un certo Henry Reichenbach e tali caratteristiche straordinarie suscitarono persino l’immaginazione creativa di un altro genio, nientemeno che un certo Thomas Alva Edison che, l’anno successivo inventò il cinetoscopio, l’antenato del proiettore cinematografico.

La Brownie

Ma la risposta più efficace ai detrattori delle prime Kodak venne ancora dal vulcanico George: nel 1900 lanciò una nuova macchina fotografica davvero per tutti, la “Brownie”, venduta al prezzo di un solo dollaro!

La Brownie era un pezzo di autentico talento industriale: uno scatolotto marroncino dall’aspetto amichevole ed aggraziato, da cui prendeva il nome, talmente semplice da utilizzare e così economico da diffondersi a macchia d’olio sul mercato dei giocattoli per bambini. Finalmente, anche un ragazzino poteva fare il fotografo con una semplicità d’utilizzo disarmante!

Ovviamente, con la Brownie si scese a qualche compromesso, per contenere i prezzi di produzione il più possibile. Eastman fortemente voleva che il prezzo dello scatolotto fotografico rimanesse fissato all’equivalente di un dollaro, nel mondo intero. Si adottò, di conseguenza, una lente frontale in plastica trasparente di alta qualità al posto del vetro ottico, soluzione tecnica che, inoltre, aprì la strada alla ricerca sulle materie plastiche con qualità ottiche, ancora oggi utilizzate ampiamente in svariati settori industriali.

Vi è un dato assolutamente rivelatore di quanto, tra gli altri modelli, fosse pratica e buona, la piccola Brownie. Ebbene; pochi sanno che una grande parte delle fotografie scattate al fronte durante la Prima Guerra Mondiale furono ottenute con il piccolo ed insospettabilmente robusto modello economico della Kodak.

Il successo

Nel 1900, George Eastman era ormai molto ricco, sia per l’impressionante crescita delle vendite in tutto il mondo delle sue macchine fotografiche, che per i proventi che gli rendevano le royalties sui suoi brevetti inerenti la pellicola fotografica flessibile. Chi volesse utilizzare, a qualsiasi titolo, una pellicola fotografica, doveva pagare qualcosa a Eastman.

D’indole schiva e non particolarmente propenso ai rapporti sociali, Eastman, che non si sposò mai, visse sempre nella sua splendida villa di Rochester che fece costruire proprio in quei primi anni del XX secolo ed ancora oggi sede del museo dedicato al grande inventore ed industriale. Una parte dell’imponente edificio di Rochester fu adibita a laboratorio di ricerca, ove George passava molte ore per sperimentare personalmente sempre nuove apparecchiature legate, anche in modo specialistico, come quello medicale, all’utilizzo della fotografia.

Quando non fosse rinchiuso nel suo ormai amplissimo e molto attrezzato laboratorio, egli amava dedicarsi ad ascoltare la musica classica o a curare personalmente le sue amatissime orchidee nel grande parco che circondava la sua “mansion”.

Non serve di dire che fu anche un grande filantropo, e scommetterei che i lettori se l’aspettavano. A quell’epoca, chi avesse davvero tanti soldi, ne donava volentieri. E ne donò moltissimi; ad enti ed istituzioni artistiche e sanitarie. Una delle più promettenti istituzioni di ricerca statunitensi, il Mechanics Institute di Rochester, che divenne poi il Rochester Institute of Technology fu antesignano del celeberrimo Massachussetts Institute of Technology, ossia il prestigioso MIT.

Il formato 35mm

Un altro enorme passo avanti nella pratica fotografica, anche questo marcato Kodak, fu l’invenzione della pellicola in formato 35 mm che ancora oggi è lo standard industriale di riferimento, anche in campo cinematografico. All’inizio si pensò che passare dal grande formato delle lastre grandi come un foglio A4, per approdare al ben più ridotto formato delle pellicole alla nitrocellulosa 6×6 cm (quello, per gli appassionati di fotografia, delle celeberrime Rolleiflex) fosse già un azzardo.

Ricordo, a proposito, che le prime stampe fotografiche avvenivano per contatto diretto, ossia appoggiando la lastra rigida già impressionata dalla fotocamera ad un foglio di carta fotosensibile ed esponendola alla luce di una lampada, ricavandone, per contrasto, l’immagine positiva. La fedeltà della scena ripresa perdeva relativamente poco in termini di risoluzione della stampa finale, perché non v’erano “passaggi ottici” intermedi: la lastra in vetro fungeva da maschera e così per ogni zona chiara del negativo passava molta luce in stampa, creando una zona scura sulla carta, mentre per ogni zona più scura della lastra negativa, la lampada che si usava per impressionare la carta fotografica ne lasciava passare meno, risultando più chiara, proprio in quel punto, la stampa finale.

Per stampare una fotografia, partendo da una pellicola flessibile in bobina di soli 35 mm (per la precisione sono 24 x 36 mm) la semplice ma efficace fotografia a contatto restituiva fotografie troppo piccole per apprezzarne i contenuti. Si iniziò, dunque, ad utilizzare un apparecchio ingranditore, dotato di speciali gruppi ottici di precisione, che permise, da lì in poi, di ingrandire a piacimento la dimensione dell’immagine proiettata attraverso la pellicola negativa sulla carta fotosensibile, supporto della fotografia finale. Problema risolto, anche in questo caso, col determinante contributo di casa Kodak.

Un altro particolare interessante del genio di Eastman è la perforazione, in alto e in basso, della pellicola in rullino. Accadeva infatti, con le prime pellicole in formato 6×6 cm, che chi scattava la foto non facesse avanzare a sufficienza il rullino all’interno della macchina fotografica, agendo su un pomello di avvolgimento della pellicola. Ne risultava che la stessa zona della pellicola, già esposta alla luce durante lo scatto precedente, non essendo avanzato abbastanza per esporre al nuovo scatto una zona ancora vergine del rullino, venisse nuovamente, magari solo in parte, impressionato dalla luce del nuovo scatto, producendo immagini sovrapposte.

Occorreva un sistema più pratico, ed esattamente a questo servono le perforazioni nella parte alta e bassa del moderno rullino fotografico a 35 mm. Un meccanismo a leva, collegato ad una ruota dentata avvolgitrice, ad ogni azionamento dello stesso sulla fotocamera, porta avanti il rullino di quel tanto che basta per non avere immagini sovrapposte in fase di sviluppo e stampa. Pare che il meccanismo di avanzamento su suggerito a Eastman osservando attentamente il meccanismo di un mulinello da pesca. Fu, comunque, ancora un sistema nuovo della Eastman Kodak.

L’ultimo passo…

Rimaneva un grande problema da risolvere che attanagliava la mente dell’inventore di Rochester:  qualcosa che, magari, permettesse di inviare alla Kodak il solo rullino esposto, senza mandare l’intero apparecchio fotografico. Bisognava escogitare un sistema che consentisse di maneggiare il rullino già utilizzato, anche trovandosi in piena luce alla luce, altrimenti, come tutti sappiamo, si sarebbe cancellato per sovra-esposizione. Ma ne parleremo la prossima volta, se v’interessa…

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