Cultura

Kołakowski, il potere della ragione in tempi di massima irrazionalità

Il filosofo polacco Leszek Kołakowski: guidò il risveglio dal “sonno dogmatico” marxista-leninista, ci insegna a diffidare dei messianismi secolari travestiti da “scienza sociale”

Leszek Kołakowski (Dutch National Archives, CC0 1.0 Universal Public Domain Dedication) Leszek Kołakowski (Dutch National Archives, CC0 1.0 Universal Public Domain Dedication)

Il filosofo polacco Leszek Kołakowski incarnò il potere della ragione in tempi di massima irrazionalità. Iniziò il suo itinerario intellettuale come giovane ed entusiasta pensatore stalinista nella devastata Polonia del secondo Dopoguerra. Scrisse la sua tesi di laurea sul pensatore ebreo Spinoza e, ben presto, si convinse che vi fosse qualcosa di profondamente corrotto al cuore del sistema comunista.

La ribellione revisionista

Kołakowski, in seguito alla morte di Stalin, guidò il risveglio critico della filosofia polacca da quello che poteva essere definito, con una frase kantiana, il “sonno dogmatico” marxista-leninista. E articolò, in modo altamente persuasivo, la ribellione revisionista, ovvero la ricerca di un marxismo alternativo, radicato nello slancio emancipatorio dei “Manoscritti economico-filosofici del 1844”.

I revisionisti opposero il “giovane” Marx, libertario e prometeico, al “vecchio” Marx autoritario e scientista. Altresì, con ancora maggiore enfasi, rifiutarono l’interpretazione leninista del filosofo di Treviri ed esposero le atrocità dello stalinismo, denunciando l’ascesa di un Leviatano burocratico che, ammantato di propaganda e retorica, pretendeva di rappresentare il “progresso” di una classe operaia sempre più intensamente sfruttata.

Molti sposarono idee esistenzialiste e cercarono di conciliare l’eredità marxiana con l’individualismo umanista. Intensamente morale, impegnato nella difesa dell’onore e della dignità, Kołakowski si distinse come uno degli apostati più nobili della storia delle idee. Scrisse pagine immortali sulle eresie medioevali e identificò la propria ricerca della verità con le scelte pericolose di chi aveva rifiutato l’assolutismo teologico. Il filosofo polacco merita la definizione di “erasmiano” che Ralf Dahrendorf elaborò per qualificare quegli intellettuali capaci di resistere al canto delle sirene totalitarie.

Il grande romanziere Ignazio Silone, comunista pentito che ruppe con il partito di Gramsci e Togliatti, venne considerato un “cristiano senza Chiesa e un socialista senza Partito”. In un certo senso, questa definizione si attaglia perfettamente anche a Kołakowski. Nel 1956 sostenne una visione del socialismo radicalmente contraria agli ottusi principi leninisti, rivendicando l’onore dei valori socialisti contro le mascherate ideologiche e il terrore poliziesco. Difese l’individuo, l’autentico essere umano, contro le forme della schiavitù sovietica. Il partito comunista, guidato da Wladyslaw Gomulka, non riuscì mai a metterlo a tacere.

Conservatore, liberale, socialista

In un celebre saggio colse la tensione inconciliabile tra gli scribacchini di regime, che chiamò “preti”, e i narratori di verità, che indicò come “giullari”. Accusò il partito di aver tradito le promesse liberatrici del 1956; espulsovi definitivamente l’anno successivo, Kolakowski perse anche il posto d’insegnante all’Università di Varsavia nel marzo 1968, quando si schierò dalla parte degli studenti in rivolta contro l’apparato comunista rabbiosamente antisemita.

Da allora fu costretto all’esilio. Insegnò in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove scrisse libri illuminanti sulle tradizioni di sinistra, la libertà umana, il mito e la religione. Fu una vera “volpe” (volendo impiegare una categoria di Isaiah Berlin), un intellettuale impossibile da incasellare in uno schema ideologico, il cui eclettismo si espresse al meglio in un saggio di grande originalità intitolato: How To Be a Conservative-Liberal-Socialist.

Kołakowski si reputava “conservatore” perché riteneva pericolosi tutti i tentativi di ingegneria sociale concepiti dai profeti dell’egualitarismo e perché sospettoso dei messianismi secolari travestiti da “scienza sociale”; liberale perché credeva nella libertà e nella responsabilità della persona morale; socialista perché attento alla giustizia sociale senza la quale nessuna libertà può essere esercitata in modo concreto.

Alla sua scomparsa, avvenuta nel 2009, fu universalmente acclamato come il filosofo di “Solidarność”, il pensatore che, insieme a Giovanni Paolo II, ai dissidenti polacchi e all’italiano Nicola Chiaromonte, ispirò le idee del celebre sindacato antisovietico.

Prospettiva morale

Il primo libro della sua insuperabile trilogia sulle principali correnti del marxismo, “Nascita, sviluppo, dissoluzione del marxismo”, recita in modo memorabile: “Karl Marx era un filosofo tedesco”. Allo stesso modo, si potrebbe far precedere qualsiasi discussione sulle idee di Kołakowski con le parole: “Leszek Kołakowski era un filosofo polacco”.

Scrittore magistrale e pensatore coinvolgente, incarnò ciò che Thomas Mann, in un celebre scritto, definì “nobiltà dello spirito”. Lo storico Tony Judt ebbe ragione a vedere in lui “l’ultimo illustre cittadino della Repubblica delle lettere del ventesimo secolo”. Ciò che rende il pensiero di Kolakowski così attraente è la sua vibrante vita interiore, il suo modo unico e originale di stabilire associazioni tra idee oltreché la permanente presenza di una prospettiva morale.

Rifiutò qualsiasi interpretazione monistica della storia, ma rimase fermamente attaccato all’idea che la verità esiste e non può essere divisa in frammenti concorrenti. In un momento in cui il radicalismo sembra rialzare la testa, in cui i valori del liberalismo vengono attaccati dai fautori di ipotesi comuniste o nazionaliste, gli scritti di Kołakowski ricordano che l’irresponsabilità intellettuale produce effetti cataclismici.

Anti-utopista

Disinibite e spudoratamente antitotalitarie, le idee di Kołakowski catturano e rafforzano lo spirito democratico dei Paesi dell’Europa centro-orientale. La sua critica alla sinistra non implica un rifiuto dell’ideale della giustizia sociale. La sua principale obiezione a qualsiasi utopia socialista si fonda su un forte sospetto nei confronti di qualsiasi tentativo di utilizzare istituzioni e poteri governativi per creare unità e armonia sociale.

Per lui, le utopie, sono intrinsecamente generatrici di svilimento umano. Il marxismo, in quanto fantasia redentrice, non poteva non realizzare l’opposto della libertà. Come scrisse nell’ultimo libro del sua trittico:

L’auto-deificazione dell’umanità, alla quale il marxismo ha dato espressione filosofica, è finita allo stesso modo di tutti i tentativi di questo genere, sia individuali che collettivi: si è rivelata come l’aspetto farsesco della schiavitù umana.

Tutta la sua opera testimonia l’infinita ricerca della dignità in un secolo in cui la barbarie è risorta e i regimi totalitari hanno sacrificato milioni di persone sugli altari di menzogne ​​ideologiche. Leszek Kołakowski ha difeso, eroicamente, i valori non negoziabili della libertà, della civiltà, della responsabilità e dell’autonomia individuale.