La lezione di Popper che ci mette in guardia dalle pseudo-scienze

Quelle teorie storiciste, come il marxismo, che avanzano una pretesa di scientificità ma sono esenti dal rischio della falsificazione, esulano dall’ambito scientifico

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Gli storicisti avevano ipotizzato una netta separazione fra scienze della natura e scienze dello spirito. L’opera di Karl R. Popper è il primo tentativo, compiuto da un pensatore che si muove nello stesso orizzonte problematico dei neopositivisti, di prendere posizione di fronte allo storicismo e di avviare una discussione approfondita delle sue problematiche.

Le chiusure dei neopositivisti

L’atteggiamento di Popper è stato reso possibile dall’abbandono di alcune “chiusure” caratteristiche dell’impostazione del Circolo di Vienna il quale, sorto con un programma di filosofia scientifica cui faceva da contropartita negativa la polemica contro la presunta mancanza di senso della metafisica, risultava da un lato condizionato dal rapporto con la logica matematica di Russell e Whitehead, e dall’altro orientato verso la fondazione di un empirismo che nella scienza fisica trovava il modello della conoscenza scientifica in quanto tale.

Dal criterio neopositivistico della significanza, collocato sulla linea del “Tractatus logico-philosophicus” di Wittgenstein, nella possibilità di verificazione empirica delle proposizioni, derivavano infatti due implicazioni fondamentali: (1) La negazione della significanza degli enunciati non riconducibili a un fondamento empirico, con il conseguente rifiuto di una teorizzazione filosofica che non fosse analisi logico-linguistica delle strutture della conoscenza empirica, esprimeva una dichiarazione di non-senso nei confronti di una serie di problemi che il neopositivismo logico respingeva a priori; (2) D’altra parte, il modo in cui il criterio di significanza veniva enunciato restringeva l’ambito delle proposizioni dotate di senso, e quindi l’ambito di impiego dell’analisi logico-linguistica, alle discipline fisico-matematiche. Le scienze storico-sociali restavano estranee all’orizzonte d’interessi del neopositivismo, salvo comparirvi occasionalmente sotto la spinta di pretese riduzionistiche.

Rifiuto del criterio di “significanza”

Entrambe le implicazioni su accennate vengono respinte da Popper. Fin dalla sua “Logica della scoperta scientifica”, pubblicata per la prima volta in lingua tedesca nel 1934, Popper sottopone a esame critico il criterio neopositivistico di significanza; allo stesso tempo, egli respinge come sterile la dichiarazione di non-senso con cui il Circolo di Vienna si era sottratto alla discussione dei tradizionali problemi metafisici.

Popper rifiuta nettamente la tesi dell’origine empirica come fondamento della significanza delle proposizioni: la ricerca scientifica si configura così come costruzione ipotetico-deduttiva, per cui non è mai possibile pervenire ad una verificazione definitiva.

Il rifiuto del criterio neopositivista di significanza consente a Popper di eliminare la distinzione tra problemi “dotati di senso” e no. La questione fondamentale non è più quella di trovare un criterio di significanza universalmente valido, bensì quella di definire l’ambito della scienza empirica in base alle sue regole metodologiche; ma, al di fuori di tale ambito, restano altri problemi, essi pure forniti di senso, per quanto si tratti di un senso concepito in termini diversi.

In tale maniera entrava però in crisi anche l’altra limitazione che pesava sull’impostazione neopositivista. Infatti, la struttura della ricerca scientifica sulla quale verte il discorso popperiano è pur sempre la struttura della ricerca fisico-matematica; tuttavia, una volta respinta la tesi della esclusiva derivazione empirica degli asserti scientifici, è aperta la strada alla considerazione anche di altre discipline e dei loro procedimenti di indagine.

Metodologia delle scienze sociali

Quando la dispersione dei filosofi di tendenza scientifica austriaci e tedeschi lo condusse a Londra dopo l’annessione nazista dell’Austria, Popper si occupò sempre più intensamente della metodologia delle scienze storico-sociali e della storiografia, entrando così in contatto con lo storicismo. Al 1944 risale “Miseria dello storicismo”, e al 1945 la sua opera più celebre: “La società aperta e i suoi nemici”.

Popper si svincola dalle posizioni del neopositivismo logico e recupera questioni che esso aveva escluso dal proprio orizzonte speculativo: in tal senso, il pensiero popperiano è parte integrante del processo di “liberalizzazione” del positivismo logico. “La società aperta”, in particolare, costituisce lo sforzo più rilevante, da parte della filosofia di impronta scientifica, di estendere la propria analisi alle scienze storico-sociali e alle loro implicazioni metodologiche.

Da un lato, quest’opera si propone di mostrare l’erroneità dell’impostazione storicista e il carattere fittizio di molti dei suoi problemi; dall’altro, si traduce nello sforzo costruttivo di un’analisi metodologica delle ”scienze umane”.

Richiamandosi sempre al “Tractatus” di Wittgenstein, i membri del Circolo di Vienna distinguevano i problemi scientifici (dotati di senso) da quelli metafisici (che di senso sarebbero privi). I problemi dotati di senso sono di esclusiva competenza della sfera scientifica, in quanto sottoponibile al controllo empirico. Dove non sussiste la possibilità di riportare gli enunciati a una base di esperienza, ha termine il dominio della significanza (del senso).

Popper contesta alle radici una simile distinzione; egli si propone certamente di delimitare precisamente l’ambito della ricerca scientifica, ma non intende affatto questa delimitazione come un’attribuzione esclusiva di significanza a tale dominio. Ciò è senz’altro dovuto alla maggiore ampiezza di interessi che troviamo in Popper rispetto ai neopositivisti.

La sua attenzione si rivolge tanto alle discipline naturali quanto a quelle sociali: accanto alla teoria della relatività di Einstein stanno, quali riferimenti essenziali del suo orizzonte di interessi, la concezione storica di Marx e le teorie psicoanalitiche di Freud e Adler. Tanto la prima che le seconde si presentano, a suo avviso, come teorie scientifiche fornite di senso esplicativo; si presentano, cioè, come teorie verificabili empiricamente sulla base di un determinato materiale di osservazione: esperimenti fisici in un caso (Einstein), avvenimenti storici e casi clinici nell’altro.

Teorie non falsificabili

Il fondamento empirico sembra valere in entrambi i casi. Tuttavia, lo stesso criterio di delimitazione della ricerca scientifica non vale affatto in entrambe le situazioni. Confrontate con la teoria della relatività di Einstein, la concezione storica di Marx e le teorie psicoanalitiche freudiane e adleriane avanzano una identica pretesa di scientificità, ma il loro potere esplicativo è in realtà fittizio, poiché risulta privo di limiti.

La possibilità di interpretare un “caso” singolo alla luce della teoria, e cioè l’opportunità di confermare la teoria stessa, non incontra ostacoli; in entrambi i casi, è sempre possibile ricorrere a ipotesi supplementari, oppure a una ri-elaborazione dottrinale, per riportare qualsiasi fenomeno nell’ambito dei princìpi assunti. La predizione diventa, quindi, una predizione “senza rischio”, che non può essere smentita da risultati difformi attinenti alla osservazione futura.

La differenza principale tra i due tipi di spiegazione consiste in questo: il potere esplicativo di una teoria come quella di Einstein è un potere limitato, e sottoposto sempre alla possibilità di smentita sulla base dei dati osservativi. Il potere esplicativo della teoria marxista e di quelle psicoanalitiche, d’altro canto, vuole essere un potere illimitato, esente dal rischio della falsificazione.

Ciò significa che si può riconoscere alla prima uno statuto di scientificità, mentre alle seconde si deve secondo Popper attribuire un carattere di pseudo-scientificità. Il materialismo storico e la psicoanalisi, nella misura in cui si presentano come un sistema di principi onni-esplicativi, esulano dall’ambito della scienza.

Ma è proprio questo riconoscimento a porre in crisi, agli occhi di Popper, la validità del principio neopositivista di verificazione come discriminante degli enunciati della ricerca scientifica. Poiché la verifica è possibile anche nel caso del marxismo e della psicoanalisi, essa non può più venir ritenuta esclusiva dell’edificio scientifico; occorre pertanto cercare un diverso criterio di demarcazione tra scienza e non-scienza.

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