“L’influenza delle ferrovie si estenderà su tutto l’universo. Nei Paesi che hanno raggiunto un alto grado di civilizzazione esse imprimeranno all’industria un enorme impulso; avranno sin dall’inizio un’ottima resa economica, accelereranno la marcia in avanti della società“.
Queste le parole di Camillo Benso, Conte di Cavour, nel 1853, esprimendo al Parlamento Subalpino la sua idea di ferrovia, inserita in un ampio piano di sviluppo nazionale che vide le comunicazioni su strada ferrata come infrastruttura irrinunciabile per quella che sarebbe diventata, nel 1861, l’Italia unita.
Pensatore e realizzatore
Cavour aveva 43 anni quando pronunciò quel discorso e già poteva contare su una solida formazione tecnica e, come diremmo oggi, logistica, derivata dall’avere frequentato, tra il 1825 ed il 1827 il 5º corso della Regia Accademia Militare di Torino, nonché la Scuola di Applicazione del Corpo Reale del Genio, del quale fu ufficiale.
Politico dalla capacità imprenditoriale di molto superiore alla media, il Cavour vide nello sviluppo della rete ferroviaria italiana il presupposto per l’espansione del commercio interno ed internazionale a cui diede personalmente impulso, da primo ministro, con la realizzazione e la messa in funzione di importanti tratte, come, nel 1855, la ferrovia che da Cuneo raggiungeva Nizza Marittima, tuttora in uso.
Di politica, il conte torinese aveva iniziato ad occuparsi molto presto, a partire dalla carica di sindaco di Grinzane (che oggi porta il suo nome) all’età di soli 22 anni e da subito ebbe il merito di saper coniugare le idee astratte con la pratica. Non solo un illustre pensatore, ma un realizzatore.
Oggi tutti pensatori
Anche oggi, di pensatori ne abbiamo tanti, forse troppi, ma non altrettanto di realizzatori, essendo ormai consolidata l’abitudine di lanciare il sasso e di nascondere la mano poco dopo. Si progetta, si pianifica, si conferiscono incarichi con remunerazioni da capogiro ad esperti e consulenti vari e, quando si tratta di realizzare i progetti, guarda caso, succede sempre qualcosa che imporrebbe di procrastinare, rimandare, affinare, razionalizzare.
Insomma, con l’utilizzo di tutti quei verbi che permetterebbero di lasciare ad altri, senza pubblica ignominia, la messa in pratica di certe opere, talvolta faraoniche, che rimangono incompiute per decenni.
Tornando all’epoca felice in cui i politici, nel bene e nel male, realizzavano le loro idee di pubblico interesse, la figura di Cavour assume un ruolo importantissimo e, anche non fosse stato uno dei principali fautori dell’unione nazionale, sarebbe comunque passato alla storia per la sua chiarissima visione su come proiettare la nostra nascente civiltà industriale nel mondo.
Non per nulla, egli viaggiò molto in Francia e Gran Bretagna, studiandone accuratamente i modelli di sviluppo economico, ancor prima di formare il suo e di propugnarlo quando ebbe l’occasione e l’autorità per farlo.
Ferrovie italiane
Restando alle ferrovie, certamente fu enormemente impressionato dalla rete ferroviaria britannica, che già all’epoca costituiva la vera struttura portante del commercio e dell’industria.
In Inghilterra ebbe modo di analizzare le particolarità tecniche ed organizzative della prima ferrovia passeggeri al mondo, la Stockton & Darlington Railway, in funzione già dal 1825 e, parimenti, ebbe l’occasione di verificare la convenienza del traffico merci su rotaia, che, all’epoca, copriva oltre il 70 per cento del totale.
Affascinato dalla tecnologia in generale, Cavour scrisse ancora:
”Sono iniziati i lavori su diverse linee d’importanza notevole, e un numero ancor maggiore di progetti si trovano in fase assai avanzata così che non c’è da dubitare che ne vedremo cominciare l’esecuzione senza indugio. Al punto in cui sono arrivate le cose, è possibile determinare, se non con precisa esattezza per lo meno approssimativamente, quale sarà il tracciato della grande rete ferroviaria destinata, tra alcuni anni, a collegare tutte le località d’Italia, dai piedi delle Alpi sino al golfo di Taranto”.
L’idea c’era e la determinazione pure, e i risultati non tardarono ad arrivare. Proprio in quegli anni, come evoluzione della prima, breve, linea ferroviaria italiana, la celeberrima Napoli-Portici del 1842, Re Carlo Alberto inaugurò la prima tratta ferroviaria d’importanza cruciale, la Torino-Genova via Alessandria, che, attraverso la galleria del Passo dei Giovi, lunga oltre tre chilometri e scavata interamente a mano, ancora oggi resiste.
Locomotive italiane
Ma Cavour non si limitò a realizzare importanti tratte ferroviarie. Egli fortemente volle la nascita dell’industria ferroviaria italiana, per contrastare lo strapotere di quella inglese, che, principalmente con le locomotive Bayard, forniva il materiale rotabile delle prime linee ferroviarie europee.
Fu così che, nello stesso anno 1853, quello dello storico discorso al Parlamento Subalpino, nacque l’Ansaldo Industria Meccanica di Sampierdarena (Genova), la quale iniziò a produrre, soltanto un anno dopo, validissime locomotive italiane ed altrettanto efficienti vagoni, che rimasero in utilizzo quotidiano per molti decenni.
Molto altro si potrebbe dire ancora sulla straordinaria era delle prime ferrovie, cosa, peraltro, meglio raccontata in moltissimi volumi di settore, ma vorrei fermarmi qui, all’aspetto generale della materia del trasporto ferroviario.
Le vuote promesse dei governi
Per troppi anni, diversi governi ci hanno raccontato che le ferrovie sarebbero state svecchiate, espanse, modernizzate e rese più convenienti e persino più corrispondenti ai principi della tanto sbandierata green economy.
Cosa abbiamo visto, invece? Degrado, inadeguatezza, carente manutenzione ed abbandono ingiustificato di tratte che erano ancora utilizzabilissime, almeno per sottrarre traffico alla rete stradale che non ne può più.
Per quanto non esistano soluzioni semplici, a buon mercato, e di tempo, dall’epoca di Cavour, ne sia passato tanto, una cosa è certa: avere convogliato la quasi totalità del traffico merci e buona parte di quello passeggeri su gomma a qualcuno sarà pure convenuto.
Sbaglierò, ma sono convinto che il governo che riuscisse a riportare le ferrovie in auge, coi fatti e con la volontà politica di non essere ultimi al mondo anche in questo settore, nel quale abbiamo primeggiato, durerebbe in carica almeno vent’anni.