Nell’anno 67 d.C. si svolse in Grecia la 211ma edizione dei giochi olimpici dell’antichità, che ormai da tempo non rappresentavo più il simbolo dell’unità culturale e dell’indipendenza dei popoli ellenici, ora suddivisi nelle due province romane di Macedonia e di Acaia, ma mantenevano pur sempre un grande prestigio sociale sia in oriente che in occidente, dove per le élites colte latine era quasi d’obbligo conoscere il greco e avere fatto qualche soggiorno di studio ad Atene o nelle sue prossimità.
Le “medaglie” di Nerone
Quei giochi sono ricordati per due particolarità, entrambe legate alla figura dell’imperatore (il “principe”) allora in carica, il celeberrimo e famigerato (forse oltre il suoi effettivi demeriti) Nerone (37 – 68 d.C.), come si ricorderà magistralmente interpretato da Peter Ustinov nel film Quo Vadis del 1951, quando il cinema hollywoodiano non era ancora dominato dalla cultura politicamente corretta.
Il “principe” prima fece rimandare i giochi, che avrebbero dovuto celebrarsi nel 65 (e pare che sia stato l’unico caso in cui gli stessi sono stati posticipati prima di quelli di Tokyo del 2020 a causa del Covid), e questo probabilmente in seguito alle difficoltà politiche legate all’involuzione autoritaria della sua gestione del potere, segnata ad esempio dal suicidio del suo ex tutore e consigliere Seneca il Giovane (4 a.C – 65 d.C.); quindi due anni dopo si recò personalmente ad Olimpia non solo per assistere, ma anche (cosa mai accaduta prima) per partecipare in prima persona alle gare.
Ovviamente l’imperatore fu accolto con tutti gli onori: furono demolite le tradizionali tribune e fu realizzata una apposita costruzione destinata ad ospitare il Cesare in carica, il quale essendo un amante (com’è noto) dei poemi omerici e più in generale della cultura greca, si gettò anima e corpo (in senso letterale) nelle gare. Nerone vinse sei corone di ulivo (equivalenti alle nostre medaglie d’oro), alcune in discipline artistiche (inserite in quell’occasione nel programma dei giochi) come la recita di versi poetici, altre in gare decisamente sportive come la corsa dei carri, durante la quale pare che cadde, ma gli avversari, sportivamente (e saggiamente) lo aspettarono. Anche se siamo posteri, non è necessario chiederci se fu vera gloria perché a quasi 2000 anni di distanza la vicenda in sé ci può al più strappare qualche sorriso.
L’obiettivo culturale e di potere
Però, riflettendo a mente fredda sulle molte cose che sono avvenute durante le recenti Olimpiadi di Parigi, non si può fare a meno di cogliere alcune analogie con quell’antico precedente. Analogie che riguardano il rapporto tra le gare sportive e una visione delle cose che tende ad essere imposta dall’alto ai cittadini, anche quando essa sembra cozzare in maniera evidente con la realtà.
Pazzo o no che fosse, Nerone perseguiva un obiettivo culturale ben preciso, che sfociava in una altrettanto ben determinata concezione del potere. L’esaltazione della cultura ellenica, che portò il principe, durante il suo soggiorno olimpico, a proclamare ufficialmente, con grande consenso di pubblico, la “libertà” delle città greche. Libertà che rimase sulla carta e non fu di fatto mai realizzata in concreto, veniva infatti fatta valere contro i poteri ancora spettanti ai magistrati repubblicani, al fine di rompere quell’equilibrio tra potere imperiale e competenze senatorie creato qualche decennio prima da Augusto (63 a.C. – 14 d.C.).
Tutto ciò al fine di dar vita ad una società a guida sostanzialmente militare, dove il comandante (l’imperator) dell’esercito e i suoi sottoposti avrebbero avuto un potere molto esteso e molto incisivo sulle vite dei cittadini e sulle decisioni delle autorità diremmo oggi “civili”, secondo il modello dei sovrani ellenistici, che a partire da Alessandro Magno (356 – 323 a.C.) avevano soppresso le antiche democrazie delle città greche instaurando delle monarchie di tipo quasi sacrale.
Contrariamente quindi ad Augusto, che aveva provveduto a romanizzare la cultura greca, grazie all’opera dei grandi poeti come Virgilio, Orazio e Ovidio, Nerone voleva grecizzare la cultura romana, e le olimpiadi, e più in generale il suo lungo soggiorno in Grecia, gli servivano al fine di realizzare una società diretta da gruppi gerarchicamente ordinati e legati ad un pensiero imposto dall’alto, che univa la facciata armoniosa della cultura greca (spesso però stravolta nei suoi significati) e il contenuto dell’obbedienza assoluta all’autorità.
L’operazione culturale di Parigi 2024
Spesso anche le olimpiadi moderne, violando lo spirito idealista del loro promotore, Pierre de Coubertin (1863 – 1937), che le vedeva come gare disinteressate volte ad unire i diversi popoli, sono state strumentalizzate da visioni ideologiche, particolarmente quando furono organizzate da stati dittatoriali, con lo scopo di magnificare i poco democratici regimi ospitanti.
Nel caso delle Olimpiadi parigine, invece gran parte degli organizzatori e degli sponsor hanno provato, in maniera certo benevola e gentile ma capillare e quasi “ossessiva”, a delineare un nuovo modo di vivere che coinvolgesse tutti quanti (gli atleti, i collaboratori sportivi, i giornalisti e, mediatamente il pubblico televisivo e non) in una visione di un futuro mondo ideale ispirato ai principi dogmatici della cultura woke e destinato a sostituire quello attuale.
L’operazione culturale tesa alla trasformazione del modo di intendere la società, i rapporti umani e persino la realtà fisica, si è rivelata da subito in tutta la sua forza. Molto si è già detto, anche su Atlantico Quotidiano, sul rozzo attacco alla religione cristiana e all’arte di Leonardo da Vinci compiuto nella cerimonia di apertura, sulla pretesa di stabilire il modo di mangiare e di dormire degli atleti in base alle ideologie ambientaliste estreme, sulla negazione, nel nome dell’inclusione a tutti i costi, delle differenze fisiche che hanno portato nel pugilato a penalizzare ingiustamente le donne a fronte di avversarie dotate di muscolatura di tipo maschile, sulla decisione di fare svolgere le gare di nuoto nella Senna, un fiume evidentemente inquinato (come tutti i fiumi delle grandi città) ma “benedetto” dalle infallibili scelte ambientaliste.
Distacco dal mondo reale
Ugualmente è stato messo in evidenza il crescente distacco di queste concezioni, portate avanti dalla gran parte degli organizzatori e amplificate come con un megafono dalla gran parte dei commentatori, dalla realtà e dalle concezioni del sentire comune, un distacco che è specchio della sempre maggiore distanza che separa le élites culturali e politiche dalla popolazione in molti stati occidentali, in particolare in quelli europei.
Questo crescente distacco dal mondo reale potrebbe anche essere visto come un bene. Tutto sommato si potrebbe infatti concludere che le evidenti esagerazioni che si sono descritte poco sopra sono la più chiara dimostrazione che queste idee sono destinare a spegnersi e a perdere la loro presa sulla società e che, messe a paragone con la realtà concreta sociale e umana, e confrontate con il principale strumento che gli uomini hanno per cercare di vivere in una società libera e ragionevole, cioè il buon senso, tanto esaltato dal pensiero liberale classico a partire da Adam Smith, finiranno per perdere la loro capacità di convincere la maggior parte della popolazione, e un domani come le medaglie di Nerone potranno solo strappare qualche sorriso.
Si potrebbe quindi concludere che questa degenerazione “spettacolare” della cultura woke avvenuta in occasione delle olimpiadi è stata un fatto positivo, perché ha rivelato tutta la inconsistenza delle idee e della visione del mondo su cui essa si basa, ma purtroppo le prospettive in questo senso non sono così definite e le possibilità che il mondo idealizzato da tale cultura possa un domani in tutto o in parte realizzarsi non sono certo venute meno.
La forza non infinita dei mass media
La forza di persuasione dei mass media, dove molti commentatori (compresi molti commentatori sportivi) ripetono quasi con compiacimento i dogmi del verbo politicamente corretto ed inclusivo, e naturalmente non tralasciano di “bacchettare” chi la pensa diversamente e di esaltare chi invece a tali dogmi si adegua, è per certi aspetti formidabile (non è chi scrive a doverlo dimostrare), e ciò è vero soprattutto in un’epoca di conoscenze superficiali, conoscenze che a molti sembra troppo faticoso approfondire, andando oltre le poche righe di un post sui social networks o esaminando in maniera critica le battute e affermazioni, spesso fuori luogo, di qualche personaggio famoso. D’altro canto è vero che questa forza di persuasione non è infinita e ci sono segnali che invitano a credere che la realtà “reale” potrà mantenere il suo primato sulla realtà “narrata”.
Un equilibrio culturale
Com’è noto, il disegno politico-culturale di Nerone fallì: appena tornato dalla trionfale tournée olimpica, il principe dovette affrontare una rivolta militare che lo costrinse al suicidio, e dopo alcuni mesi di conflitti armati la situazione politica si stabilizzò nel 69 d.C. con l’elezione ad imperatore di Vespasiano (9 – 79 d.C.), il cui governo rappresentò un nuovo punto di equilibrio tra il potere dei militari, quello dei funzionari civili, molti dei quali italiani oppure originari delle province, e quello tradizionale dei senatori romani eredi delle magistrature repubblicane. Un equilibrio che, in maniera mutevole, con momenti di splendore e nonostante periodi di decadenza e di violenza, assicurò ancora per secoli la permanenza dell’impero fondato da Augusto.
Di un equilibrio culturale, prima ancora che politico c’è tanto bisogno anche oggi e come sempre solo il dialogo, e a monte il ragionamento possono essere l’unica difesa contro i dogmi della ideologia woke e contro i suoi anatemi, che ormai sembrano essere diventati prevedibili e quasi scontati (si pensi agli epiteti di “negazionista”, “maschilista”, “fascista” ecc.), come lo erano un tempo quelli sovietici (“nemico del popolo”, “servo del capitale” ecc.).
In ogni caso, sarà decisivo il rapporto tra le élites culturali e politico-economiche da un lato e la popolazione dall’altro: in fin dei conti la rivoluzione telematica, unitamente a tanti difetti, ha avuto anche il pregio di mettere in contatto tra loro le opinioni di molte persone, e di consentire il formarsi in tempo reale in ampi settori della popolazione, di idee anche molto critiche verso le decisioni di coloro che in un modo o nell’altro cercano di convertire mediaticamente le persone alla propria visione del mondo e della società.
Tenere aperto il dialogo basato sul pensiero critico è però compito anche delle élites culturali, oggi troppo appiattite sulla visione del mondo politicamente corretta e che rischiano di vedere soffocata la loro stessa vitalità e di essere ridotte a pure esecutrici e a “corifee” del pensiero unico.
Il rischio che la crisi della ideologia woke possa determinare, magari non una serie di rivolte come accadde alla caduta di Nerone, ma una ondata di repressione avente ad oggetto la libertà di espressione è purtroppo una possibilità reale: si pensi alle crescenti richieste di cancellazione degli interventi sgraditi sui social networks o addirittura a quelle di “oscurare” alcuni di questi ultimi, o si pensi alle crescenti richieste di sanzioni civili e penali per chi “lede i diritti” di questo o di quel soggetto, diritti ovviamente definiti come tali dalla cultura inclusiva o ambientalista estrema.
Ragione in più per opporre la pacatezza determinata di chi non ha dogmi e non crede al mondo perfetto ma confida nel confronto ragionato delle idee, agli slogan tanto altisonanti e belli da ascoltare quanto portatori, se calati nella realtà, di piccoli e grandi disastri, di piccole e grandi ingiustizie, come anche un evento limitato allo sport quale la 33ma edizione delle olimpiadi moderne, ha ampiamente dimostrato.