Cultura

Meraviglie italiane da non dimenticare: l’epopea del transatlantico Michelangelo

La breve ma intensa epopea di una delle più belle, grandi e veloci navi italiane che solcarono la rotta atlantica. La consapevolezza della fine di un’epoca

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Questa volta, vi parlerò di grandi navi da crociera. In particolare, vorrei ricordare l’epopea di una delle più belle, grandi e veloci navi italiane che solcarono la rotta atlantica, ossia della t/n Michelangelo, che con la (quasi) gemella Raffaello, fu l’ammiraglia, nonché ultima grande nave della Italia Società di Navigazione.

Ammirata il tutto il mondo per la sua linea slanciata, i suoi requisiti di sicurezza, la sua performante velocità di crociera – circa 30 nodi – oltre che per il gusto e la raffinatezza del suo allestimento interno, il transatlantico Michelangelo fu varato dai cantieri Ansaldo di Genova Sestri Ponente il 19 Settembre 1962, con madrina la consorte dell’allora presidente della Repubblica Segni.

Fine di un’epoca, ma con bellezza

In quegli anni, la grandi navi passeggeri sulle tratte da Genova e Napoli verso New York erano diventate sempre più costose da mantenere a causa del diminuito numero di passeggeri che sceglievano di stare in mare circa cinque giorni per raggiungere l’America, mentre moltissimi preferivano prendere l’aereo.

Già è interessante accostare quel contesto di consapevolezza della fine di un’epoca, celato a stento dal gioioso sfarzo della crema della società di sessant’anni fa, con quel senso di smarrimento che ci coglie oggi, quando riscontriamo che tutto sta cambiando troppo in fretta e senza avere la consolazione di un gran ballo o cerimonia che riconsegni il bello in quanto tale al passato e ci affidi a un futuro cibernetico e piallato nella mediocrità che sembra attenderci.

Allora, per il varo di una nave importante, si scomodavano i presidenti e i giornali e le televisioni di mezzo mondo non mancavano all’appuntamento, piazzando le loro enormi telecamere a cinque obiettivi rotanti tra i fotografi delle agenzie di stampa, armati di Rolleiflex o Leica a tracolla.

Il Secolo XIX di Genova, in quell’anno, celebrò in prima pagina tanto il varo della grande nave alla quale moltissime maestranze cittadine avevano dato forma e vita, che l’inaugurazione del suo primo ed unico aeroporto – il Cristoforo Colombo – arditamente proteso sul mare ed atteso da decenni.

Ho dato un’occhiata, proprio adesso, alla prima pagina di oggi dello stesso quotidiano: a caratteri cubitali “Esame Ucraina per Draghi” e, nel cappello, “Maturità, il ritorno degli scritti”. Anche i quotidiani regionali si sono conformati a dedicare la prima pagina alle notizie nazionali; se questa sia una richiesta dei loro lettori oppure un’impostazione editoriale, resta da scoprire.

Vita breve e fine ingloriosa

Tornando alla Michelangelo, la bellissima nave ebbe vita breve, come accadde per la sua gemella  Raffaello: solo dodici anni di servizio, prima di procedere al suo disarmo, rivendendola al prezzo delle patate all’Iran dello Scià di Persia, che la trasformò in dormitorio per gli operai addetti alla costruzione di due porti militari, peraltro con vari problemi tecnici, come l’adagiamento della chiglia sul fondale troppo basso del porto, prodromo di una fine ancora più ingloriosa.

Appena salito al potere l’ayatollah Khomeini, cacciati che furono gli operai, in gran parte italiani, che curavano la trasformazione dell’ex transatlantico in pensione (quasi) galleggiante, ci pensarono i locali a depredarla di tutto ciò che valesse qualcosa al mercato, riducendola ad uno scheletro inerte ed inerme.

La Michelangelo venne poi trainata (come per la Costa Concordia, molti anni dopo) fino al Pakistan, ove fu demolita definitivamente negli anni ’90 del secolo scorso. Anche questo punto sembra prestarsi a qualche amara considerazione analogica con certe opere colossali, progettate per durare molti decenni, che vediamo nascere, pubblicizzare – e strumentalizzare – per chiari scopi politici come patrimonio comune e destinate a creare benessere, posti di lavoro e, perché no, orgoglio nazionale.

Tempesta forza dieci

Allora come oggi, opere fatte con danaro pubblico. Poco o niente di nuovo sotto il sole, si direbbe. Ma oggi abbiamo l’aggravante che, anche in campo navale, non tutti i veri e propri palazzi di dodici piani che vediamo solcare i mari dimostrano l’affidabilità, navigabilità e sicurezza come ai tempi della Michelangelo e della Raffaello, basta leggere le notizie.

A proposito di tali requisiti, vi racconterò un aneddoto. A metà degli anni Settanta, in casa di un’amica, vidi un interessante certificato, debitamente incorniciato e posto in bella vista. Su tale documento, intestato Italia Società Navigazione, il comandante della Michelangelo, Giuseppe Soletti, ringraziava un passeggero, ossia il padre – ex ufficiale di Marina – della mia amica, per aver effettuato dei turni di guardia volontari sul ponte della Michelangelo, mentre la nave, s’imbatté, il 12 aprile 1966, in una tempesta forza dieci, mentre navigava in pieno Atlantico.

La nave fu, infatti, investita da un’onda gigantesca che le provocò danni ingenti, oltre alla morte di due passeggeri che si trovavano in cabina e numerosi feriti tra equipaggio e gli stessi passeggeri. Il bravo comandante Soletti riuscì, comunque, a riportare la nave in salvo, attraccando a Genova. Altri uomini? Altra disciplina marinaresca? Lascio i commenti ai lettori.

Ultimo atto

Anche l’ultimo atto della breve, bellissima, vita della Michelangelo fa riflettere. Lascio la parola al cronista del Secolo XIX, Massimo Zamorani, che sul quotidiano genovese del 6 luglio 1975 scriveva:

“Non c’era neppure un’autorità a dire addio alla Michelangelo. Sfumata dalla foschia, la sagoma della Michelangelo è apparsa, di là dalla diga foranea, alle 13,30. Un’ora e 25 minuti dopo, il segnale di fermo in macchina ha chiuso l’ultima manovra di attracco della grande nave, nata a Genova dodici anni orsono. I passeggeri (millecinquecento) erano tutti sui ponti. Alla Stazione Marittima di Ponte Andrea Doria, sulla calata, lungo il viadotto, duemila persone hanno assistito all’arrivo del transatlantico che non salperà più.”

Ed ancora, tratto dallo stesso articolo di Zamorani sul Secolo XIX:

“Nel porto americano si sono imbarcati, per l’ultimo viaggio, millecinquecento passeggeri e, tra questi, molti tifosi delle navi italiane, c’era la signora M.V., figlia di un diplomatico canadese, che ha effettuato 57 volte la traversata a bordo di transatlantici della “italian line”. C’era il famoso oculista italo-americano V.L., alla sua ottantasettesima traversata. C’era la duchessa di Windsor. La sera precedente, l’arrivo a Cannes (dove la duchessa sarebbe sbarcata), nel salone delle feste di prima classe, si è vista l’attempata signora levarsi in piedi, avvicinarsi al comandante ed invitarlo a ballare. Di fronte a questo atto così insolito, tutte le coppie che stavano danzando si sono arrestate. Unici, sulla vasta pista, la signora per i cui occhi Edoardo VIII rinunziò al trono e il comandante Cosulich intrecciavano una samba vivace. Tutti compresero il significato del gesto, il commiato alla nave”.

Meraviglia. Cose da non dimenticare.

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