Le Olimpiadi 2024 si terranno in Francia, in gran parte nella capitale Parigi. Numerosi i problemi relativi alla sicurezza, esacerbati dalla decisione di tenere la cerimonia di apertura non in uno stadio ma lungo la Senna, e questo in una nazione che ha espresso sostegno pressoché incondizionato a Israele. Considerando quanti potenziali terroristi (i famosi “fichier S”) sono presenti sul territorio c’è da stare in allerta.
Ma il dibattito nazionale in questi giorni sembra incentrato su tutt’altro: la fissazione di essere sempre politically correct, che ha fatto eliminare la croce dalla vetta di un monumento emblematico di Parigi e portato il presidente Emmanuel Macron a indicare addirittura il nome di chi dovrebbe cantare alla cerimonia di inaugurazione: Aya Nakamura.
Il “concept”
Partiamo dal monumento, la cattedrale Saint-Louis-des-Invalides. Si tratta di un’opera voluta da Luigi XIV nel 1670, parte del grande complesso dell’ospedale destinato ad accogliere gli invalidi di guerra. Come visibile dalla foto in copertina, la cupola termina con una croce, classico simbolo cristiano che evidentemente come tale imbarazza, o forse viene considerato divisivo. E infatti nel poster ufficiale, presentato il giorno 4 marzo al Museo d’Orsay, questa è stata sostituita da un parafulmine (o una specie di antenna senza dipoli, non capiamo bene).
Il poster ufficiale è opera del trentaseienne francese Ugo Gattoni. Il “concept” dell’opera sulla quale si è basato includeva istruzioni quali le seguenti:
Il Manifesto deve immergerci in una versione utopica e fantastica di Parigi, una sorta di immensa città-stadio circolare. Una città aperta al mondo, in cui luoghi, monumenti e simboli familiari vengono riorganizzati e reinterpretati. Nello spirito di uguaglianza che è diventato un marchio distintivo dei prossimi Giochi, Parigi 2024 ha scelto di non fare distinzione tra le Olimpiadi e le Paralimpiadi nel design dei manifesti. Come la torcia e le mascotte, i manifesti sono collegati e uniti.
Utopia di un mondo migliore, insomma, la stessa idea alla base delle censure ai modelli di Intelligenza Artificiale di cui abbiamo parlato spesso. Certamente nel caso delle Olimpiadi un’idea assolutamente condivisibile, vista anche la storia di un evento che la leggenda narra interrompesse anche le guerre.
Ma perché togliere la croce?
Interrogato in merito, Gattoni ha affermato: “Non cerco di rappresentare gli edifici in modo conforme, li evoco come mi appaiono nella mente e senza premesse. Non cerco che siano fedeli all’originale, ma piuttosto che possano riconoscersi a colpo d’occhio”.
Parole suggestive, ma che in merito alla croce non spiegano proprio nulla. Resta il sospetto che i simboli delle religioni siano ormai inconsciamente considerati troppo divisivi, ma in fin dei conti, fintanto che non verranno inseriti quelli di altre religioni concorrenti (temiamo in merito qualche richiesta nel futuro) possiamo anche accettarlo.
La cantante
Veniamo a Aya Nakamura. Il 29 febbraio, il presidente Macron si improvvisa direttore della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici del 2024, rivelando che la cantante Aya Nakamura sarebbe stata contattata dal suo staff (o su indicazione del suo staff) per eseguire un brano di Edith Piaf.
Immediatamente si scatena un’ondata di attacchi da parte di editorialisti ed esponenti politici: Edith Piaf è la quintessenza della musica francese e Aya – considerata rapper ma auto-definitasi artista pop – non ha esattamente i lineamenti classici delle francesi.
Le Monde si occupa della vicenda intervistando la sociologa specialista in musica “popolare” Marie Sonnette-Manouguian. Queste le sue spiegazioni:
Siamo obbligati a collocare le critiche contro Aya Nakamura nel modo in cui la musica hip-hop (rap e R’n’B in particolare) potrebbe essere stata oggetto di controversie lanciate dalla destra e dall’estrema destra nel corso della loro storia. Se Aya Nakamura ha potuto essere percepita e pubblicizzata come una rapper, mentre si definisce innanzitutto come un’artista pop, che trae ispirazioni varie dallo zouk all’R’n’B, ciò è dovuto principalmente ad una razzializzazione di queste tendenze musicali, che sono percepiti come non bianche. Così, per un fallace sillogismo, una cantante nera viene spesso assimilata ad una rapper donna.
Avete capito? Noi no, l’unica cosa chiara è che la colpa è delle destre. Ça va sans dire.