Non è vero che il Regno Unito non ha una Costituzione

Dalla Magna Carta a oggi, otto secoli di storia costituzionale inglese. L’approccio anglosassone e quello europeo continentale. L’importanza cardinale dell’Habeas Corpus

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Il 15 giugno si è commemorato un anniversario molto importante, benché ricordi all’apparenza una firma apposta su una royal charter rimasta in vigore per pochi mesi prima di essere resa nulla. In realtà, sto parlando della famosa Magna Carta, accettata da re Giovanni Senzaterra il 15 giugno del 1215, e che fu da subito percepita come un elemento fondativo fondamentale dello Stato inglese, e proprio il suo annullamento diede immediatamente origine alla guerra civile nota come prima guerra dei baroni.

Al termine della stessa, la sua reintroduzione fu requisito imprescindibile per il raggiungimento di una pace duratura: inclusa nel Trattato di Lambeth del 1217, la Magna Carta fu poi confermata come legge statuaria del Regno d’Inghilterra da Edoardo I nel 1297, e da allora ne ha costituito il fondamento – a discapito di quanto spesso sostenuto da commentatori nostrani, anche di primo piano, ossia che “l’Inghilterra non ha una Costituzione”.

Senso di superiorità

Si tratta di un concetto che viene passato spesso, sia a livello scolastico che appunto giornalistico, perché da un lato ha il sapore della particolarità quasi aneddotica, mentre dall’altro solletica quel velato senso di ostile superiorità nei confronti non solo della “perfida Albione”, ma del mondo anglosassone in generale.

In particolare, questo atteggiamento non è solo italiano: anzi, viene ampiamente condiviso dal mondo culturale europeo continentale, e non è decisamente limitato a periodi storici passati. Al contrario, tende a riemergere, in modo simmetrico tanto a destra quanto a sinistra, ogni volta che il mondo anglosassone si rende protagonista di un impegno storico che risulta sgradito, per un motivo o per l’altro, a suddetti gruppi.

È ciò cui stiamo assistendo in questo anno ormai abbondante di conflitto in Ucraina, in cui semplici cittadini e professori universitari, blog e testate nazionali hanno spesso fatto un uso quasi spregiativo degli aggettivi anglosassone e angloamericano, e hanno cercato di sottolineare in ogni modo le differenze che esistono tra la realtà europea continentale e quella – appunto – anglosassone.

Vorrei quindi prendere spunto da questa ricorrenza per fornire alcune spiegazioni che spero possano risultare utili e interessanti, senza ambizioni di sviscerare un testo così complesso o di descrivere in modo completo un campo tanto ampio come il diritto costituzionale. Ciò che vorrei fare è piuttosto permettere ai lettori che non siano particolarmente esperti in questo contesto di cogliere i motivi per cui esistono certamente differenze molto importanti tra l’approccio e la filosofia anglosassone e quella continentale, ma sono per l’appunto di natura differente da quanto solitamente dato per assunto dalla vulgata corrente. Se ci riuscirò, potrò anche spiegarvi più in dettaglio uno dei punti cardine della Magna Carta, la cui influenza sullo stato di diritto prima come concetto e poi come pratica è stata fondamentale. Andiamo quindi con ordine.

Costituzione non codificata

Innanzitutto, occorre rispondere in modo semplice e chiaro alla domanda di partenza: il Regno Unito ha una Costituzione? Sì. Si tratta di ciò che si è solitamente abituati a intendere in questo senso, ossia un singolo testo unitario nel quale siano iscritte tutte le norme fondamentali dello Stato e del suo funzionamento? No.

Il Regno Unito possiede infatti quella che viene definita una costituzione non codificata, sebbene anche questa sia una definizione imperfetta, dal momento che sarebbe più corretto dire che si tratta di una costituzione parzialmente codificata, a vari livelli.

Il concetto base è infatti che le norme costituenti del Regno Unito provengono da diverse fonti, che possono essere per brevità riassunte in tre categorie. La principale sono gli Acts of Parliament: gli Atti del Parlamento che, partendo essenzialmente dalla Magna Carta stessa e dal Bill of Rights del 1689, hanno prodotto, soprattutto dal primo periodo vittoriano, una istituzionalizzazione definitiva di tutte le pratiche, i diritti e le consuetudini. Si noti che tutto questo materiale – avente all’epoca pieno valore legale, era contenuto non solo nei due atti sopra citati, ma in una moltitudine di singoli trattati, Atti reali e Carte dei Diritti.

A livello pratico, gli Acts of Parliament sono essenzialmente legislazione, che viene costantemente aggiornata, e che comprende, con importanza e spessore diverso quanto legiferato a Westminster, ma anche nei parlamenti locali in Scozia e Irlanda del Nord e a livello europeo – per quanto riguarda gli anni in cui UK è stato membro della Ue.

Ci sono poi le sentenze dei tribunali, che in un sistema di Common Law continuano ad avere un margine di autorità positiva. Infine, abbiamo la parte effettivamente non scritta, ossia quella delle consuetudini. Si tratta di norme in realtà anche di grande importanza, come quella che regola l’accesso alla carica di primo ministro, che tuttavia non trovano alcuna definizione ufficiale scritta in alcun documento. Al contrario, seguono tradizioni ritenute ormai così saldamente consolidate, che non viene percepito il bisogno di fissarle in un testo normativo.

Il primo ministro

Come detto, l’esempio più rilevante di questa categoria è quello che prevede l’individuazione del primo ministro nel leader del partito che ha una maggioranza alla Camera dei Comuni, stabilendo così la natura del rapporto tra governo e parlamento.

Troviamo tuttavia anche quello che di fatto rende Westminster un bicameralismo totalmente asimmetrico, ossia la tradizionale mancanza del diritto di veto sulla legislazione secondaria per la House of Lords, a conferma del fatto, per noi europei continentali inusuale, che anche meccanismi di importanza cardinale per il funzionamento della democrazia siano apparentemente tutelati solo da una tradizione non scritta.

La prima garanzia scritta

Ma come, potreste verosimilmente chiedere a questo punto, dopo tutto questo discorso si arriva quindi a dire che la Magna Carta non è la costituzione del Regno Unito? Non lo è, oggi. Ciò che è importante notare prima di proseguire, è che non è mai stata intesa come tale in senso moderno, ma ne ha costituito per secoli il fondamento di quello che addirittura non era stato concettualizzato – lo avrebbe fatto Rousseau 500 anni dopo: il contratto sociale che reggeva il Paese.

In questo senso, ha costituito in modo effettivo il primo esempio di una garanzia scritta, tangibile e non soggetta ad arbitrio dei diritti dei sudditi nei confronti dell’autorità. La sua importanza storica è quindi quasi incommensurabile, ma ha avuto per secoli anche un’applicazione pratica che la rende in gran parte sovrapponibile a quella di una costituzione moderna.

Fino all’inizio dell’Ottocento, quando, come detto, il Parlamento iniziò ad ammodernare l’insieme variegato di leggi fondamentali che regolavano i diritti e i doveri dei cittadini britannici, gli articoli della Magna Carta sono fondamentalmente rimasti in pieno vigore, costituendo di fatto la principale fonte di quella costituzione non interamente codificata che abbiamo analizzato in precedenza.

È quindi possibile, in definitiva, affermare che la Magna Carta sia stata per secoli la costituzione del Regno Unito, con la consapevolezza che è stata sia qualcosa di meno – manca ad esempio la volontà di definire a livello teorico la natura dei vari ruoli istituzionali – che qualcosa di più, dal momento che ha svolto funzioni assimilabili a quelle di un codice civile e penale.

Differenze con l’Europa continentale

È proprio nell’assenza di una volontà di definizione teorica che si consuma in realtà la maggiore differenza con la Weltanschauung europea continentale. Pressoché tutti gli esempi di costituzioni moderne che ci sono stati dati dall’età contemporanea, a partire già dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, stilata nel corso della Rivoluzione Francese e dalla prima costituzione repubblicana francese di quattro anni dopo, sono ben diversi.

Si tratta infatti di atti con cui una neocostituita entità statale si dà un fondamento teorico, partendo da una serie di principî astratti che vengono posti come fondanti, e da cui le leggi basilari che regolano il contratto sociale discendono in modo deduttivo. Stessa considerazione vale per le numerose costituzioni octroyé, ossia concesse da un sovrano assoluto, di cui il celebre Statuto Albertino, che ha retto lo Stato italiano fino al 1946 è un perfetto esempio. In questi casi si ha infatti il potere assoluto, incarnato dal sovrano, che sceglie di concedere una serie di diritti ai suoi sudditi, sempre partendo da considerazioni aprioristiche.

Al contrario, lo spirito della Magna Carta è prettamente pratico. In effetti, il testo stesso del trattato è un compromesso, redatto dall’Arcivescovo di Canterbury Stephen Langton, per mediare tra le istanze della corona e quelle dei grandi nobili, che volevano una garanzia scritta dei limiti del potere regale e dei diritti di cui i sudditi godevano.

Si trattava di diritti non dedotti da una teorizzazione filosofica astratta, ma sorti dalle dinamiche storiche concrete di tensione tra l’autorità e coloro che le erano sottoposti. In fondo, è la stessa differenza che passa tra i sistemi di diritto romano (declinato nella modernità in vesti napoleoniche o germaniche) e di common law: da un lato, abbiamo l’autorità che pone le basi ideologiche del proprio potere e ne deduce le applicazioni pratiche, dall’altro un compromesso tra l’autorità e gli individui, che ottengono l’enumerazione di un certo numero di paletti da porre all’esercizio dell’autorità stessa.

Faccio notare che ai fini di questo discorso, non ha molta rilevanza il fatto che l’autorità sia costituita da un monarca che elargisce una carta costituzionale o emana un codice giuridico, o da un’assemblea costituente eletta a suffragio universale. Il punto è infatti il rapporto tra autorità e cittadini: i secondi, nel caso delle realtà continentali, affidano interamente la stesura del patto sociale alla prima, in un modo o nell’altro, mentre in quella anglosassone il patto sociale scaturisce attraverso la storia dal confronto tra autorità e cittadini – nobili, in origine.

L’Habeas Corpus

Tra i vari paletti che furono inseriti all’estensione del dominio dell’autorità statale nella Magna Carta ve n’è uno la cui importanza storica successiva è davvero immensa: l’habeas corpus. Si tratta del concetto in base al quale l’autorità non può procedere ad arresti dei cittadini in modo arbitrario, ma può farlo solo dietro presentazione di sufficiente materiale probante, che deve essere raccolto prima dell’arresto, in modo da concedere la possibilità all’accusato di difendersi dalle accuse specifiche – non dopo.

Può sembrare una nozione scontata, ma in realtà è uno degli elementi fondanti che definiscono e distinguono ormai qualsiasi stato di diritto che si possa definire tale. In soldoni, possiamo dire che l’habeas corpus sia il principio in base al quale non è possibile per la polizia e le autorità giudiziarie venire a casa ed arrestarvi semplicemente per loro arbitrio personale.

Se pensiamo a quante volte nella storia il potere giudiziario è stato usato proprio a questo fine, a ogni livello, per colpire nemici personali o avversari politici, per procedere a confische di beni o per reprimere il dissenso a un regime, se pensiamo anche a episodi recenti come quello dei desaparecidos, rapiti e fatti sparire senza alcuna accusa formale dai regimi militari sudamericani, potremo renderci conto dell’importanza di tale istituto.

È ancora più importante notare che nelle parole della Magna Carta si faccia riferimento al fatto che nessuno (no man) possa essere sottoposto ad arresto ingiustificato: si tratta quindi di un diritto universale, non limitato a nobili, e neppure agli uomini liberi, ma esteso anche ai servi – all’epoca una percentuale non trascurabile della popolazione inglese.

Un ulteriore elemento che testimonia l’importanza cardinale di questo testo nella storia giuridica. In effetti, un principio simile era stato accennato in alcuni editti di re Enrico III mezzo secolo prima, ma questa rappresenta la prima volta nella storia in cui viene chiaramente esplicitato: sarà ribadito più volte nel corso della travagliata storia inglese successiva, fino alla sua definitiva iscrizione nel Bill of Rights del 1689.

Si potrebbe concludere sottolineando ancora come persistano importanti differenze tra l’approccio anglosassone e quello europeo continentale, ribadite anche da recenti sentenze della Corte europea per i diritti dell’uomo, che hanno sottolineato come in un sistema continentale sia accettabile un certo grado di arresto preventivo rispetto al reperimento di prove, ma rischieremmo di entrare troppo nel dettaglio tecnico.

I tre articoli in vigore

Chiudo quindi chiosando con una piccola curiosità una delle informazioni che vi ho fornito in precedenza. Avrete notato che non ho citato la Magna Carta direttamente tra le fonti del diritto costituzionale inglese. In effetti, nel corso degli ultimi due secoli praticamente tutto il suo contenuto è stato aggiornato dalla legislazione successiva, e quindi ciò che vi ho detto non è sbagliato.

Restano però ancora pienamente in vigore tre articoli, completamente immutati dal 1215. Essi sono (secondo la numerazione del 1297): il numero I, che sancisce la libertà della chiesa inglese; il IX, che conferma le antiche libertà e istituzioni della City of London e delle altre città del regno; il XXIX, che riconosce il diritto a un giusto processo. È proprio riportando il testo di quest’ultimo che concludo:

Nessun uomo libero sarà arrestato o imprigionato, né sarà privato della sua proprietà, delle sue libertà o dei suoi diritti, né sarà dichiarato fuori legge, o esiliato, o in qualsiasi altro modo molestato; e noi non lo giudicheremo né lo condanneremo, se non in base a un legittimo giudizio dei suoi pari, o in base alla legge del Regno. Non venderemo, non negheremo né rinvieremo a nessuno giustizia o diritto.

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