Cultura

Portiamoci avanti con il lavoro: ecco chi “vincerà” il Festival di Sanremo

Possiamo prevedere fin d’ora i grandi temi sociali che trionferanno. Verso sempre nuove frontiere del politicamente corretto, rieducati da perfetti sconosciuti

Sanremo Amadeus © soupstock tramite Canva.com

Premetto: vi prego di rileggere questo articolo quando il Festival della canzone italiana di Sanremo, edizione 2024, si sarà concluso. Qualunque sarà il risultato finale, quali possano essere le inevitabili polemiche legate alle serate televisive più famose d’Italia, volete scommettere che quanto vado a scrivere adesso, con anticipo di quasi un mese, sarà comunque applicabile?

La lunga e rispettabilissima storia del Festival di Sanremo è parte di un fenomeno di costume sul quale si sono versati fiumi d’inchiostro e sul quale ben poco di nuovo potremmo dire oggi. L’unico filo conduttore che ci permetta un’analisi critica di un fatto sociale tanto importante, considerandolo nel suo complesso, parrebbe essere quello relativo allo scopo della sempre più imponente e costosa manifestazione pubblica della ridente cittadina costiera ligure.

La leggerezza degli anni ’50

Se volessimo partire da qui, salterebbe immediatamente all’occhio quanto quei lontani anni Cinquanta siano distanti dalla società attuale: un’era geologica, con tanto di dinosauri redivivi annessi. Certamente, ai tempi di Nilla Pizzi e Domenico Modugno (primissima versione) la Rai, allora monopolista dell’intrattenimento popolare, intendeva dare un po’ di leggerezza alla gente ancora acciaccata nello spirito da un conflitto mondiale finito meno di dieci anni prima ed alle soglie di un miracolo economico che esplose proprio con la colonna sonora del Festival.

Siamo sinceri: bastava davvero poco per fare spettacolo e la massima parte dell’intrattenimento era leggerezza, divertimento, trionfo dei buoni sentimenti, con buona pace di tutti e stando distanti dalla politica quel tanto che permettesse di rimanere entro il limite della decenza.

L’intruso

Nel corso degli anni, dai Festival ove c’erano tante canzoni e qualche riferimento politico annesso siamo giunti ad una manifestazione esclusivamente politica, all’interno della quale fanno capolino qua e là delle canzoni.

Siamo giunti alla incontenibile importanza del presentatore, che presenta sempre meno ma decide e dirige sempre più, un presentatore (e non parlo del solo Amadeus) che, a fronte del suo compenso di oltre 350 mila euro, prelevato forzosamente a tutti noi col canone tv nella bolletta elettrica, potrebbe perlomeno esserci grato di tanta generosità nei suoi confronti più che impartirci (direttamente o tramite i suoi prescelti) lezioncine morali.

Ma, se anche volessimo limitarci alle canzoni in gara, che talvolta si fatica a riconoscere come tali, quelle e solo quelle dovrebbero caratterizzare la nostra più importante manifestazione canora internazionale, con l’aggravante che, non avendo mai svincolato dall’aggettivo “italiana” il termine “canzone”, si potrebbe lungamente discutere se tale sia proprio quella da mandare nel mondo.

Il vero elemento perturbatore, l’intruso vero e proprio del Festival, è stato sempre più legato, oltre che all’immagine scenografica del concorrente, al messaggio sociale del quale è stato astutamente caricato, non sempre con la totale consapevolezza del cantante che ne sia portavoce nelle serate sanremesi.

Cantanti e politica

Un tempo, potevamo prendercela con le case discografiche, che hanno fatto il bello e brutto tempo nel settore dell’intrattenimento musicale, prima dell’avvento e della successiva sopraffazione finale della musica che viaggia sul web rispetto al mercato discografico tradizionale. Ormai, perso da anni il ruolo di major musicali, le case discografiche cercano oggi di sopravvivere nel mare magnum dello streaming musicale veicolato da internet e probabilmente ormai decidono assai meno di quanto s’immagini chi (ma soprattutto perché) debba avere successo, indipendentemente da talento, capacità artistiche, gradevolezza generale del binomio canzone-esecutore.

Paradossalmente, a Sanremo, oggi conta più un partito politico, guarda caso, rigorosamente di sinistra, che abbia scelto quell’endorser non parlamentare per rendersi simpatico agli elettori di quanto valga ormai qualsiasi potente discografico. Mi si dirà: non è una novità che un cantante strizzi l’occhio alla politica e di cantanti e cantautori tesserati (ancora per puro caso, rigorosamente a sinistra) ne abbiamo visti parecchi.

Qualcuno di loro ha avuto persino qualche modestissima esperienza parlamentare (Gino Paoli e Iva Zanicchi tra tutti), ma ben diverso è il motivo di tale captazione da parte dei partiti politici. Diciamo anche, per amore di verità, che a quei tempi si parlava di cantanti già ricchissimi e, soprattutto, consapevoli che dall’accostamento diretto del loro nome con un partito politico avrebbero avuto anche dei bei danni in termini di vendite dei dischi.

Ben diverso il caso di uno zerbinotto disoccupato e sconosciuto al quale, cantando quelle sciocchezze, piova addosso un mare di soldi perché a qualcuno fa comodo che i giovani si orientino in una data direzione. Signori, ora si parla di una marea di soldi in pochi mesi, altro che faticosa e lenta carriera. Grazie, signora Graziella, capaci tutti così…

Se ai tempi del parlamentare Gino Paoli, la sinistra italica puntava su cantanti e cantautori di indubbia capacità e provato successo per rendere più appetibile al grande pubblico una lista elettorale, oggi accade l’esatto contrario: si sceglie un perfetto sconosciuto, perlopiù di modeste o quasi nulle capacità artistiche, lo si investe del messaggio politico da gridare in faccia al pubblico, quasi sempre accompagnando i berci con l’esibizione di non sempre meritevoli parti corporee collocate nella zona vicina al culo, e lo si sbatte sul palco di Sanremo.

Prima tappa di un excursus honorum che, ammettiamolo, sembra funzionare, almeno nell’immensa platea di quelli che di musica ne capiscono ancor meno che di politica, è oggi più facile che s’inizi come cantante e si finisca a Montecitorio, o perlomeno importante esponente di un partito di sinistra, di quanto non capitasse ai tempi di Toto Cutugno, quando, semmai, accadeva il contrario.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che a noi italiani piace immensamente essere continuamente educati (se non ri-educati) ed indirizzati verso sempre nuove frontiere della morale e del pensiero politicamente corretto, più di quanto non piaccia la musica vera e propria, quella da eseguire vestiti, sapendo leggere uno spartito, mantenendosi nello schema delle regole dell’armonia, possibilmente senza  aggrapparsi agli zebedei durante l’esibizione in mondovisione.

I premiati

Un’ultima previsione potrebbe ancora essere azzardata in anticipo, molto prima di sapere l’elenco dei partecipanti a Sanremo 2024 e prima di conoscere le canzone beatificate dall’onnipotente presentatore lustrinatissimo e amante delle conferenze stampa come e forse più dell’inarrivabile Giuseppi.

Vi dico, in anteprima assoluta, i grandi temi sociali che verranno premiati, in ordine sparso: inclusione, lotta alla violenza contro le donne, pacifismo spiccio, ecologismo spinto, tematiche woke, gender-fluid, il tutto condito da qualche sapiente spruzzatina di antifascismo (a ben 79 anni dalla fucilazione di Mussolini) e con quel tocco di antisemitismo (prevedo più di una kefiah sul palco) che non guasta mai.

Del tutto irrilevante l’interpretazione di tali concetti. Anche qui, si è rovesciato tutto: se una volta, almeno a Sanremo, i meno dotati tra i cantanti non passavano la prima eliminatoria, adesso saranno proprio i miracolati dall’autotune e dal vocoder ad essere tra i possibili vincitori. Predestinati, incazzati neri, desiderosi di spaccare tutto, evidentemente scontenti della loro vita ma prodighi di insegnamenti da impartirci.

Un doveroso, preventivo e rispettoso, inchino agli ospiti stranieri che ci bagneranno una zuppa immensa su come dobbiamo vivere in Italia. Grazie, grazie! E scusateci!