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Prima di sputare sentenze sull’America di Trump senza conoscerla, diamo un’occhiata al circo di casa nostra

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Basta. Mettiamo un punto fermo. Quello che sta succedendo in America non trova altra spiegazione se non che quella è l’America. Noi europei, e, soprattutto, noi italiani, dell’America conosciamo poco o nulla e non ci avviciniamo nemmeno a capire il significato di nazione, così come gli abitanti degli Stati Uniti la vivono, per quanto in modo assai diverso dal nostro sentire. Se non partiamo da questo assunto, difficilmente potremo fare delle proiezioni future sulla (inesistente) sconfitta definitiva del trumpismo o sul cambio di passo che (forse) vorrebbe introdurre Joe Biden.

Il primo punto critico è che noi tendiamo, per consolidata abitudine e trascorsi storici, a personalizzare tutto, ossia a raccogliere le idee intorno alle persone che le diffondono, più che a compiere il processo inverso, ossia a considerare un politico come semplice speaker di una parte della società. Da noi, a differenza di quanto avviene negli States, le fortune o sfortune di una ideologia sono indissolubilmente legate a chi le manifesta; caduto egli in disgrazia, e spesso accade per vicende personali che nulla hanno a che fare con la politica, cade, almeno per qualche anno, anche quell’ideologia politica. Lo vediamo dai risultati elettorali, e mi si dimostri il contrario. Già questa considerazione iniziale dovrebbe suggerire maggiore prudenza ai nostri commentatori e pretesi profondi conoscitori della politica americana.

Americani si nasce, lo si è nel Dna e ci vogliono molti anni per diventarlo se immigrati in quel Paese. Chi si chiamassero Eisenhower, Nixon, Reagan, Obama o Trump poco cambia: quei presidenti hanno rappresentato una sostanziale maggioranza di persone che la pensavano come loro e così sarà sempre in quel Paese. Peraltro, l’eventuale inadeguatezza di un presidente Usa a rappresentare il suo fervente elettorato (nota bene: non dico “il suo partito”) durerà al massimo due mandati, dopo di che vi sarà l’inevitabile discesa nel dimenticatoio sociale degli ex presidenti, ai quali verrà riservato un ruolo di nessun rilievo politico. Ho parlato di “fervente elettorato” perché, a differenza di quanto avviene da noi, oltreoceano si vota con fervore e convinzione e pure questo risponde ad una logica che per noi è quasi impossibile comprendere e digerire. Se è vero (pur non essendone personalmente convinto al cento per cento) che l’America sia la più grande democrazia del mondo, ciò accade anche per il motivo sopra esposto, ossia perché gli americani non votano mai a casaccio, ma scegliendo il candidato presidente che più si avvicina al loro pensiero. Punto.

È quantomeno sciocca la domanda su come possa essere diventato presidente Donald Trump. La domanda corretta sarebbe “come può la maggioranza degli elettori americani pensarla come Trump?”. Eppure, se ciò non bastasse, riempiamo le pagine dei nostri giornali ed ancor più dedichiamo ore ed ore di analisi nei dibattiti televisivi a fare le pulci a quel lato del carattere di Trump o al pensiero mistico di Biden. Proprio non vogliamo capire che loro non vivono in Italia, non sono italiani, non hanno un granello della nostra esperienza e tradizione politica. La parte che rasenta il comico nelle nostre analisi della difficile transizione alla Casa Bianca (che ci sarà, eccome, così fra un annetto o anche meno l’ex presidente conterà nulla) è generosamente illustrata dalle inviate delle nostre tv a Washington, che continuano a parlare del Paese nel quale vivono come di una sorta di Italia solo un po’ più grande e molto più ricca, con Trump che assomiglia a Salvini e Biden che sembra Zingaretti o Renzi.

Proprio non ce la facciamo. Addirittura si dimentica spesso che gli Stati Uniti sono una nazione presidenziale, il che ne forma l’ossatura portante, che sono una confederazione di Stati, che si vota con un sistema, bello o brutto che sia, distante anni luce dal nostro. Ciò premesso, che già sarebbe ampiamente sufficiente per esimerci dallo sparare cazzate a casaccio su un Paese diversissimo dal nostro, soprattutto al punto di vista del sentimento popolare che i suoi presidenti esprimono, sarebbe opportuno porsi alcune domande su quanto sia giusto e corretto scatenarsi a dipingere i capi di Stato americani come mentecatti, se non addirittura definire l’attuale come “porco” “maiale” e “criminale”, come ha fatto in tv un noto ex giornalista sportivo.

Pretendiamo il rispetto della legalità e della libertà d’espressione per tutti, ma sempre rigorosamente a casa degli altri. Da noi si può insultare, ridicolizzare, diffamare e coprire di ridicolo un presidente degli Stati Uniti d’America in carica (seppure ancora per poco) senza subirne la minima conseguenza. E non mi si venga a dire che tutto ciò è permesso perché la libertà di espressione è un valore insopprimibile. Se così la si pensasse davvero, il fatto che Trump sia stato silenziato d’ufficio da tutti i social media, dovrebbe essere ritenuto un reato gravissimo, mentre ad approvarlo sono proprio quelli che per anni ce l’hanno menata con la frase “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo”. Con buona pace di Voltaire, o chiunque altro abbia effettivamente detto questa colossale banalità, anche in questo caso, ci dimostriamo pateticamente proclivi al giudizio parziale, disinformato e politicamente corretto, secondo una logica che fa acqua da tutte le parti ma che ci pare doveroso esternare con la solita brodaglia televisiva dell’indignazione a comando.

Personalmente, di Donald Trump non m’importa un fico secco e preferisco lasciare che gli americani facciano quello che preferiscono fare senza assegnare a loro il solito compitino da italiche maestrine saccenti, delle quali abbiamo ampia rappresentanza anche nel nostro governo. Tuttavia, non mi dispiacerebbe vedere un paio d’etti d’indignazione per i modi poco civili e antidemocratici in una qualsiasi delle persistenti dittature mondiali (prima fra tutte quella cinese, per non parlare dell’Iran), almeno per coerenza e per limpidezza di pensiero. E se, prima di dare del pagliaccio ad un presidente americano si trattasse di dare un’occhiatina, anche frettolosa, sotto il tendone da circo che abbiamo a casa nostra, non sarebbe meglio?