Scrivo queste note mentre è ancora in corso la cerimonia d’incoronazione di Re Carlo III d’Inghilterra e mi sorgono, spontanee, alcune riflessioni che la bellissima cerimonia in mondovisione propone a tutti noi. Indipendentemente dalle posizioni personali sulla monarchia inglese, non v’è dubbio alcuno che, come già accadde per il funerale della Regina Elisabetta II, chiunque al mondo ha potuto constatare quale enorme significato abbiano i simboli nel cerimoniale di Stato d’Oltremanica.
In un mondo ove sembra ormai rilevare soltanto il contenuto, quale esso sia, rispetto alla forma, verrebbe da chiedersi se non si stia commettendo l’errore di svilire anche i contenuti più sostanziosi, se li si privi di quei riferimenti ideali ai quali facciano riferimento. In altre parole, sorge un dubbio, che a vedere come gli inglesi ancora ci tengano assai alla forma, s’insinua sempre più nel nostro modo di giudicare tutto ciò che non sia “made in Italy”.
Paura degli ideali e della tradizione
Niente da fare, per noi italiani, le ideologie sono ormai quasi un sinonimo di fanatismo e parlare di “valori” o di “fede” in qualcosa che non sia riferibile al calcio, diventa così pericoloso e così foriero di sventura da essere accuratamente evitato in ogni cerimonia ufficiale, fateci caso. In quest’assurda e ormai capillare ideologia woke, nel tritacarne mediatico del “tanto loro cosa ne sanno dei nostri bisogni?” si ha timore di essere disapprovati al minimo accenno di rispetto per un ideale, magari uno di quelli con la “I” maiuscola, peggio ancora se rappresentato da un simbolo.
Per il popolo britannico, invece (attenzione: ho scritto proprio “popolo”), è essenziale che i loro regnanti vengano incoronati proprio su quel trono che incorpora la famosa “Stone of Scone”, la pietra che Edorado I volle sul trono di Scozia nel 1296, e ciò perché incarna l’idea stessa del Regno Unito, ma noi ne ridiamo.
Per gli inglesi, è assai bello e significativo che al loro nuovo Re vengano offerti, rigorosamente nell’ordine, prima la “Supertunica”, poi gli Speroni, la Spada di Stato, la Spada Regale, I Bracciali, la Stola Regale, la Veste Regale, il Globo, l’Anello del Re, il Guanto di Giorgio VI, lo Scettro, e, soltanto alla fine, la Corona di San Edoardo, ma noi ne ridiamo.
Attenzione, cari lettori: scrivo “noi” per non dire “tanti deficienti”, perché sarei sommerso da commenti e critiche, la gran parte delle quali provenienti da chi tale sia e non se n’avveda minimamente.
È più forte di noi, siamo sinceri. Prontissimi a mettere, addirittura sugli edifici pubblici, il faccione di Maradona (che, a proposito degli italiani, intesi come popolo, disse ripetutamente cose assai sgradevoli) ma se gli anglosassoni ci tengano moltissimo ai simboli delle loro tradizioni storiche, allora ne ridiamo.
Simboli caduti in disgrazia
Temo si tratti d’una inarrestabile tendenza culturale di stampo vagamente iconoclasta, una guerra ai simboli, che, guarda caso, vengono citati sempre e solo quando abbiano significati negativi. Nemmeno la nostra croce, per dire proprio il primissimo simbolo della cultura cristiana che forma la nostra radice comune, è ormai più tanto simpatico.
Dalle nostre parti, sono sempre più quelli che preferiscono non esibire la croce in pubblico “per non offendere le altre religioni” e tale orientamento si sta diffondendo, sia pure obliquamente, anche nel clero 4.0, con un bel sorrisone simpatico di approvazione del nostro attuale Pontefice. Ognuno la pensi come meglio ritiene, soprattutto in tema di religione, e non è di questo che vorrei parlare oggi.
L’esempio della croce cristiana è servito ad entrare nel cuore di questo mio sproloquio primaverile. Sono proprio i simboli in genere, che, particolarmente in Italia, paiono essere caduti in disgrazia e con loro tutte le tradizioni che, attraverso tali simboli, conducano ad un ragionamento che non sia una semplice accozzaglia di contenuti buttati lì a caso.
Contenuti e contenitori
Come accadeva coi primi discount tedeschi di molti anni fa, quelli con gli scatoloni aperti lasciati a terra disordinatamente, vediamo sempre più contenuti (buoni o scadenti che siano) mischiati malamente tra loro, perché privi di un contenitore, una forma, un riferimento ideologico che li raggruppi, mi spiego?
Dalla liturgia cattolica al cerimoniale di Stato, sembra contare sempre meno il lato simbolico, quello che spinge alla riflessione, quello che collabora a mantenere accesa la fiammella del pensiero e, per i credenti, della fede.
In un Paese in cui il tricolore è ormai acquistabile soltanto tra la paccottiglia del banchetto fuori dello stadio (unico vero tempio rimastoci), figuriamoci se a qualcuno possa interessare come si veste il prete per dire messa in quel periodo dell’anno o quale corpo militare (e perché) debba necessariamente aprire ogni nostra sfilata militare (la Banda dei Carabinieri). Sono ormai dettagli di poco conto, questioni ancillari da nemmeno prendere in considerazione. Atteniamoci ai contenuti, perbacco, già che ne abbiamo tanti di gran valore!
Buzzurraggini
Evidentemente, lo “strano” ad essere rimasto inorridito, guardando la fotografia di un giornale sulla festa del patrono di una forza di polizia, in cui un militare in prima fila aveva le scarpe vistosamente sporche. Non sarà mica che se il superiore di quello stordito in divisa, se lo avesse fatto uscire dallo schieramento e subito punito, avrebbe poi passato lui stesso un guaio, accusato di mobbing?
Oddio, non si tratta di diventare tutti figli della perfida Albione, che in quel genere di cose, ammettiamolo, sono un esempio al mondo intero; ma dobbiamo proprio ridurci alla più bieca buzzurraggine, nella quale forse già oggi nessuno studente (anche delle superiori) saprebbe spiegarci il significato dello stemma della Repubblica Italiana?
Alla prossima cerimonia a Roma (civile o religiosa che sia) ci sarà la colonna sonora delle vuvuzelas? Oltre ai calciatori, novelli monarchici, che per anni hanno cantato “Stringiamoci a Corte”, oltre agli zerbinotti e zerbinotte da talent show che, pur non stringendosi affatto a Corte, massacrano miseramente, e in eurovisione, l’Inno di Mameli, cosa ancora possiamo vedere? Oggi, più che mai, God Save The King.