Università che visiti, usanza che trovi. A stare alle notizie di stampa, si deve prendere atto con un senso di viva partecipazione dell’estrema disponibilità dei Senati accademici a promuovere una politica sessuale antidiscriminatoria. A dire il vero si tratta ancora di pochi esempi, ma essi segnano il cammino che verrà presto percorso rispondendo ad un movimento popolare fortemente progressista, che, però, appare diviso, fino al punto di risultare contraddittorio fra identità di genere e promozione femminista.
Il terzo bagno della Bocconi
Ispirata alla identità di genere è stata certo la delibera assunta dal Senato accademico della Università Bocconi di triplicare i bagni, sì di averne due, uno maschile ed uno femminile, più un terzo per chi non si riconoscesse in alcuno dei due sessi tradizionali. Cosa, questa estremamente seria, tanto da rendere passibili di sanzioni disciplinari a studenti che vi avevano irriso, per non averne colto il profondo significato innovativo.
A ben guardare non era certo una delibera dettata dall’esigenza di rispondere ad una necessità fisiologica, dato che la necessità di spandere acqua resta pur sempre duplice, in piedi o seduti, ma di valorizzare l’identità di genere, intesa come la intima consapevolezza del proprio corpo, dissonante rispetto alla caratterizzazione sessuale ereditata con la nascita, che, però, può essere stabile nel tempo, corretta con una operazione chirurgica e/o una terapia ormonale oppure variabile a seconda della situazione.
Qui sta la problematica relativa all’uso del terzo bagno, cioè che non è assolutamente passibile di controllo, non solo perché non è immaginabile alcuna richiesta di esibizione dei propri caratteri sessuali, ma perché – essendo l’identità di genere variabile a seconda della situazione – tale esibizione non basterebbe affatto a individuare eventuali profittatori, potendo questi ultimi sempre far valere una contingente mancanza di individuazione con l’uno o con l’altro sesso.
Se così è, il terzo bagno, essendo presuntivamente quello più libero, finirebbe di essere utilizzato da profittatori, abbastanza smaliziati da aver a portata di mano la giustificazione proprio nell’identità di genere, del come si sono sentiti in quel dato momento, né maschio né femmina.
Le cariche al femminile
Di diverso avviso, ma sempre nell’ambito di un orizzonte progressista, il Senato dell’Università di Trento, che ha licenziato un regolamento in cui tutte le cariche sono al femminile, rettrice, direttrice…, a prescindere dal sesso di chi effettivamente ricopre quel ruolo. Qui siamo proprio all’opposto dell’identità di genere, per cui ciascuno ha il sesso o il non sesso che si sente di avere, è inchiodato dal ruolo al sesso femminile, che diviene così sesso unico, con un rovesciamento completo rispetto all’uso millenario dove ad essere il sesso unico per qualsiasi ruolo pubblico o privato era il sesso maschile.
Niente di più facile, contenti loro contenti tutti, ma che dire di una eventuale estensione, bisognerebbe riscrivere l’intero ordinamento giuridico, a cominciare dalla nostra Costituzione, dove si parla di un presidente della Repubblica e di un presidente del Consiglio dei ministri; ma qui come per qualsiasi rivoluzione sessista sarebbe necessario riscrivere non solo la storia ma tutta la produzione culturale, opera immensa, cui attende la cancel culture, peraltro in maniera assai sbrigativa, mozzando di netto il passato.
Disorientamento
Non si può negare che vi sia un certo disorientamento nei Senati accademici delle nostre Università, se pur nell’intento encomiabile di stare al passo con i tempi, che, peraltro non risultano così trasparenti come le pur buone intenzioni dovrebbero far ritenere.
Tant’è che i nostri Senati dislocati in pieno Nord Italia interpretano due tendenze “rivoluzionarie” in atto nella materia divenuta estremamente vitale della sessualità. Si tratta, nel caso di Milano, di una rivoluzione contro la stessa “natura” all’insegna dell’identità di genere, per cui all’estremo non esiste niente di predeterminato oggettivamente alla nascita, essendo soggettivamente modificabile in seguito.
Al contrario, si tratta, nel caso di Trento, di una rivoluzione contro la “storia” all’insegna della femminilità, per cui, data per scontata l’esistenza dei due sessi naturali, quello femminile deve sostituire come protagonista quello maschile.