Cultura

Vera conoscenza e vera evoluzione: epistemologia degli anni Duemila

Viviamo immersi in una clamorosa mistificazione culturale, nella quale abbiamo confuso la velocità e la portata della comunicazione con la qualità dei contenuti

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Già dall’epoca lontana della Critica della Ragion Pura kantiana, ma anche ben prima di Kant, l’uomo s’interroga sui diversi meccanismi della formazione della conoscenza, attraverso la ricerca delle possibili regole che disciplinerebbero, più o meno autonomamente, il nostro pensiero scientifico. Concetti quali epistemologia e gnoseologia, pressappoco interscambiabili tra loro, impegnano i filosofi e si riversano nel campo di contesa teorica sui metodi e le ragioni della scienza.

In una materia così vasta e affascinante, tuttavia, è assai facile perdere di vista la via maestra, giungendo a discutere del nulla o poco più. La mia indole razionalmente ed orgogliosamente conservatrice e l’insopprimibile tendenza a raffrontare come si viva oggi e come si vivesse ieri o ieri l’altro, mi spinge ad alcune considerazioni che potrebbero esservi di spunto per ulteriori analisi che voleste proseguire per conto vostro, magari osservando esemplari rappresentativi del vostro prossimo, tra gli ombrelloni, in spiaggia.

Velocità non è qualità

Traendo le mosse da un mio vecchio articolo, qui su Atlantico, nel quale lodavo la fantasiosa e melodiosa musica analogica, contrapposta alla ripetitività freddezza della musica digitale, getto un sassolino nello stagno: se dovessimo qualificare come “progresso” l’alternarsi di zero e uno (tertium non datur) della logica binaria per rappresentare e riprodurre l’arte, ci basterebbero due, pur velocissimi, neuroni.

Ovviamente, parlo per iperbole, ma il concetto non sembra buttato lì a casaccio. Probabilmente stiamo vivendo immersi in una clamorosa mistificazione culturale, nella quale abbiamo confuso la velocità e la portata della comunicazione globale con la qualità dei contenuti che la stessa veicola. L’impressione generale è che si tenda a trasmettere sempre più efficacemente dei contenuti più che a elaborarne dei buoni.

Grandiosi nel far piovere dal cielo telematico milioni di volantini che pubblicizzano robaccia, addirittura deforestando per stamparli, come dicono taluni, lasciamo tranquillamente chiudere per fame le librerie senza battere ciglio.

Ha quasi dell’incredibile ciò che stiamo costruendo con le nostre mani. La totale incoerenza tra sbandierate ragioni che ammiccano ad un comportamento consapevole e i risultati pratici di tali operazioni, che ci vengono contrabbandate come etiche, è sotto gli occhi di tutti, suvvia!

Vogliamo un mondo green e lo faremmo riempiendo le nostre auto con quintali di sostanze rare, non riproducibili in laboratorio e pressoché non smaltibili in modo del tutto sicuro, così come sosteniamo a gran voce l’importanza dell’accessibilità all’istruzione per chiunque, ma non di certo abbattendo i costi della scuola e dell’università, bensì creando scuole che insegnano materie risibili, come i fumetti o le pipe di radica, e sfornando ogni anno nuovi corsi di laurea su discipline inutili e fanfaronesche, col risultato di immettere ogni anno nel lavoro centinaia di migliaia di nuovi “dottori” del tutto ignoranti ed incapaci di distinguere tra Cesare e Mazzini, oppure tra le tabelline e le equazioni di primo grado.

Potremmo continuare per ore ed ore, sempre più incavolandoci per questo metodo che, con l’insegnamento casual della scienza e delle dottrine umanistiche, sta facendo strage di cervelli, ma non posso esimermi dal ricordare alcuni recenti casi clamorosi, come quello ministro della scuola con evidenti lacune nella lingua italiana, per non parlare della ricerca dai costi miliardari su come non gettare in mare troppa plastica, aumentando però a dismisura il numero degli involucri della stessa plastica, doppi o tripli, per un singolo pacco di biscotti.

Falso progresso

Cosa ci sfugge, potremmo chiederci a tal punto? Probabilmente il metodo. Parrebbe che, dopo anni di cruda bestialità nei quali siamo, evidentemente, vissuti noi boomers, soltanto adesso si sia scoperto come vivere in modo etico e consapevole, oltre che bio-compatibile. La riprova di tale affrancante riscatto? Pensiamo a noi trogloditi che comperavamo il pane ritirandolo in sacchetti di volgare e anonima carta straccia non colorata, mentre oggi è tutto incapsulato in almeno quattro tipi diversi di coloratissime plastiche che sopravvivono nell’ambiente per decenni! Che progresso! Per chi ci state prendendo? Pagliacci! Andate a fanculo!

Virtù dello studio

Dopo il liberatorio insulto, torno, brevemente, a bomba. Che, nel processo di conoscenza, sia indispensabile una bella aliquota di virtù è cosa tanto nota quanto scontata. Lo fece persino dire a Ulisse il Sommo Poeta. Non vendendosi la virtù su Amazon, potremmo chiederci come procuracene quel tanto che basta, semplice, no? Sul punto, le possibili soluzioni potrebbero essere molteplici, ma forse ne basterebbe una: lo studio. Da qui non si scappa. E, invece, no: se ne scappa eccome! Tutto pare ormai precotto, preconfezionato e prestudiato.

Per niente infastiditi dalla cocente contraddizione tra volere in egual misura le cose naturali e l’intelligenza artificiale; strettamente incagliati tra il desiderio di dare voce a chiunque, salvo poi lamentarci che dai media giungano suggerimenti pericolosi, galleggiamo come sugheri sul mare delle apparenze.

Sostanzialmente, il possibile principio-guida dovrebbe essere quello del titolo di una bella prosa di Camillo Sbarbaro: l’aviogetto o il tiralinee. Nell’eterna disputa scientifica sul preteso primato del risultato tecnologico più moderno rispetto alle sue basi, la vera conoscenza, anzi la canoscenza dantesca, riposa, sorniona e dimenticata, la ricerca della vera evoluzione.

Una nuova scuola

Non basta evolversi per semplice mutazione genetica e per immeritato miglioramento delle condizioni di vita, che permettono quantomeno ad alcuno di perdere tempo a filosofare. Ci vorrebbe una nuova scuola (magari non intesa nel senso greco della parola greca scholè, ossia “ozio”) che perseguisse l’obiettivo di non conformarsi all’andazzo del momento e di tirare dritto verso un ritrovato desiderio di ricostruire sulle macerie, un tenace e orgoglioso movimento di pensiero orientato a non disperdere l’apprendimento dei giovani in mille quanto sterili rivoli dettati dalle mode del momento. Potrà accadere, almeno in questa vita? Francamente non la vedo messa bene.

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