Strano tempismo, davvero. Carl Gustav Jung vi avrebbe visto dietro la tellurica fisionomia di una sincronicità, di un apparente caso mosso da una carsica, ctonia volontà: perché, dopo la reprimenda di Stato imposta a Marco Gervasoni, ecco avanzarsi le forche per un altro Marco, sempre professore universitario.
È la volta di Luigi Marco Bassani, docente all’Università Statale di Milano, liberale convinto, coerente e sincero ed esperto di liberalismo americano e dottrine politiche, uno dei maggiori conoscitori italiani di federalisti e anti-federalisti statunitensi, sui quali ha curato un pregevole volume per l’Istituto Bruno Leoni, oltre ad averci ragguagliati sapientemente sulla dicotomia repubblica/democrazia nel pensiero costituzionale americano e sull’opera di John C. Calhoun.
Bassani, all’esito di una istruttoria disciplinare durata cinque mesi interna all’ateneo dove insegna, è stato ritenuto colpevole e punito con la sospensione per un mese, dall’insegnamento e dallo stipendio.
Una pena oggettivamente grave, e che appare ancora più grave se si va a scandagliarne la grottesca origine: infatti, il professore milanese è stato riconosciuto reo del certamente atroce crimine di ‘sessismo’ a mezzo meme, avendo osato condividere sulla sua pagina Facebook una immagine sarcastica e ironica che riprendeva un gossip su Kamala Harris.
Ora, appare chiaro, evidente, lampante, cristallino a chiunque sia dotato di un minimo senso del decoro personale e di raziocinio non triturato dal rincoglionimento politicamente corretto che impesta la società contemporanea come la condivisione di un meme non sia altro che un esercizio di libera critica, di satira, e di sarcasmo per quanto feroce possa apparire la questione.
Perché, diciamolo e scriviamolo e urliamolo, quella immaginetta non integrava alcun estremo penalmente rilevante, e ci mancherebbe pure, e l’unica violazione che può aver integrato è quella della cappa ballerina e grigiastra della psicosi egalitaria e piagnucolante dei guardiani del politicamente corretto.
Forse punti sul vivo, nonostante siano interiormente morti, abulici, svuotati di senso, di forza, di emotività, i custodi della ortodossia progressista hanno pensato bene prima di imbastire la solita canea avvizzita e avvinazzata che ha digitalmente aggredito il professor Bassani, descrivendolo come un incallito misogino, e poi non paga, dopo il dossieraggio lecchino e collettivista, ha chiesto e preteso il suo tributo di sangue, per via disciplinare, con la burocrazia d’Ateneo che sembra essersi prestata.
Francis Bacon sosteneva che lo stimolo della libertà di parola porta a un miglioramento della conoscenza e della condizione umana: ciò detto, appare chiaro come il mondo che ci stanno apparecchiando, un mondo livellato, pavido, stupido, insensato, ipocondriaco, totalitario nella sua mediocrità e nella sua assenza di complessità e asperità, sarà un mondo privo di innovazione, di forza, di voglia di conoscere e di mettersi alla prova, un mondo in cui tutti nasconderanno il loro vero essere, le loro passioni, le loro idiosincrasie per paura, una tremenda, glaciale paura, di ferire gli altri.
Trovo sconcertante che un Ateneo sanzioni un suo docente per un meme, perché la china, la deriva finale di questo processo di tribunalizzazione della libera espressione del pensiero è la fauce spalancata e carnicina del Grande Fratello.
Se ci pensate, tra indagini, blitz mattutini, processi disciplinari per goliardie da bacheca di social network, sta diventando davvero dura esprimere un concetto che sia poco poco più complesso del dire ciao, buongiorno, ma che bel tempo oggi: di questo passo, i professori universitari avranno il terrore di respingere uno studente completamente impreparato, per terrore di essere denunciati, nessuno posterà più alcun pensiero, per quanto palesemente ironico, per non finire nello spietato tritacarne di mass media, isteria politicamente corretta e politichetta da salotto buono.
Non si possono mettere le mutande alle parole, disse Busi in una vecchia intervista risalente agli anni Ottanta. Ed in effetti se consideriamo che la pruderie vittoriana era solita vestire di calzini le gambe della mobilia, verrebbe da chiedersi se non siamo tornati in quella epoca di ciminiere, piccoli peccatucci ipocriti e morale imposta dal potere pubblico.
Stiamo finendo dritti sparati in una nuova età censoria, in cui dovremo auto-censurarci, e forse già lo facciamo: perché, ammettiamolo, quando sentiamo o leggiamo o comunque veniamo a sapere che un docente universitario viene perquisito o disciplinarmente sanzionato per aver espresso critiche, opinioni o ironie di vario grado, scatta un riflesso condizionato, pavloviano, che ci porta a domandarci se quella frase tanto divertente che stavamo per postare su Twitter potrebbe portarci grane.
E intendiamoci, ogni libertà si porta dietro e dentro il canone della responsabilità: non si reclama l’arbitrio barbaro di infangare e infamare chiunque, non è quella libertà, ma si reclama il diritto di potersi dire ancora liberi, e intelligenti e arguti e con alcune cose da dire, anche se le stesse potrebbero urtare o ferire la pallida suscettibilità dei molti.
Il situazionista belga Vaneigem avvertiva in maniera esplicita come non possa darsi un utilizzo cattivo o buono della libertà di espressione, e come l’unica pecca sia un uso insufficiente di questa libertà: e noi la stiamo asfissiando, restringendo, ci stiamo assuefacendo ad una limitazione costante e progressiva, che erode il senso stesso del nostro stare in società.
Bassani paga per aver espresso un concetto, mediante il mezzo semantico digitale del meme: ha esercitato il suo diritto alla ironia, alla critica sotto mezzo di sarcasmo, esprimendo con quella immagine e quella didascalia la esemplificazione di una narrazione che in realtà ha occupato anche seriose indagini giornalistiche della Anglosfera.
Ormai siamo davvero al cortocircuito totale, al tramonto dell’acume e della possibilità di rimanere a schiena dritta a dire quel che vogliamo dire, non per offendere, non per far piangere ma solo per migliorare, sia pure problematicamente, il mondo, l’ambiente, l’ecosistema sociale dentro cui ogni giorno combattiamo per rimanere noi stessi. Nel suo testo più celebre, “Sulla democrazia”, Dahl notava come i cittadini silenziosi siano i perfetti sudditi di un governo autoritario: ed è questo il prezzo che stiamo per pagare, immolati in una autentica congiura del silenzio, il ritrovarci da un giorno all’altro ridotti a meri sudditi, senza più alcuna consapevolezza né libertà.
Io non mi rassegno a vivere così, ad essere mero ornamento di questo mondo piatto e anodino, e sono certo che non si rassegnerà nemmeno il professor Bassani a cui va tutta la mia solidarietà, ricordando sempre, come scriveva Shakespeare nell’Amleto, “perdonatemi la mia virtù, dato che in tempi come questi, tra tanta corruzione, la virtù deve implorare in ginocchio il vizio chiedendo il permesso di potergli fare del bene”.