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Da Hong Kong si alza un grido di libertà, l’Occidente non lo ignori

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Durante il primo luglio scorso, in occasione del 22mo anniversario del ritorno dell’ex colonia britannica alla Cina, le strade di Hong Kong si sono riempite di numerosi manifestanti, i quali si sono radunati in maniera imponente però non per festeggiare la sovranità riconquistata nel 1997 da parte di Pechino, bensì per protestare contro il governo locale. Presa di mira addirittura la sede del Consiglio legislativo, e non sono mancati alcuni atti vandalici, anche se la maggioranza ha manifestato e protestato in modo deciso e contemporaneamente pacifico. Quella dell’anniversario del passaggio di sovranità fra Regno Unito e Cina non è stata la prima massiccia protesta di piazza quest’anno a far tremare gli equilibri politici dell’ex colonia inglese. Il 9 e il 16 giugno scorsi, milioni di persone si erano già riversate in strada per protestare. Il motivo di questa rabbia largamente diffusa? I cittadini di Hong Kong stanno esprimendo tutta la loro contrarietà verso la legge sulle estradizioni, che sta o per meglio dire stava molto a cuore alla governatrice locale Carrie Lam.

Le proteste di giugno sono servite a far sospendere il varo della controversa legge e ad imporre una mezza retromarcia alla governatrice, ma la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica ne chiede il ritiro completo e definitivo. Per questa ragione, non si intende abbassare la guardia e nemmeno terminare con le manifestazioni popolari. A Hong Kong si teme, con molte ragioni, che la legge sulle estradizioni apra la porta, anzi la spalanchi, alla persecuzione del dissenso politico da parte della Cina continentale. Se approvato, il provvedimento permetterebbe di estradare in Cina persone accusate e condannate per vari reati. Ad oggi, a causa della particolare natura ed autonomia di Hong Kong, ciò non è possibile. Il Dragone sta alla democrazia come il cioccolato sta alle cipolle, quindi, fra l’acciuffare un delinquente comune e il poter mettere le mani su qualche oppositore della dittatura cinese, ritenuto senz’altro da Pechino come un pericoloso criminale, il passo potrebbe essere molto breve.

La governatrice Lam si difende, sostenendo la buonafede della contestatissima legge, che permetterebbe di estradare non solo nella temuta Cina continentale, ma anche verso Macao e Taiwan. Anzi, sempre secondo Carrie Lam, la legge sulle estradizioni sarebbe divenuta improvvisamente ineludibile a causa di un uomo, accusato di aver ucciso la propria fidanzata, da estradare a Taiwan. Eventuali pressioni cinesi sarebbero solo fantasie. Peccato tuttavia che Taipei non abbia finora formulato alcuna richiesta di estradizione. Come si suol dire, la cosa puzza ed evidentemente i milioni di manifestanti di Hong Kong devono aver percepito sin da subito un fetore non proprio rassicurante. Gli abitanti di quel particolare territorio, grazie a tanti anni di libertà e prosperità dovuti alla sovranità britannica, hanno una coscienza democratica decisamente progredita, e non sono disposti a chinare il capo di fronte a qualunque scelta politica. La Cina accettò, 22 anni fa, di concedere a Hong Kong una speciale autonomia amministrativa e la libertà di mercato senza pianificazioni statali, sulla base della regola “un Paese, due sistemi”, tuttavia il potere centrale di Pechino è diventato, soprattutto in tempi recenti, sempre più aggressivo ed insidioso nei confronti di quelle realtà dove la sovranità del Dragone è più o meno parziale.

Se il regime del Pcc non vuole tutt’oggi considerare l’indipendenza di fatto di Taiwan, non deve sorprendere la voglia di restringere gradualmente i margini di autonomia di Hong Kong. C’è il desiderio di affondare maggiormente gli artigli e, magari, creare le condizioni per governi locali compiacenti, come sembra essere quello di Carrie Lam. L’Occidente ha il dovere di non ignorare il sentimento che spinge milioni di cittadini dell’ex colonia britannica a protestare e deve battersi affinché lo speciale status di Hong Kong sia preservato. Gli Usa, tramite Mike Pompeo, e la Gran Bretagna, qualcosa lo hanno già detto, a favore della libertà dei manifestanti, pur senza avallare naturalmente i vandalismi, ma l’Europa, come da consolidata tradizione, rimane piuttosto taciturna. 

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