A febbraio 2020, con un decreto legge, il Governo Conte 2 si riservava la possibilità di utilizzare atti amministrativi del presidente del Consiglio per limitare il contagio da Covid-19. Il Parlamento (chiuso ad inizio pandemia) si mostrava inerte nel momento più difficile della nostra Repubblica.
Non solo trascurato e scavalcato nelle misure sanitarie che, almeno in una democrazia liberale, devono essere decise nel rispetto della relazione fiduciaria tra potere esecutivo e legislativo, ma anche quando si è trattato di limitare le libertà fondamentali, l’Assemblea è stata costantemente bypassata, considerata non più custode della sovranità popolare, ma mero organo burocratico e di ratifica, colpevole di far perdere troppo tempo al governo, nel frattempo occupato a contrastare l’epidemia.
Il paradigma è stato il seguente: prima la salute (ma non quella di coloro che hanno visto rinviarsi cicli di chemioterapie per far spazio ai malati di Covid), poi tutto il resto, dalle libertà personali al diritto al lavoro, dalle attività economiche alle forme – che sono sostanza – dettate dalla nostra Costituzione. Tutto è passato in secondo piano.
Come i Dpcm, da atti amministrativi eccezionalmente usati per regolare materie per le quali la Costituzione prevede una riserva di legge assoluta, sono diventati la norma, così il coprifuoco: da mero strumento eccezionale, da impiegare solo in zone con situazioni epidemiologiche gravi, è diventato la norma, tanto da essere inserito anche tra le regole anti-contagio della zona bianca (inizialmente, l’unico colore a non prevedere questa misura restrittiva) e confermato in tutto il Paese fino al primo giugno, ma con la possibilità che sia rinnovato dal governo fino al 31 luglio.
Com’è possibile che gli italiani siano disposti ad accettare ulteriori restrizioni, anche durante il periodo estivo? Con la paura.
La comunicazione della regia Conte & Casalino è stata distruttiva – e decisiva proprio nel propagare e alimentare la paura nella popolazione.
Il conteggio quotidiano dei morti dell’allora capo della Protezione Civile Borrelli, le conferenze stampa del presidente Conte, in cui venivano annunciate nuove misure restrittive poche ore prima che entrassero in vigore, sono stati tra gli espedienti che hanno contribuito, complici i media mainstream, a rovesciare il paradigma: se ci sono più contagi è colpa dei cittadini indisciplinati, mai di uno Stato che si è fatto trovare impreparato nella risposta sanitaria, con i ritardi nei bandi per le terapie intensive e nell’assunzione di medici ed infermieri; nella riorganizzazione della scuola e dei trasporti; senza un piano pandemico e con un piano vaccinale tardivo e caotico.
E così, nel giro di un anno, si è passati dalla criminalizzazione del runner a veri e propri atteggiamenti da delatori degni della Germania Est.
In questi lunghi mesi di pandemia, abbiamo completamente perso la bussola della libertà, della responsabilità individuale e dell’indipendenza morale del singolo.
Ricordiamocelo sempre: lo Stato rimane uno strumento dei cittadini, non il contrario. I governanti sono delegati dal popolo, sono al servizio della comunità e sono investiti dell’incarico proprio per rimuovere gli ostacoli che potrebbero intaccare la libera iniziativa.
Quando lo Stato perde di vista questo compito fondamentale, ecco che viene meno la sua utilità, rischiando di trasformare, come ben diceva Milton Friedman, un intervento statale temporaneo (Dpcm o coprifuoco) in una misura permanente.
La vita è anche libertà, socialità, lavoro, salute fisica e psichica. Insomma, è vitale e per questo vulnerabile.
Questa continua ed esasperata ricerca del “rischio zero”, per mezzo di misure prive di adeguato supporto scientifico, annulla completamente il vero significato di “vita” (“spazio compreso tra la nascita e la morte; l’esistenza di un individuo, come svolgimento e come insieme di fatti e di esperienze che l’hanno caratterizzata”). Finché non sconfiggeremo la paura, la nostra vita pre-pandemia – la vita vera – resterà un flebile ricordo.