Martedì scorso l’Unione europea ha imposto sanzioni contro la Med Wave Shipping, compagnia di navigazione accusata di contrabbando di armi verso la Libia, in favore del GNA islamista, ovvero il governo presieduto da al Serraj e sostenuto dalla Turchia di Erdogan.
Nella storia della Med Wave Shipping è coinvolta anche l’Italia. Il 5 febbraio 2020, infatti, le autorità italiane nel porto di Genova decisero di sequestrare la nave Bana per traffico di armi, mentre tornava dalla Libia. Le immagini che circolarono sui social a gennaio 2020 mostravano parte del carico della Bana, veicoli corazzati e cannoni di produzione turca. Arrivata a Genova, la nave fu quindi fermata e l’equipaggio e il comandante furono arrestati. Per la cronaca, a fine agosto 2020 è stato reso noto il dissequestro della nave, previo pagamento di una cauzione di 20 mila euro, divieto di raggiungere gli scali turchi prima di passare per Misurata e comunicazione della posizione della nave ogni sei ore.
Perché ricordare ora il caso della nave Bana? I motivi sono due: il primo, le sanzioni decise dall’Ue alla Med Wave Shipping; il secondo, le relazioni tra Ankara e Hezbollah che emergono proprio dal cargo Bana, che batte bandiera libanese. La stessa nave si chiamava in precedenza Sham 1 ed era già nota per aver trasportato armi in Libia. Paradossalmente, secondo un report del Consiglio di Sicurezza Onu, nel 2017 le armi erano destinate al generale Haftar, non al governo Serraj.
Secondo Marine Trafficking, la Bana appartiene appunto alla Med Wave Shipping, una compagnia con sede in Giordania, ad Amman, di cui però attualmente non si riesce a sapere chi sia il capo e se sia ancora attiva. Maggiori informazioni però possono essere ottenute per mezzo del database Equasis. Qui si scopre che la Med Wave Shipping SA è registrata anche in Libano, con sede nell’area Ras di Beirut, presso il piano terra dell’Orient Queen Homes Building, in via John Kennedy. Cercando online, viene fuori che l’Orient Qeen Homes Building è un hotel. Sulla mappa, però, sulla stessa via, appare anche la Abu Merhi Cruises, che secondo il sito internet organizza crociere a bordo della Orient Queen.
Sempre per mezzo del database Equasis, studiando a ritroso la storia della Bana, si scopre che, guarda caso, la Abou Merhi Ship Management SAL e la African Meditteranean Lines Ship Management Gmbh (AML), società localizzate in Libano e in Germania, erano i precedenti proprietari del cargo. Basta quindi andare sulla pagina Facebook di Abou Ali Mehri, per verificare che, per mezzo della AML Ship Management Gmbh, aveva già organizzato viaggi in Libia.
Il cerchio si chiude, quindi, proprio con la figura di Ali Abou Merhi. L’uomo d’affari libanese, con diversi dei suoi collaboratori e alcune sue compagnie, nel 2015 fu inserito (poi rimosso nel 2017) dal Dipartimento del Tesoro americano nella lista dei soggetti sottoposti a sanzioni per le loro connessioni con il network di Ayman Joumaa, considerato affiliato a Hezbollah nel traffico di armamenti e di droga con il Sud America.
E a questo punto, il cerchio che parte dalla Turchia e arriva fino ad Hezbollah si chiude, confermando le relazioni pericolose che intercorrono tra gli islamismi sunniti e sciiti. Il tema interessa direttamente anche l’Italia, in quanto la Libia è il nostro “cortile di casa” ed è sotto comando italiano la missione Ue Irini. Peggio, interessa l’Italia anche per il ruolo di Hezbollah: proprio ieri Panorama riportava la notizia di un mini sommergibile italiano, costruito dalla GSE di Trieste e già usato dal Comsubin, che è inspiegabilmente finito nelle mani del regime venezuelano di Maduro. Un mezzo che potrebbe essere usato per compiere attentati o per il narcotraffico, settore in cui Hezbollah è specializzato.
Senza dimenticare il carico di Coltan – materiale radiattivo e pericoloso – che fu sequestrato nel porto di Trieste nel 2019, anche in quel caso giunto direttamente dal Venezuela.
Insomma, l’Italia sembra ormai essere presa nel mezzo di un pericoloso gioco di triangolazioni che coinvolgono una serie di attori sia statuali che non estremamente pericolosi. È bene che tutti gli organi istituzionali responsabili accendano un allarme rosso su quanto sta accadendo, prima che venga compromessa direttamente la sicurezza nazionale.