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Dalla Virginia a New York, i Dem impareranno la lezione che il radicalismo non paga?

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 24 marzo 2020

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Se c’è una lezione da trarre guardando ai risultati della recente tornata elettorale americana è questa: negli Usa – come altrove – il radicalismo non paga. Con questo voglio dire che i due grandi partiti si sono accorti che le rispettive ali estreme non devono prevalere se si vuole vincere.

Sembra un ragionamento elementare. Eppure c’è voluto parecchio tempo perché i politici più avveduti dei due schieramenti capissero che con le posizioni di rottura si vince su Twitter e sui social network in genere, ma non nelle urne. In questo senso i cittadini hanno impartito una salutare lezione di realismo a coloro che chiedono il loro consenso.

Vero, il successo repubblicano in Virginia è un vero e proprio schiaffo per Biden, che un anno fa in quello Stato aveva staccato Trump di dieci punti. I democratici erano quindi convinti di portare a casa il risultato piuttosto facilmente.

Invece è accaduto il contrario perché il loro candidato, l’ex governatore liberal Terry McAuliffe, ha impostato la sua campagna sulla demonizzazione di Trump e del trumpismo, senza punto curarsi dei temi che interessavano realmente agli elettori.

Il Repubblicano vincente, il 54enne Glenn Youngkin, ha invece capito che la partita si giocava sul campo dell’istruzione, tanto secondaria quanto universitaria. In quel settore, infatti, il wokismo di sinistra sta facendo danni irreparabili imponendo agli studenti un’ideologia a senso unico, che legge l’intera storia americana come dominata da questioni di razza o di gender, e come se tutto il resto non contasse nulla.

Inevitabile quindi che molti elettori tradizionalmente vicini ai Dem decidessero di votare repubblicano per frenare una deriva che sembra inarrestabile. Il fatto è che la maggioranza dei cittadini è stanca dei diktat della controcultura woke, e vorrebbe tornare a un modo più tradizionale di leggere gli avvenimenti politici e storici.

Youngkin ha avuto successo poiché si è accorto che questi erano i temi da trattare, proponendo soluzioni moderate e in linea con la tradizione. Il razzismo dev’essere condannato sempre e ovunque, ma non può diventare il pretesto per imporre un pensiero unico che non lascia spiraglio alcuno al libero dibattito delle idee. Tra l’altro, non ha certo avuto timore nel correre in tandem con la 57enne Winsome Sears, di origini giamaicane e prima donna nera ad ottenere la posizione di vice-governatore in Virginia.

Nel campo democratico la celebre “Squad”, il gruppo di deputati di estrema sinistra capeggiato da Alexandria Ocasio-Cortez, non sembra invece aver capito la lezione. La Ocasio-Cortez ha infatti sostenuto che i candidati democratici come McAuliffe hanno perso perché non hanno adottato la piattaforma radicale basata sul politically correct e sulla cancel culture.

Si dà però il caso che la vittoria più eclatante ottenuta dai Democratici sia quella di New York, dove Eric Adams, afroamericano ed ex capo della polizia locale, è diventato sindaco basandosi su idee molto concrete e sull’esaltazione dello slogan “Law and Order” aborrito dal suo predecessore Bill de Blasio. Adams ha vinto dichiarandosi contrario al taglio dei fondi destinati alla polizia, che è invece un cavallo di battaglia della sinistra estrema del partito.

Certamente il panorama politico americano è diventato più complicato rispetto al passato, e in molte occasioni appare indecifrabile. Ma è evidente che i due grandi partiti tradizionali riusciranno a recuperare la forza perduta solo a patto di isolare le loro frange estreme.

I Democratici debbono denunciare pubblicamente la pericolosità della controcultura woke, schivando con essa ogni compromesso. Per i Repubblicani è meglio evitare compromissioni con il complottismo in stile QAnon e tenere alla larga gli estremisti. Solo così l’America potrà mantenere la leadership del mondo occidentale.

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