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David Cameron: un leader segnato dalla sconfitta Brexit, ma anche da risultati tangibili per il suo Paese

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L’uscita della sua autobiografia ha fatto discutere, così come la sua uscita di scena dall’arena politica dopo il referendum sulla Brexit del 23 giugno 2016. Sarebbe però giusto affermare che di David Cameron, l’uomo che ha guidato il Regno Unito dal 2010 al 2016, non si è mai smesso di parlare. “For the record” – questo il titolo del suo libro – è un’opera che si prefigura come un “life and times” di un ex primo ministro già passato al setaccio di giornalisti e biografi in passato. Da “Call me Dave”, il libro di Paul Ashcroft che rivelò come il giovane Cameron fosse dedito alla cannabis, a “Cameron at 10”, monumentale resoconto degli anni di Downing Street scritto da Sir Anthony Seldon e Peter Snowdon, passando per “Practically a Conservative” di Francis Elliott e James Hanning, il volume che forse più di ogni altro ha cercato di spiegare il pensiero e l’ascesa di Cameron da leader dei Tories a leader della Nazione.

David Cameron resterà nella storia per un singolo evento: la Brexit, contro la quale scommise la sua premiership perdendo. Come Eden con Suez e Blair con la guerra in Iraq, il suo nome sarà per sempre accostato a quella sconfitta che ha cambiato il corso della storia del Regno Unito. Sarebbe però ingeneroso caratterizzare il suo decennio alla guida dei Tories e i suoi sei anni a Downing Street attraverso le lenti di chi guarda all’Inghilterra solo da un punto di vista eurocentrico. Nel 2010 Cameron ha riportato i Tories al governo dopo 13 anni di opposizione alla macchina da guerra elettorale del New Labour blairiano; ha offerto un ambizioso accordo di governo ai LibDems di Nick Clegg guidando il primo governo di coalizione che si ricordi a memoria d’uomo nel Regno Unito; ha dovuto – con il suo Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne – fronteggiare la peggiore crisi economica dagli anni ’30, al termine della quale il paese ha ripreso a crescere su tutti i fronti; nel 2015 ha vinto le elezioni riuscendo a ottenere la maggioranza assoluta ai Comuni, cosa che ai Tories non riusciva dal 1997; riforme significative in ambito scolastico, nel welfare e nel servizio sanitario nazionale (NHS) sono state portate avanti dai suoi ministri nonostante non godessero di un univoco sostegno popolare.

Insomma, come i predecessori Thatcher, Major, Hague e Duncan Smith anche lui si è scontrato con un partito che da tempo si sta facendo la guerra sul rapporto tra UK e Ue, ma è riuscito a fare tanto per il suo paese. Ancor più della lotta fratricida interna ai Tories, Cameron ha subito il vento anti-establishment che ha iniziato a soffiare anche a Londra dopo il fallimento della Northern Rock e la crisi del settembre 2007. Certo, dopo gli anni dell’austerity il popolo ha in realtà aumentato la sua maggioranza di governo nel 2015, ma quando nel 2012 i backbenchers Tory si sono sentiti in pericolo per l’avanzata dello UKIP di Nigel Farage, gli è stato impossibile reggere lo scontro interno al partito e ha annunciato – a seguito di una accorata lettera scritta da un centinaio di MPs conservatori – che se avesse vinto le elezioni del 2015 avrebbe fissato la data per un referendum sulla Brexit.

Sfortuna (per lui) volle che le vinse, che l’Europa nella trattativa con il governo inglese si mantenne su posizioni rigidamente ottuse, e che Boris Johnson e Michael Gove, due tra i più popolari politici britannici, presero posizione per il Leave. David Cameron era assurto alla leadership dei Conservatori affermando di voler vedere un partito che parlasse dei problemi della gente e non continuasse a concionare sull’Europa. Da Leader Tory, dopo dieci anni alla guida del partito che ha ottenuto più voti di tutti al mondo nella storia delle democrazie, il suo fallimento è stato dunque spettacolare. Ma come primo ministro i suoi risultati sono stati notevoli: l’aumento del salario minimo e il Same-Sex Marriage Act potrebbero essere celebrati anche dal Guardian e dalla sinistra britannica, che invece gli dedica ogni sorta di epiteto tirando in ballo anche il figlio disabile venuto a mancare pochi anni fa. Negli ultimi anni, anche grazie alla cura Cameron-Osborne l’economia britannica è cresciuta in media molto di più di quella europea e, ancora oggi, anche se molti parlano di “tragedia Brexit”, il numero degli occupati nel Regno Unito è ai massimi storici, mentre il numero dei disoccupati è ai minimi. A Londra si continua a costruire: Brexit o non Brexit, Cameron o non Cameron. Dopo gli anni dei tagli e dei sacrifici, è forse questa l’eredità che ha lasciato l’uomo che nel suo ultimo intervento ai Comuni disse “I was the future once”, “Tempo fa sono stato il futuro”.

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la grande bugia verde